Livia ha trentasette anni, cinque figli, è portoghese e non ha più una casa.
La mattina di lunedì 20 luglio è stata sgomberata dalla casa popolare dell’Aler – Azienda Lombarda di Edilizia Residenziale – in cui viveva da diciassette anni. Un appartamento di cento metri quadrati al quarto piano del complesso in Via Belinzaghi 11, una traversa di viale Marche a poche decine di metri dalla fermata Maciachini della metropolitana.
Alle 8.05 si sono presentati da lei una settantina di agenti fra polizia in assetto antisommossa e Digos, con cinque camionette. Hanno bloccato l’entrata della cancellata principale e fatto uscire la famiglia.
La donna si chiama Livia Dos Santos, partita da Lisbona quand’era adolescente per seguire la madre, morta nel 1998 di cancro, che viveva abusivamente in quell’abitazione. Tre anni fa le venne notificato lo sfratto, dopo aver smesso di pagare il canone in seguito alla perdita del lavoro. Si presentarono gli ispettori di Aler al mattino, e al pomeriggio la donna aveva già deciso di occupare.
«Lavoravo in una legatoria in via della Moscova – le botteghe artigiane in cui si rilegano libri antichi – poi, per provare ad aggiornarmi, ho seguito dei corsi di informatica e adesso lavoro come donna delle pulizie». Presso una famiglia di Segrate, guadagna 500€ al mese per 4 ore al giorno con regolare contratto, e con gli assegni familiari arriva quasi a mille euro. «Mia figlia Debora di 22 anni – che soffre di epilessia – aveva appena cominciato a lavorare come commessa in un negozio del centro. Stavamo riuscendo a mettere qualche soldo da parte ed ero decisa a riprendere i pagamenti. Quello che dovete capire è che non pago perché non ne ho la possibilità, non perché non voglia farlo».
Quando è entrata nella casa di via Belinzaghi il canone era di 200.000 lire, poi lievitato fino a 800.000 quando in appartamento con lei è venuto a vivere il suo ex compagno dello Sri Lanka. Dopo la procedura di sfratto per morosità, Aler ha deciso di applicare la penale massima. «Mi sono arrivati bollettini da 1.800€», racconta, e l’azienda ha fatto sapere che la donna ha accumulato un debito complessivo di 60.000 euro.
Livia Dos Santos ha smesso di pagare Aler nel 2012 dopo aver perso il lavoro. Lunedì mattina l’hanno sgomberata e 60.000€ di debiti
Livia parla con Linkiesta seduta per terra fuori dall’Hotel Adelchi di via Ingegnoli, albergo a una stella situato in una traversa di viale Porpora. È stata sistemata qui con i cinque figli fino a lunedì 27 luglio, a spese di Arca Onlus, la stessa che da mesi gestisce alcuni fra i profughi della stazione Centrale di Milano.
Dopo lo sgombero, Livia e suoi figli si sono presentati in Piazza della Scala, davanti a Palazzo Marino, per un presidio che si annunciava permanente, supportati dall’Unione Inquilini – che proprio a venti metri dalla sua ex casa ha una filiale – dagli attivisti del Movimento per l’occupazione delle case e da quelli di Clochard alla Riscossa. Questi ultimi, a marzo del 2014, hanno occupato gli ex uffici e call center di Alitalia di piazza Mapelli a Sesto Marelli, creando una gigantesca comune abitativa che ospita 170 persone di venti etnie differenti, alla cifra simbolica di 10€ a settimana. Loro si definiscono «illegali, ma legittimi».
Da tutta la mattina si rincorrevano sulle loro pagine Facebook e sui profili personali le notizie dello sgombero. Alcuni si sono presentati in Maciachini e hanno aggirato le forze dell’ordine attraverso l’entrata di un ristorante, la cui cucina dà sul cortile interno del palazzo Aler.
Hanno fatto resistenza passiva e tentato di rallentare lo sgombero, per poi correre davanti al Comune di Milano e organizzare un sit-in. Si dicevano pronti a portare anche duecento persone, che avrebbero fatto i turni a rotazione.
Movimento per l’occupazione delle case, Unione Inquilini, Clochard alla riscossa. Sit-in davanti al Comune hanno ottenuto una settimana di albergo per la donna e i suoi 5 figli
Ieri il consigliere comunale e presidente della Sottocommissione Carceri Alessandro Giungi, arrivato in piazza della Scala, ha parlato con i manifestanti: «Mi sono fatto spiegare la situazione di Livia e della sua famiglia, che però non rientra nelle mie competenze, e allora ho contattato gli uffici dell’assessorato alle politiche sociali in Largo Treves. Non ho parlato direttamente con Pierfrancesco Majorino [l’assessore che è anche nella rosa di nomi candidati alle primarie del centrosinistra milanese, ndR] ma si è trovata lo stesso questa soluzione temporanea. Non so cosa potrà accadere a partire da lunedì».
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Aler è partecipata dalla Regione – anche se proprio ad aprile di quest’anno si sono chiuse le pratiche per alcune dismissioni in società satellite controllate, al fine di ripianare la situazione finanziaria dell’azienda – ma le conseguenze delle proprie azioni, soprattutto in campo di sgomberi, vengono pagate dall’amministrazione comunale. Alla domanda se la tematica degli sgomberi, intensificatisi nelle ultime settimane, sia anche un terreno di lotta politica, il consigliere Giungi risponde: «Mi auguro proprio che non sia così, sarebbe un gesto ignobile».
Livia scoppia a piangere raccontando la sua storia dell’ultimo quindicennio. Il suo ex compagno dello Sri Lanka, padre degli ultimi tre figli, beveva molto e a volte sniffava cocaina. L’ha picchiata in diverse occasioni. «So di aver fatto della cazzate in vita mia, sopratutto con quest’uomo, ma non volevo restare sola, dopo la morte di mia madre in Italia non avevo più nessuno». Mostra i polsi e i palmi delle mani, dove ancora si vedono le cicatrici da lama di coltello. «Una volta, mentre ero a fare la spesa, mi ha telefonato dicendomi che se non tornavo subito si buttava sui binari della metropolitana, assieme ai miei bambini. Ero terrorizzata». La polizia è stata allertata in parecchi casi dai vicini di casa che sentivano i rumori, ma non c’è stato nulla da fare, anche perché in questi palazzi «chiamare le forze dell’ordine spesso è vista come un’infamata».
Il suo ex compagno dello Sri Lanka beveva e si faceva di coca. Le ha tagliato i polsi e minacciato i suoi figli
Inoltre Livia non voleva denunciare il compagno perché aveva il terrore – basato su ciò che le dicevano gli assistenti sociali – che le avrebbero tolto i figli.
L’assistente sociale del comune che lunedì mattina si è presentata assieme alla polizia a casa sua – non quella che seguiva abitualmente il suo caso – le ha fatto una proposta shock: Livia potrebbe andare a vivere in una comunità fuori Milano con le due bambine più piccole, Azzurra e Asia, ma il figlio di quattordici anni, che frequenta una scuola di viale Zara, dovrebbe andare in un’altra comunità e i due figli maggiorenni dovrebbero arrangiarsi. Uno dei due, il ragazzo, ha compiuto diciotto anni a giugno. «Non capite che, se rimango senza casa, divento un problema di tutti, i miei figli diventeranno dei criminali e non ci avrà guadagnato niente nessuno. Inoltre vi faccio fare una figura di merda perché mi metto a dormire davanti al Comune per un mese intero, se necessario».
Riesce anche a fare una battuta: «Non ho mangiato tutto il giorno per l’agitazione, ma questa non è una cattiva notizia, vista la linea».
Nel palazzo di via Belinzaghi, edificato nel 1928 e che ha subito gli ultimi lavori di ristrutturazione trentaquattro anni fa, il giorno dopo, non si parla d’altro. Una ragazzina di 11 anni, Alessandra, mostra le conversazioni su WhatsApp con Asia, figlia di Livia e sua migliore amica, in cui Asia dice che l’albergo le fa schifo e promettono di rivedersi. Sua madre Gloria, di 48 anni, è anche lei un’ex abusiva, sgomberata nel 2005. Si fece cento giorni di comunità, ma in quel palazzo vive ancora sua sorella.
Separata dal 2009 e divorziata dall’11 marzo di quest’anno, «il giudice aveva stabilito una cifra di 309€ di alimenti da parte del mio ex marito, ma lui non lavora e quindi non paga».
Provare a vendere un anello d’oro per sbarcare il lunario? Meglio aspettare Natale o San Valentino quando la domanda è più alta e i prezzi salgono
Gloria prova a vendere un anello in oro e brillanti in un Compro Oro di Viale Marche, mostra la ricevuta dell’epoca e sostiene di aver fatto delle ricerche su Google, dove il gioiello risulta ancora prezzato intorno ai 1000€. L’orefice lo guarda, ne misura dimensione e durezza e poi le offre 400-500€, ma le dice anche che se riuscisse ad aspettare Natale o San Valentino, quando la domanda aumenta, potrebbe salire un po’ con il prezzo.
Mostrano la casa della signora Gina, che qua tutti chiamano zia Gina, identica a quella occupata abusivamente per tre anni dalla ragazza portoghese. Sul terrazzino mancano alcuni pezzi di muratura, che di tanto in tanto si scrostano e cadono in cortile. «Con i soldi che hanno spesso per sgomberare una famiglia mobilitando 70 agenti, potevano ristrutturare questi palazzi, dove spesso piove dal tetto».
Un’altra donna, Patrizia, napoletana che compierà 56 anni il mese prossimo, vive a qualche centinaio di metri in via Giuffrè, nelle case popolari comunali gestite non da Aler ma da Metropolitana Milanese S.p.A.
Anche lei lavora come donna delle pulizie per famiglie facoltose, ma racconta che l’ultimo affitto da pagare ammonta a 992.96€: «me la sono segnata in testa, questa cifra». Fino a qualche anno fa viveva con sua madre e riuscivano a campare fra pensione di reversibilità del padre e indennità di accompagnamento per invalidi al 100%. Da quando la madre è morta dice di non farcela più.
Prima di andarsene a dormire, Livia vuole mostrare un’ultima cosa. La sua immagine profilo di Facebook è una tigre: «La mia vita può fare anche schifo, a volte, ma non smetto di combattere».