«Sto semplificando la burocrazia olandese, ma vorrei aiutare voi italiani»

«Sto semplificando la burocrazia olandese, ma vorrei aiutare voi italiani»

Anna Pestalozza. 27 anni. Nata a Milano. Casa a Rotterdam dall’agosto 2011, lavoro a Delft, Olanda. È una designer con una laurea al Politecnico di Milano e un Master in Olanda, due anni di esperienza di lavoro all’estero, e la voglia di tornare in Italia. Con idee, competenze e un sogno: «ridisegnare la burocrazia italiana per fare in modo che non sia più un inferno». Ma un dubbio: «A chi mando le mie proposte? Al sindaco della mia città? A Matteo Renzi direttamente?».

Perché è questo che in Olanda Anna ha imparato a fare: progettare servizi utili al cliente. In ambito privato ma soprattutto medico e statale. «In Italia siamo ancora fermi a un concetto di design tradizionale, artigianale, legato alla realizzazione di un prodotto». In Nord Europa il design serve soprattutto a facilitare la vita delle persone e delle aziende. È una corrente che prende il nome di Design Thinking, molto diffuso anche negli Usa e soprattutto in California, ma semi-sconosciuto al Bel Paese. «Prendi gli strumenti classici di progettazione di un prodotto e li applichi ai servizi».

Anna, designer milanese, expat in Olanda da due e il sogno di ridisegnare la burocrazia italiana con le competenze acquisite a Delft

In Olanda Anna ha collaborato alla realizzazione di una app che semplificasse la vita a una grossa banca olandese ABN Amro: «Spendevano troppi soldi per dire ai clienti quali documenti presentare per ottenere certi servizi, come ad esempio un mutuo». Per loro lo studio dove Pestalozza lavora – De Interactie Ontwerpers – ha costruito un’applicazione ad hoc: si tratta – spiega – di un’archivio online tipo dropbox, in cui ciascun cliente può caricare i propri documenti. A questa cartella sono collegate delle checklist automatiche, ognuna relativa a un determinato servizio offerto dalla banca. Se ad esempio devi aprire un mutuo per comprare casa, la checklist relativa ti suggerisce tutti i documenti da presentare, ed è anche in grado di capire quali di essi sono già nella tua cartella, e “spuntarli” da sola. Ti segnala quelli mancanti e ti indica a chi chiederli. «Risultato: l’utente è in grado di fare molte più cose in maniera indipendente, senza comunque sentirsi abbandonato nel processo. Tramite la app può chiedere assistenza ad un esperto della banca, ma può anche decidere di condividere la “checklist” con il suo notaio o con il partner». Tutto avviene in remoto, senza il bisogno di prendere appuntamenti. Con valore aggiunto per la banca e semplificazione enorme per i cittadini. Un sistema simile, spiega Anna, si può applicare a un sacco di cose: moduli delle tasse, iscrizioni scolastiche, etc…

«Ho in mente un app per le partite Iva: un modo per scaricare le spese senza dover collezionare scontrini e fatture»

Tra le idee che questa ragazza ha in testa ce n’è una pensata anche per le partite Iva italiane, alle prese con scontrini, fatture, ricevute da salvare per poter scaricare certe spese dalla dichiarazione dei redditi: «Immagino un’app collegata alla carta di credito o al bancomat di lavoratori autonomi. La app registra tutte le transazioni, e permette al singolo utente di entrare e “spuntare” gli acquisti scaricabili. Una volta selezionate, la app crea un “report” con tutte le spese e allega la certificazione delle relative transazioni. In questo caso il lavoratore sarebbe portato a usare più frequentemente la carta o il bancomat, perché notevolmente più comodo, evitando di fare nero».

«Riprogettare servizi visti all’estero e adattarli all’Italia per ragazzi come Anna sarebbe un gioco da ragazzi»

Stare all’estero permette anche ai nostri expat di conoscere pratiche già ampiamente utilizzate nel nuovo paese di residenza ed estremamente funzionali. Riprogettarle adattandole all’Italia per persone come Anna sarebbe un gioco da ragazzi.

In Olanda ad esempio funziona già un sistema di «identità digitale certificata» che permette di pagare le tasse e di fare un sacco di altre cose via internet. Io ad esempio l’ho usata per gestire la dichiarazione dei redditi e i eventuali sussidi del governo (quando ancora li avevo, da studente) su affitto e assicurazione sanitaria. Io ad esempio ho il mio spazio online con riassunto tutto quello che ho fatto in Olanda, da lì posso stampare certificazioni del mio periodo da studente, dichiarazioni di residenza e un sacco di altre cose. Posso anche utilizzarla per autenticarmi con altri servizi “ufficiali” o governativi, ad esempio per richiedere dei documenti sul sito del municipio della mia città e provare che sono effettivamente io». Immagino che un sistema simile si possa usare anche per pagare una multa e presentare direttamente un ricorso, facendo upload di eventuali foto o documenti che vanno allegati». Di identità digitale certificata si è parlato anche in Italia, nell’ambito della strategia Europa 2020 e si attende il decreto attuativo che fissi il termine entro cui la disposizione entrerà in vigore.

Quando però chiedi ad Anna perché non torna a realizzare tutto questo, lei si dice «idealista e testona»: «Il mio sogno – spiega – é applicare quello che ho imparato al settore pubblico italiano, rendendo i servizi al cittadino piú efficienti senza sacrificare la qualitá. Qui a Delft ho lavorato molto per gli ospedali pubblici. Visto il costante aumento di anziani da ospitalizzare, si punta a innovare trasferendo servizi in remoto pur mantenendo intatta la parte “umana” del servizio. Però…» Però? «Io cerco di tenermi informata su quel che accade in Italia. Ho interesse nel tornare certamente. Tengo vivi contatti utili in futuro, ma…» Ma? «Ma non posso tirare un pallone in un campo dove non ho spazio per giocare». Di ostacoli al rientro Anna ne vede parecchi.

«Ma non posso tirare un pallone in un campo dove non ho spazio per giocare»

Uno. «Quando ne parlo nessuno mi capisce. Nessuno sa cosa vuol dire fare design in questo modo. Gli studi che ci sono in Italia sono molti pochi (Anna ha mandato anche il cv a uno di quelli, e le hanno accennato vagamente a uno stage a 300 euro al mese. Dopo due anni di esperienza all’estero).

Due. «Dovrei necessariamente trovare un contatto con il pubblico e non ho assolutamente idea da dove partire. Insieme alla mia socia ho proposto dei workshops sul Design Thinking e sullo User-centred Design sia allo Ied (Istituto Europeo di Design) che al Politecnico di Milano. Il Politecnico era molto interessato, ma non aveva denaro liquido a disposizione. Poteva pagarmi solo con rimborsi spese o altri trucchi, tipo creare una specie di borsa di studio. Ma il meccanismo era tanto complicato che alla fine ho accettato la proposta dello Ied. E se tutto il pubblico funziona in questo modo, lavorarci diventa molto difficile. Anche se in fondo il mio obiettivo è proprio fare in modo che le cose non siano più così complicate».

«Ho tante idee in mente. Come faccio a proporle al settore pubblico? Chi devo chiamare?»

Tre. «Qui ho uno stipendio che mi permette di vivere dignitosamente, risparmiare e continuare a imparare lavorando con professionisti del mio settore. A Milano ho amici con startup che pagano tanto solo perché considerati imprenditori e sono costretti a vivere con la madre perché non possono permettersi altro».

Eppure Pestalozza è convinta anche che «Ci vorrà anche gente per bene che rientri in questo paese per far sì che le cose cambino. Mi farebbe piacere tornare e lavorare in ambito socio-politico per migliorarlo. In Olanda mi capita spesso di trovare altri italiani con il mio stesso desiderio. Ma…»

Resta un ultimo «Ma»: «Chi chiamo? A chi mi propongo? A Pisapia? Telefono a Renzi?»

Olanda chiama Italia: qualcuno risponde?

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