Viaggio nel giornalismo greco, il meno libero d’Europa

Viaggio nel giornalismo greco, il meno libero d’Europa

«I media greci? Ormai sono più che altro uffici stampa dei gruppi di potere». A dirlo non è un contestatore no-global vessato dalla Trojka, ma Ioannis Alafouzos, proprietario del gruppo SKAI TV e del giornale Kathimerini, cioè uno dei più importanti personaggi del settore. Uno che, quando dice che «la situazione è del tutto malsana» e che ormai «sembra che il compito principale dei giornali sia di eseguire compiti specifici per conto di chi li possiede», crea un certo stupore.

Si parla tanto di Grecia, ma si parla poco di come funzioni il giornalismo nel Paese. A quanto pare, non molto bene. Secondo uno studio della Open Society Foundations, condotto da Petros Iosifidis (City University of London) e Dimitri Boucas (London School of Economics) «la Grecia è, tra i Paesi membri Ue, quello dove il giornalismo e i media affrontano la crisi più acuta». La lista dei problemi è lunga e varia: poche risorse finanziarie (dovuti anche alle condizioni imposte dall’austerity), concentrazione dei gruppi editoriali in poche mani, disoccupazione, autocensura, minacce, ricatti e, infine, una giurisprudenza ostile nei confronti del giornalista in caso di querela. Il tutto in un quadro che, anche prima della crisi, non brillava per indipendenza e libertà.

«La stampa, in Grecia, si diffuse durante la lotta per l’indipendenza dal dominio ottomano, e accompagnò il formarsi del Paese come nazione. La televisione arrivò nel 1966, e la ERT, la rete televisiva statale, trasmetteva in regime di monopolio su tutto il suolo greco», spiega Iosifidis a Linkiesta. Le dinamiche di mercato – in particolare in seguito alla deregulation nel settore televisivo, degli anni ’80 – portarono a una crescita esponenziale dell’offerta mediatica, che divenne perfino eccessiva. «Alla fine degli anni ’80 c’erano due canali televisivi pubblici e quattro stazioni radio. Trent’anni dopo ci sono 160 canali privati e 1200 stazioni radio. Nessuno di questi ha una licenza ufficiale per le trasmissioni, ma solo permessi temporanei accordati dal governo». Il tutto – va ricordato – per un Paese di 11 milioni di abitanti.

I giornali e le televisioni «non seguono logiche giornalistiche, ma assecondano necessità diverse». Appoggiare il governo per ottenerne i favori, nascondere fatti imbarazzanti relativi ai proprietari del gruppo editoriale o loro amici. Oppure ricattare le istituzioni con informazioni pericolose per averne un tornaconto

In generale, si è fatto poco per evitare che i media si concentrassero nelle mani di pochi gruppi o famiglie. «Il mercato è dominato da una manciata di soggetti», spiega Iosifidis. «Si tratta di giornali che, dopo gli anni ’80, sono entrati anche nel settore della televisione e poi di internet. Sono almeno sei o sette. Tra questi si distingue la Lambrakis Press, che possiede Ta Nea, giornale di portata nazionale. Poi le edizioni Tegopoulos, proprietari di Eleftherotypia. La Pegasus, della famiglia Bobolas, che possiede Ethnos e il gruppo della Press Institutions, a capo di Eleftheros Typos. La succitata famiglia Alafouzos, proprietaria di Kathimerini, e la Vradyni di proprietà di Mitsis». Da notare, poi, «che anche Syriza ha un giornale (Avgi) e così il partito comunista (Rizospastis)». Sono tutti giornali che hanno estensione nazionale. In genere, «hanno posizioni filogovernative e poche volte criticano l’operato dei politici».

Il legame tra media e politica, in Grecia (ma non solo) è molto stretto. I giornali e le televisioni «non seguono logiche giornalistiche, ma assecondano necessità diverse». Appoggiare alcune decisioni del governo per ottenerne i favori, ad esempio. Oppure nascondere fatti imbarazzanti relativi ai proprietari del gruppo editoriale. Oppure ancora, ricattare le istituzioni con informazioni imbarazzanti o pericolose per un tornaconto economico e/o politico. «È molto diffuso, come in altri Paesi dell’Europa meridionale, un rapporto clientelare tra media e politica», scrivono nella ricerca. È la “diaploki”, traducibile come “intreccio di interessi”, cui si somma la presenza, nel settore, di editori impuri, che portano avanti istanze legate alle loro attività principali (in genere petrolieri e armatori). Un quadro grave ma, per il lettore italiano, abbastanza familiare.

La crisi e le politiche di austerity, poi, «hanno avuto un impatto devastante». Da un lato «si è vista, chiara, l’intenzione da parte della politica di creare grossi agglomerati». Dall’altro, si è vista l’implosione dell’intero sistema. «La disoccupazione è esplosa. I salari sono stati tagliati. Al momento, la paga media, decisa dal contratto nazionale, è di 581 euro lordi (490 euro per chi ha meno di 25 anni). Il 20% dei giornalisti iscritti al sindacato di Atene è disoccupato. Il 30% ha interrotto il lavoro perché non pagato». La chiusura, nel 2012, del canale Alter, «ha provocato 800 licenziamenti, giornalisti compresi». Il giornale Imerisia (che fa capo al gruppo “Pegasus”) ha fatto tagli lineari, «da 150 dipendenti nel 2011 a 30 nel 2013». In tutta la “Pegasus”, del resto, «degli originari 1500 dipendenti, ne sono rimasti 430». La situazione economica indebolisce i giornalisti, che pur di lavorare e conservare il posto «sottostanno alle condizioni decise dai loro datori di lavoro», con tanti saluti alla libertà di stampa.

Il caso internazionale Lux Leaks, che ha riguardato anche aziende greche, era stato affidato in esclusiva a Ta Nea dal Consorzio di Giornalismo Investigativo. Su pressione della proprietà, si decise di censurare i nomi delle aziende greche coinvolte nel caso, perché legate in affari con gli editori del giornale

I casi di auto-censura, del resto, sono numerosi. Già nel 2004, in occasione dei lavori per le Olimpiadi, «ci fu, da parte dei giornali, un deficit di informazione su questioni come le allocazioni finanziarie e i budget dei progetti di costruzione delle strutture. Il motivo? Erano coinvolti molti proprietari di giornali». È il “triangolo del potere”, che unisce politica, media e attori economici come banche e grandi aziende. Gran parte di questi attori è anche proprietario di televisioni e giornali. Per svolgere la propria attività (o per coprire condotte illegali) è necessario mantenere un rapporto benevolo con lo stato, che fornisce permessi e concessioni. Di conseguenza, spiega la ricerca, sarà difficile trovare sui giornali critiche al governo (che deve essere tenuto amico) o informazioni sulle sue azioni più discutibili.

La repressione delle proteste dei minatori di Skouries

Allo stesso modo, – continua la ricerca – la Piraeus Bank, che ha assorbito negli ultimi anni diverse altre banche, non è finita sui giornali quando si è scoperto che la famiglia alla sua guida collegava le attività della banca alle proprie attività offshore. Motivo? Era ed è uno dei principali inserzionisti dei giornali greci. Per farne un altro esempio, si può citare il caso “Skouries” del 2014, cioè il silenziamento da parte dei media delle proteste dei minatori di Skouries, che segnalavano problemi di tipo ambientale, represse con durezza dalla polizia. Il motivo? Era collegato, da una rete di interessi economici, con la proprietà della “Pegasus”. E ancora: il caso internazionale Lux Leaks, che ha riguardato anche aziende greche, era stato affidato in esclusiva a Ta Nea da parte dell’International Consortium of Investigative Journalism. Su pressione della proprietà, si decise di censurare i nomi delle aziende greche coinvolte nel caso, perché legate in affari con gli editori del giornale.

La “diaploki” ha contribuito a mettere sotto silenzio anche le notizie auti-austerity, a far sparire quelle sull’immigrazione e, in generale, a trasmettere un’immagine positiva e pro-euro della situazione. «Questo coincide con la visione del greco medio – spiega il professore – che vuole che la Grecia rimanga nell’eurozona. Le uniche eccezioni sono Avgi, il giornale di Syriza, e Rizospastis, del partito comunista».

Dove non arriva la censura, arriva anche il timore di cause giudiziarie infinite e pericolose. «I giornalisti si trovano ad affrontare accuse per diffamazione o per violazione della privacy, con la pubblicazione di dati personali. Si chiedono, in questi casi, somme molto grandi. Questa situazione è considerata un ostacolo per la libertà di espressione e per il giornalismo investigativo in particolare». Un caso su tutti: «nell’ottobre del 2011 il giornalista Kostas Vaxevanis fu arrestato e accusato di violazione della privacy dopo aver pubblicato la “Lagarde List”, una lista di evasori fiscali greci su conti bancari svizzeri. Venne processato e prosciolto per due volte. Ma questo non ha impedito che venisse coinvolto in accuse e querele in tempi recenti», come forma di intimidazione.

Le violenze della polizia sui manifestanti in un’immagine scattata da Marios Lolos

«Più di recente, i giornalisti sono stati oggetto di attacchi fisici e minacce (sia contro di loro che contro le loro famiglie). Alcuni sono stati seguiti e spiati, ad altri hanno rubato dati importanti. Tutti questi fatti non sono apparsi sui media mainstream. Alcuni, nel 2012 sono stati picchiati dalla polizia mentre documentavano le manifestazioni anti-austerity. Tra questi Marios Lolos, a capo del sindacato di Atene. Ha dovuto subire un intervento chirurgico in seguito alle ferite. Un altro fronte è quello dei militanti di Alba Dorata. Secondo un report di Amnesty International, il giornalista di SKAI Michael Tezaris è stato pestato da attivisti di Alba Dorata e manifestanti anti-immigrazione».

I tempi, insomma, sono bui. Schiacciato tra dinamiche di potere, ricatti economici, pressioni internazionali e violenza quotidiana, il giornalismo greco non se la passa bene. La deregulation degli ultimi anni ha favorito pochi gruppi di potere, che dettano la legge e dominano il mercato. La morsa della crisi censura i giornalisti. Pochi riescono a essere coraggiosi, «ma esistono. Il futuro del giornalismo greco, nonostante la situazione attuale, può essere luminoso». Esistono media indipendenti «come ad esempio Unfollow e HotDoc che hanno scoperchiato scandali e intrecci economici. Alcuni collettivi formati da studenti, attivisti e blogger riescono a raccontare il disagio nei confronti delle politiche governative, le violenze della polizia, gli affari. È merito di internet: fornisce una piattaforma valida per giornalisti perseguitati ed esclusi. Cui non è rimasta alternativa».

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