La scelta di Erdogan: andare in guerra contro l’Isis e contro i curdi

Medio Oriente

È bastata una settimana di attentati, agguati e scontri per obbligare il governo turco ad abbandonare la sua cauta ambiguità e stravolgere completamente la propria politica sia nei confronti dell’Isis sia nei confronti dei curdi del Pkk, forse anche nell’ottica d’ingraziarsi i nazionalisti dell’Mhp e vagliare l’ipotesi di un governo con gli ex Lupi Grigi (da sempre acerrimi nemici della causa curda). Nonostante le indubbie connivenze con l’attività dell’Isis in Siria e Turchia, Ankara non poteva comunque lasciar passare impunito un attentato sul proprio suolo e quindi si è mossa contemporaneamente su due fronti. 

Dopo l’attentato di Suruç, che ha causato la morte di 32 persone ed il ferimento di un altro centinaio, la Turchia ha deciso di integrare la coalizione anti-Isis e di lanciarsi per la prima volta all’attacco delle postazioni jihadiste che minacciano direttamente la sicurezza turca. Non l’aveva fatto per Kobanê, sperando che cadesse nelle mani dell’Isis pur di arrestare la rivoluzione curda del Rojava ma è stata costretta a farlo ora che si trova la guerra dell’Isis in casa propria. Quattro jet sono decollati venerdì poco prima dell’alba dalla base aerea di Diyarbakir, nel Sud-est della Turchia e, senza violare lo spazio aereo siriano, hanno colpito obiettivi Isis in prossimità del villaggio siriano di Havar, nella zona di frontiera che si trova in prossimità della città turca di Kilis. Obiettivi strategici distrutti e almeno trentacinque jihadisti uccisi. 

Tutto è legato e l’attentato, ben pianificato, aveva come primo obiettivo quello di spezzare il fronte comune della sinistra radicale turca con i movimenti curdi e sembra difficile credere che i servizi segreti turchi non ci abbiano messo lo zampino

Dall’altro lato però, sin dal giorno delle elezioni – da quando ha cominciato a profilarsi cioè una nuova alleanza tra movimenti di sinistra turchi, aleviti e movimenti curdi – le autorità turche hanno deciso di dare corpo anche alle spinte interne che vogliono seppellire definitivamente il processo di pace con il Pkk e mettere fuori gioco i movimenti di estrema sinistra turca che oramai condividono con il Pkk la strategia della guerriglia armata e con quest’ultimo hanno creato un fronte comune. In questa costellazione c’è il Fronte popolare (Dhkp-C) che dopo l’attentato ha attaccato una caserma della polizia nel quartiere Gazi d’Istanbul, il Partito comunista turco marxista leninista che ha attaccato una caserma dell’esercito e l’Mlkp che promette altre azioni simili. L’idea è di avvertire e punire governo e servizi segreti turchi, implicati a diversi livelli nell’attentato di Suruç. Va detto che l’organizzazione socialista che aveva organizzato il movimento di solidarietà con la città di Kobane – colpita mortalmente a Suruç – è legata non direttamente al movimento curdo ma al Partito socialista degli oppressi (Esp), un partito marxista-leninista che vede tra i fondatori pero’ una degli attuali responsabili del partito pro-curdo dell’Hdp, Figen Yüksekdağ. A Suruç tra l’altro l’Hdp ha preso l’80% dei voti. 

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

Tutto è legato dunque e l’attentato, ben pianificato, aveva come primo obiettivo quello di spezzare questo fronte comune della sinistra radicale turca con i movimenti curdi e sembra difficile credere che i servizi segreti turchi non ci abbiano messo lo zampino.  A tutto ciò il governo ha risposto venerdì con una serie di retate a tappeto nell’ambito di una maxi operazione anti-terrorismo condotta su 13 province (“quando si tratta di terrorismo”, hanno sottolineato le autorità turche, “non c’è alcuna distinzione”). L’agenzia stampa Dogan parla di un’operazione in cui sono stati coinvolti circa 5.000 poliziotti anche con il supporto di elicotteri che hanno portato all’arresto di quasi trecento persone.

A scioccare i curdi è questo insistente accomunare l’Isis con il Pkk quando in Siria gli unici soggetti a riuscire a sconfiggere sul campo l’Isis, e a ricevere per questo il sostegno anche internazionale

Il panorama dunque si è frastagliato e complicato se possibile ancora di più. Cosa dovremo aspettarci nel prossimo futuro? Ci sarà presumibilmente un maggiore attivismo della Turchia nella lotta contro Isis anche nei giorni a venire e lo dimostra la concessione (“a determinate condizioni”) agli Usa e agli alleati della base turca di Incirlik, nella provincia meridionale di Adana. Dall’altro però, con l’uccisione di un membro del Fronte popolare durante le retate avvenute e le precedenti uccisioni di poliziotti a Ceylanpinar rivendicate dal Pkk si può dire che ci si avvia verso la fine del cessate-il-fuoco con il Pkk e del processo di pace e verso un nuovo scontro armato interno. Neanche un intervento diretto del leader del Pkk Abdullah Ocalan, dicono gli analisti, sembra a questo punto poter scongiurare l’escalation armata.

A scioccare i curdi poi è questo insistente accomunare l’Isis con il Pkk quando in Siria gli unici soggetti a riuscire a sconfiggere sul campo l’Isis, e a ricevere per questo il sostegno anche internazionale, sono stati proprio i combattenti curdi dell’Ypg, ramo siriano del Pkk. Ma forse è proprio in questo che risiede tutto il nodo del problema. Dicevamo di una strategia tesa a coinvolgere i nazionalisti del Mhp, da sempre acerrimi nemici della causa curda. Questo puo’ essere sicuramente un elemento da prendere in considerazione. In realtà alla Turchia spaventa più la nascita di uno stato curdo a ridosso dei suoi confini (finora due dei tre cantoni del Rojava sono stati unificati) che l’espansione dell’Isis con il quale invece le autorità di Ankara sono state fin troppo accomodanti.
 

Attraverso la Turchia sono transitate armi e reclute. I servizi segreti turchi, l’esercito e le forze di polizia hanno giocato un ruolo fondamentale nel permettere il passaggio di armi e uomini, nel reclutamento, nel sostegno logistico e dunque nell’espansione dell’Isis, convinti che quest’ultimo fosse “miglior nemico” rispetto agli odiati curdi. A giocare col fuoco però, si sa, ci si brucia ed è per questo che ora la Turchia è costretta a riparare al suo peccato originale, ovvero quello di essersi alleato con il diavolo pur di neutralizzare le mire dei curdi nella regione. Ora il mostro indirettamente foraggiato gli si è rivoltato contro mentre la lotta armata curda, che sembrava uno spauracchio allontanato con una serie di concessioni politiche nel corso di un decennio, rischia di agitare il panorama politico ed i sonni di un paese che non riesce a trovare pace, inghiottita senza volerlo nel gorgo della guerra civile siriana. 

@marco_cesario

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