C’è un rito che si ripete ogni 9 luglio, da nove anni.
«Lo hai già visto?»
«Ovvio. Caressa, Civoli, Cucchi e anche la Gialappas»
Se quella sera del 2006 eravate ancora in grado di intendere e di volere dopo 120 minuti di finale mondiale, sapete già di cosa stiamo parlando. Perché fate parte anche voi di quella generazione eletta dalla Dea Eupalla, che ha visto almeno una volta la nazionale del proprio Paese vincere un Mondiale.
La generazione dei ragazzi dello stadio di Berlino non era solo quella dei tifosi, ma anche dei giocatori. Sembrava non dovesse vincere nulla
Quella dei ragazzi dello stadio di Berlino, poi, è una generazione particolare. Fatta di tifosi che hanno visto Goicoechea parare due rigori al San Paolo, Roberto Baggio fare magie e poi mandare un penalty nel cielo azzurro e infuocato di Pasadena. La nostra è quella generazione che fino a qualche anno fa, tutte le volte che sentiva un “toc” sordo, ripensava subito a quel caldo pomeriggio di giugno del 1998 in cui Gigi Di Biagio sparava il pallone sulla traversa sopra Barthez. La nostra è quella generazione che sembrava aver sconfitto la maledizione dei rigori, senza aver calcolato che Wiltord potesse farci gol all’ultimo secondo, quando la coppa era già stata addobbata con i nastri azzurri. E poi la Corea, Moreno, lo sputo di Totti in Portogallo. Che angoscia.
La generazione dei ragazzi dello stadio di Berlino sembrava non dovesse vincere nulla. Ci erano già passati Baggio, Maldini, Baresi: gente alla quale vorresti baciare i piedi ancora oggi e che in azzurro arrivava solo a un passo dalla gloria. Perché la generazione non era solo quella dei tifosi, ma anche dei giocatori. Buffon, Cannavaro, Nesta, Pirlo, Totti. Per alcuni di loro, Berlino era una tappa di pianura, per altri lo Zoncolan. Anzi, l’Alpe d’Huez. Un muro invalicabile, l’ultimo di una carriera, per giunta di lingua francese.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Quella Nazionale ha imparato a farsi amare con i giorni che passavano. Quando l’Italia è arrivata in Germania a giocarsi il Mondiale 2006, sul nostro pallone pesavano gli scandali legati a Calciopoli. Pochi giorni prima che gli Azzurri partissero per l’avventura tedesca, Luciano Moggi aveva abdicato nella pancia del San Nicola, dopo la cerimonia di consegna di uno scudetto che su quelle maglie sarebbe durato poco. I tedeschi, come i francesi non è che ci amino alla follia, avevano subito storto il naso. «Gli Azzurri pagheranno gli scandali al Mondiale», aveva detto Franz Beckenbauer. Che nel 2014 è stato sospeso dalla Fifa per non aver voluto sottoporsi al giudizio della commissione etica sul caso dell’assegnazione dei Mondiali 2022 in Qatar.
Ecco, se c’è una cosa che ha accomunato tutti i membri della eletta generazione dei ragazzi dello stadio di Berlino, è la rivalsa
Invece, caro Franz, c’eri anche tu alla consegna della Coppa, sul prato dell’Olympiastadion. Non c’era Blatter ma visto com’è andata poi anche per lui, meglio così. Ecco, se c’è una cosa che ha accomunato tutti i membri della eletta generazione dei ragazzi dello stadio di Berlino, è la rivalsa. Prima, per tifosi e giocatori che il 2 luglio del 2000 si sono ritrovati a guardare nel vuoto, senza parole, mentre la Francia festeggiava un Europeo che avevamo già vinto. O per chi nel 2003, a Manchester, tifava e giocava per l’italiana sconfitta del derby della finale di Champions. Una rivalsa costruita gara dopo gara. A cominciare da Buffon, imperforabile se non da un autogol. Lo fu per Materazzi, eroe inaspettato. Per Lippi, che di finali (ma di club) ne aveva perse tre. Per Del Piero, mai in feeling vero con l’Azzurro. E per Grosso, che fino a qualche anno prima giocava in Serie C e se lo filavano in pochi.
Noi ragazzi dello stadio di Berlino, di quel Mondiale ci ricordiamo tutto, come accade in tutti quei tornei dove la magia si crea pian piano. Dalla bella vittoria con il Ghana alla fatica con gli Usa, passando per la paura contro i cechi. Gli occhi gelidi di Totti prima di spaccare la rete degli australiani con un pallone pesante come la ghisa. Toni che si sblocca con l’Ucraina e poi la semifinale, dove l’orgoglio degli italiani emigrati in Germania si sostituisce al ruggito del Westfalen che urla “Sieg!”, “Avanti!”. Ci ricordiamo con chi abbiamo visto ogni partita e dove. Ci ricordiamo delle introduzioni di Caressa, del suo urlo dopo il gol di Grosso alla Germania, di Civoli che si concede un Mio Dio, della Gialappas che sfotte Domenech. Ed ogni 9 luglio noi ragazzi dello stadio di Berlino, che si lavori in ufficio o da casa, a un certo punto sappiamo che metteremo le cuffie alle orecchie o alzeremo il volume al massimo. Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo.
Oggi l’Italia è al diciassettesimo posto del ranking Fufa, il punto più basso da quando è stata creata la classifica
Dopo quel Mondiale vittorioso, ne sono seguiti due orridi. Oggi 9 luglio 2015, l’Italia è al diciassettesimo posto del ranking Fifa: il punto più basso da quando è stata creata questa classifica. E noi ragazzi dello stadio di Berlino ci ritroviamo tutti qui, a ricordarci di quella sera di nove anni fa, per ricacciare indietro la tristezza e vedere il rigore di Grosso ancora una volta. Abbracciamoci forte, e vogliamoci tanto bene.