Prima a Quinto, in provincia di Treviso. Poi a Roma, per la precisione a Casale San Nicola. L’arrivo dei profughi destinati ad alloggiare in appartamenti e centri di accoglienza ha sollevato una serie di proteste, anche violente, da parte dei residenti. Presidi e comitati si battono contro la decisione della prefettura, fanno resistenza. Insieme a loro, a dare man forte, ci sono esponenti di Casapound, che hanno cercato di bloccare l’arrivo dei rifugiati lanciando sassi e opponendosi alle forze dell’ordine. A Quinto, la protesta ha avuto la meglio: il sindaco ha annunciato che entro la sera di venerdì 17 i migranti saranno trasferiti. A Roma, invece, la tensione resta alta.
Le proteste dei residenti, però, sono un caso isolato. Come spiega a Linkiesta Carlotta Sami, portavoce per l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR), «la stessa attenzione andrebbe data anche quando le reazioni sono, al contrario pacifiche. Ci sono decine e decine di persone che vivono lo stesso disagio di chi protesta, ma rispondono in modo diverso. Cioè accogliendo, con generosità e cura». Il problema, continua, «è che queste proteste sono guidate e fomentate», spiega. E il riferimento è chiaro.
Chi fa rumore, però, fa anche notizia.
Di proteste come queste se ne verificano ovunque. La situazione storica che viviamo è particolare. Da un lato c’è chi fugge dalle proprie case, che non ha niente se non quello che lascia dietro di sé. Dall’altro abbiamo persone benestanti, almeno a loro confronto, che si trovano ad affrontare le difficoltà di una crisi economica. È possibile che ci siano queste esplosioni, ma al tempo stesso mettere a confronto i disagi di chi fugge (e ne farebbe volentieri a meno) e di chi accoglie non ha senso. Non sono cose neppure comparabili.
Ma perché sono scoppiate queste proteste? Se lo aspettava?
Sono scoppiate per tanti motivi. Da un lato, sono state diffuse informazioni false. Ad esempio, su ciò che viene fornito ai rifugiati (case, palazzi, pasti). L’intenzione era di farli passare come privilegi – e stiamo parlando di case che, almeno per Treviso, non avevano nemmeno la luce. I pasti, sì, sono forniti (uno al giorno) ed è il protocollo. Ma non sono privilegi, questi, direi proprio di no.
È possibile che ci siano queste esplosioni, ma al tempo stesso mettere a confronto i disagi di chi fugge (e ne farebbe volentieri a meno) e di chi accoglie non ha senso
E poi?
Poi c’è un sentimento di ostilità che serpeggia, anche oggi. Non si può credere che il razzismo venga cancellato dal progresso culturale. Negli ultimi anni si è sdoganato un linguaggio, un discorso politico razzista che non è mai stato censurato. È entrato a far parte della cultura collettiva, e nessuno lo ha bloccato.
C’è chi parla di case che perdono valore, di zone che si degradano a causa della presenza di rifugiati.
Credo che siano più episodi come questi, cioè scoppi di violenza e tensioni, a influire sul valore di un’area. La presenza di rifugiati è temporanea, e andrebbe comunque in case adibite a questo scopo. È più un discorso allarmista che una ragione economica seria.
Ma quanto può avere influito l’atteggiamento delle istituzioni degli ultimi mesi (compreso il braccio di ferro con Francia e Germania per le quote di immigrati e la chiusura delle frontiere) sul sentimento anti-stranieri?
Ha senza dubbio influito. Ma il punto è che questi discorsi sono – filtrati dai giornali – condotti e compiuti solo per un fine politico. In generale, l’atteggiamento della politica è stato poco costruttivo. Di fronte a queste situazioni si dice: “Va trovata una soluzione”, e questo non è il modo. I responsabili, cioè chi ha responsabilità, deve partecipare e costruire. Il governo, dal canto suo, sta cercando una intesa tra ministero dell’Interno ed enti locali. È chiaro che in questi casi serve una programmazione molto solida.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Su che basi?
I profughi sono circa 80mila persone. L’Italia ha 8mila comuni. Si potrebbero distribuire dieci persone per Comune, ad esempio. È una considerazione statistica, ma il principio della distribuzione – che l’Italia ha insistito a portare in Europa – è giusto.
Di fronte a queste situazioni si dice: “Va trovata una soluzione”, e questo non è il modo. I responsabili, cioè chi ha responsabilità, deve partecipare e costruire
Finché sono 80mila può funzionare. Ma, tra le voci più allarmiste, si parla di “invasione”. Lasciando perdere le esagerazioni, sembra che il numero di persone che verranno in Europa aumenterà.
Anche qui i dati ci possono aiutare. I profughi, nel mondo, sono 60 milioni. E l’86 per cento vive in Paesi non industrializzati, per la semplice ragione che sono quelli confinanti con le regioni da cui fuggono. Sono persone che hanno perso casa, lavoro, spesso anche famiglia e affetti. Di questi, quelli che vengono in Europa sono pochi, quelli che vengono in Italia ancora meno. Oltre alle difficoltà geografiche, hanno difficoltà anche finanziarie. Sono ancora meno quelli che riescono a permettersi un viaggio in Italia, o chi lavora per procurarsi il denaro per affrontare le traversate. Di questi, in generale, sono migranti economici, nel senso che cercano lavoro. Ma tutti hanno intenzioni collaborative: cercano di contribuire e, soprattutto, non vogliono restare. Ed è il contrario di ciò che dicono certe voci allarmiste.
Non teme che, visto il contesto, questi casi di reazione della popolazione residente si possano ripetere?
Spero di no. Ricordo però che, in altri casi, non ce ne sono stati. A Roma, ma anche in altre regioni, si è agito con generosità. Spero che le forze dell’ordine riescano a contenere queste proteste, che e i prefetti continuino ad andare avanti, senza farsi intimorire da queste azioni. Che, appunto, sono guidate e non del tutto spontanee.