Nel 2010 il bikini è stato riconosciuto come patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco.
Solo che l’Organizzazione della Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura non si riferisce affatto al noto costume da bagno “due pezzi” che affolla le località marittime vacanziere, ma a un isolotto sperduto in mezzo all’Oceano Pacifico.
Si tratta dell’atollo Bikini, una porzione di terra emersa della superficie di sei chilometri quadrati, praticamente disabitato da decenni, situato nelle Isole Marshall, in Oceania. Segni particolari? Dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale, l’atollo Bikini venne adibito a poligono nucleare dell’esercito americano.
Alle ore 9 del mattino del primo luglio 1946, un’enorme palla infuocata di colore giallastro-arancione si levò sopra il cielo di Bikini e sulla testa di una flotta di navi da guerra giapponesi sequestrate all’esercito nipponico: era l’esercitazione definita con il nome in codice Able, la quarta esplosione atomica della storia – dopo il Trinity test in New Mexico e le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki – facente parte della più amplia Operazione Crossroads, sviluppata dagli Stati Uniti in quella prima estate post bellica, per indagare gli effetti delle esplosioni nucleari su isole e navi e per studiare efficaci meccanismi di decontaminazione dalle radiazioni.
Il bikini prende il nome dall’atollo oceanico dove gli Stati Uniti testavano le armi atomiche
L’atollo Bikini era sotto il controllo americano dal 15 gennaio dello stesso anno, quando Henry Truman – allora Presidente – dichiarò la propria Nazione unica affidataria di tutte le isole sottratte ai giapponesi durante il conflitto.
Meno di un mese più tardi, i 167 nativi di Bikini vennero deportati nell’atollo di Rongerik – 18 miglia a est – per far spazio alla nuova palestra nucleare di Washington.
La decisione venne prese dal Governatore delle Isole Marshall, il commodoro Ben H. Wyatt, che sostenne di aver convinto i locali a spostarsi di propria volontà, citando loro l’esodo degli ebrei verso la Terra Promessa narrato nella Bibbia, testo sacro che gli isolani avevano imparato a conoscere grazie al lavoro di conversione messo in atto dai missionari presenti nell’arcipelago.
Il Governatore Wyatt provò addirittura a confezionare un finto filmato nel quale si riproduceva il meeting del 10 febbraio 1946, in cui il capo villaggio ’’King Juda’’ avrebbe consegnato spontaneamente le “chiavi” dell’isola. Vennero girate sette diverse pellicole ma le uniche parole strappate al capo della tribù di Bikini furono: ‹‹Siamo disposti a partire. Siamo nella mani di Dio››.
Nei decenni successi, a partire dalla metà degli anni ’70, alcune famiglie degli autoctoni provarono a tornare nella loro patria isola, ma vennero evacuate già nel 1978 per via degli elevati tassi di radioattività presenti nei loro corpi – venne rilevata la presenza massiccia di Stronzio-90 radioattivo e di Cesio-137 – frutto dell’ingestione dei cibi contaminati.
Ancora nel 2010, Bikini – che in lingua marshallese significa la “terra del cocco” – risulta disabitato.
I deportati da Bikini sono riusciti ad ottenere nel corso degli anni alcune somme in denaro come risarcimento da parte del governo statunitense, grazie ad azioni legali intraprese in particolare dopo il 1954, anno in cui gli Usa cominciarono a testare sull’atollo alcune bombe all’idrogeno: il test Bravo, realizzato il primo marzo di quell’anno venne strutturato per generare una potenza distruttiva di mille volte superiore rispetto alla bomba sganciata su Hiroshima. Esistono testimonianze di quella mattina rilasciate dagli abitanti che raccontano di aver visto ‹‹due soli nel cielo››.
Crossroads fu la prima operazione nucleare messa a disposizione dello show business, giornalisti, scienziati e analisti militari. Venne annunciata in pubblico con settimane di preavviso e l’esercito consentì a centinaia di osservatori della stampa di tutto il mondo di assistere alle operazioni per poterle documentare. Uno dei più noti, fra i fotografi presenti, era Fritz Goro, tedesco di nascita e che lavorava per lo staff della rivista Life.
Goro documentò, nei giorni successi alle esplosioni – Able fu la prima, seguita da Baker fatta esplodere a 27 metri di profondità sotto il mare, ma fino al 1958 vennero condotti altri 21 test –, i decessi delle cavie animali, per lo più capre e ratti, esposte alle radiazioni. Morirono tutte nel giro di pochi giorni o poche settimane.
Mentre gli americani pensavano a come affermare la propria supremazia atomica sul mondo dei due blocchi, un ingegnere spiantato di automobili parigino, Louis Réard, seduto sui bordi di una piscina della capitale francese, rifletteva su come a fare una valanga di soldi.
Venne colpito dalle immagini e dai resoconti della prima esplosione a Bikini, al punto tale che dopo 3 giorni, il 4 luglio 1946, lanciò sul mercato il “due pezzi”, proprio con il nome dell’atollo oceanico, nella speranza di intercettare lo stupore misto sgomento dell’opinione pubblica, che per la prima volta poteva guardare a mezzo stampa il tragico spettacolo dei funghi atomici.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Fu fortunato l’ingegnere francese che i vertici militari americani scelsero l’atollo con quel nome così pop come sito delle loro sperimentazioni. Sarebbe stato decisamente più difficile far innamorare i consumatori occidentali di un costume da bagno che si chiamasse, per esempio, Ailinglaplap o Enewetak – come i nomi delle isole limitrofe a Bikini.
Nonostante la bislacca, quanto originale, strategia di marketing, l’indumento fu un flop: venne vietato in Belgio, Italia e Spagna, definito “poco plausibile” dalle autorità australiane che si occupavano di buon costume, suscitò lo sdegno e l’imbarazzo dei cristiani – a Città del Vaticano s’indignarono per la scabrosità del costume che metteva in mostra zone proibite del corpo, molto più di quanto furono colpiti dalla deportazione di 200 abitanti dall’isola di Bikini.
Vietato in Italia, Spagna e Belgio. ’’Scomunicato’’ dal Vaticano. Il bikini si afferma per merito di Ursula Andress, la prima donna di James Bond
Dopo l’iniziale fallimento sul mercato arrivarono però gli anni ’60, il bikini venne elevato a simbolo dell’emancipazione sessuale femminile, per affermarsi definitivamente nella cultura dominante in una clip cinematografica del 1962 di Agente 007-Licenza di uccidere – il primo film della serie di James Bond – quando Ursula Andress, attrice svizzera e prima Bond girl della storia del cinema, emerge dalla acque del mare indossando un bikini bianco e suscitando l’interesse di Sean Connery, in quella che secondo un sondaggio di Chanel 4 è stata considerata per anni la scena più sexy mai apparsa sul grande schermo.