«Per me che volevo fare l’imprenditore, San Francisco era la Mecca». Ma della Mecca Enrico Bruschini, 26 anni di età, non conosceva assolutamente nulla prima che lei stessa lo andasse a cercare. Poco tempo fa. Quasi per caso. «Dopo due anni di Ingegneria Aerospaziale alla Sapienza di Roma, avevo deciso che l’idea iniziale di diventare ingegnere non faceva per me. E avevo cambiato con una laurea in Economia e Finanza. Sognavo di creare qualcosa di mio e avevo bisogno di una facoltà che mi desse una visione più ampia delle cose. Finita la triennale, stavo cercando un Master in International Business. Guardavo ad Amsterdam, a Londra. Finché un giorno non mi contatta una università americana». La Hult Business School. Enrico si candida per gioco, senza prendere subito seriamente la cosa. Ma viene selezionato.
Decidere di fare un master negli Usa anziché in Europa, significa molto di più che un anno di formazione all’estero. Vuol dire darsi l’opportunità vera di arrivare a lavorare nel paradiso delle start-up e dell’innovazione. E per Enrico, che in Italia aveva già lavorato su questo fronte e sognava larghi orizzonti nel mondo tech, voleva dire molto. «Se frequenti un master negli Usa per un anno, ottieni un visto di lavoro per un ulteriore anno. Ti danno la possibilità di fermarti e mettere in pratica quello che hai imparato in un’azienda». E poi è una questione di network. «Il mercato statunitense si basa tutto sul concetto di fiducia. Non assumono mai o quasi mai qualcuno che non abbia già lavorato o fatto attività significative in America. Se frequenti un master hai la possibilità di fare network, e di raccogliere le referenze di cui hai bisogno per dare garanzie a chi ti assumerà alla fine degli studi».
«Quando nasci in un paesino di provincia, e ti diplomi al liceo vicino a casa, la cosa più naturale è andare a studiare nella città meno distante»
È qualcosa che Bruschini tiene a dire. Soprattutto pensando ai liceali italiani. «Quando nasci in un paesino di provincia, e ti diplomi al liceo vicino a casa, la cosa più naturale è andare a studiare nella città meno distante. Per me, uscito dal Liceo di Nettuno, quella città era Roma. Non conoscevo alternative, non avevo consapevolezza dei grandi istituti internazionali. Ho scelto Ingegneria Navale perché avevo un papà che lo faceva già di mestiere e sono da sempre appassionato di vela. Ma sono arrivato a fare quel che davvero volevo fare solo per caso. Per questo mi piacerebbe che la mia storia servisse invece ad aiutare altri italiani ad essere più ambiziosi, e a guardare oltre la città più vicina. La mia storia dimostra che raggiungere San Francisco e la Silicon Valley non è un sogno impossibile».
«Non avevo le risorse economiche per frequentare il master della Hult, ma ho ottenuto una scholarship e ho chiesto un prestito al Fondo studenti italiani, una realtà poco nota ma molto utile per chi vuole studiare negli Usa. Offre prestiti all’americana, che ripaghi quando inizi a lavorare».
Per lavorare nella Baia, tuttavia, occorrono anche altri strumenti. Bisogna apprendere velocemente il «mindset» del posto. «Qui devi imparare il pragmatismo. Nessuna formalità, nessun linguaggio accademico.Anzi. Devi imparare a scrivere sgrammaticato. E lo devi fare, altrimenti la tua mail «sounds wrong» (suona sbagliata, ndr)». Sono dettagli, spiega Enrico, che se fai il developer non affronti mai ma se sei nel lato business di un’azienda, devi imparare in fretta».
Il primo lavoro che Bruschini ottiene è un ruolo di Direttore Operativo (COO, Chief Operating Officer) presso Pick1 di Paolo Privitera, un italiano conosciuto durante una delle attività fatte al Master. «Sono stato presidente del Club di Entrepreneurship della scuola. Ho costruito una competizione imprenditoriale per studenti, sulla falsariga di un’esperienza che avevo già fatto a Roma, InnovActionLab. Vi hanno partecipato più di 80 studenti, e ho coinvolto una quarantina tra mentor, giudici e speaker. Tre dei team che vi hanno preso parte sono oggi start-up che ancora lavorano sul progetto presentato in quell’occasione», spiega Bruschini per far capire la logica del network che vige nella Silicon Valley. «Privitera era uno dei senior coinvolti. Ed è lui che alla fine del master mi ha voluto nel suo team». Per Pick1 Enrico lavora a una partnership con IBM Watson, un’azienda che si occupa di cognitive computing. Il prodotto che Enrico deve sviluppare – coordinando ingegneri e tecnici e intrecciandovi le esigenze di clienti e mercato – è un software di analisi dati sull’audience online. «Abbiamo creato un modo per collezionare i testi scritti dalle persone sui social network (persone che spontaneamente prendono parte a un sondaggio lanciato dall’azienda e che vi accedono attraverso i social). I testi sono poi sottoposti ad analisi semantica, da cui si ricava la personalità dell’utente». Un lavoro sulla frontiera dell’analisi dei dati.
«Devi imparare il pragmatismo e a scrivere sgrammaticato, e devi farlo il prima possibile»
Pochi mesi dopo a contattarlo è Loris Degioanni, un italiano che ha di recente fatto parlare di sè per aver lanciato una nuova start-up dopo una exit da 30 milioni di dollari con la Cace Technology.
«La sua nuova azienda si chiama Sysdig (da “Dig into the system”) ed è una delle cose più nerd al mondo», scherza Enrico. «Il suo è un team fortissimo, e per me era una sfida davvero interessante». Degioanni ha raccontato di scegliere gli ingegneri con cui lavora in Italia, soprattutto tra quelli usciti dal Politecnico di Torino. Ed è proprio per coordinare 16 di quegli ingegneri che Enrico viene chiamato a gennaio 2015. Il suo scopo è quello di costruire la parte business dell’azienda, e portare il prodotto sul mercato. «In Sysdig lavoriamo a un progetto open source, Sysdig Cloud. Si tratta di un prodotto che permette a un’azienda con un grosso numero di server di controllare costantemente l’intera infrastruttura per assicurarsi che sia adeguata al carico di lavoro. Creiamo cioè uno strumento che colleziona dati in real time per mostrare lo stato dell’infrastruttura. In questo modo è possibile anche registrare e rivedere i dati nel caso in cui qualcosa vada storto e si voglia analizzare l’errore per evitare di ripeterlo».
In Italia Bruschini aveva avuto già la possibilità di lavorare in un’azienda fortemente innovativa, Energie Etiche, una start-up romana che crea software per testare il luogo di istallazione di una pala eolica. «Con i metodi standard occorrono 18 mesi e 10mila euro di investimento per verificare che un posto sia adatto a una turbina eolica, che ci sia abbastanza vento. Noi offrivamo un modello matematico alternativo al metodo statistico tradizionale capace di dare un risultato più accurato, in soli tre mesi di tempo e ad un costo di 3 mila euro». Non solo un vantaggio economico. Anche ambientale, visto che molte piccole turbine eoliche non vengono proprio testate con il metodo standard per paura che il risultati non siano positivi e che si perdano 10.000 euro e 18 mesi di test. Energie Etiche abbatte i costi e i rischi di investimento.
«Qui c’è la possibilità di costruire qualcosa di rilevante che abbia un impatto su molte persone»
«Vi ho lavorato per circa un anno. Mi occupavo di fundraising per far crescere l’azienda. Con tecnologia così sofisticata, occorre tanto tempo e tanto denaro prima che l’azienda sia profittevole. E raccogliere i soldi necessari in Italia era impossibile. Eppure cercavamo fondi per poche centinaia di euro. Quando Loris Degioanni ha lanciato qui la sua seconda azienda ha raccolto 2,3 milioni dopo pochissimi mesi, poi altri 10,7 milioni prima ancora di portare il prototipo in sperimentazione privata. Qui nella Silicon Valley ci sono alcuni dei migliori venture capital del mondo». Certo, Degioanni aveva un passato che lo aiutava, ma in Italia, spiega Enrico, non sarebbe stato facile nemmeno per lui.
Tornare in Italia è un’ipotesi che Enrico considera del tutto inappropriata al momento. «Non voglio tornare, non ora, perché qui ci sono opportunità di crescita personale e professionale. Qui c’è la possibilità di costruire qualcosa di rilevante che abbia un impatto su molte persone. C’è una velocità diversa nel costruire un’azienda o un prodotto. In molto meno tempo si può costruire qualcosa, imparare, riuscire o sbagliare e, in caso, provare ancora».
«Nella Silicon Valley in poco tempo puoi costruire qualcosa, imparare, riuscire o sbagliare e, nel caso, provare ancora»
«Quando mi guardo indietro – chiude Bruschini – vedo una persona che non sapeva nulla su come vanno le cose fuori da Nettuno e da Roma. Se qualcuno me lo avesse detto, se avessi letto, se avessi trovato notizie sulle opportunità formative all’estero, ci avrei pensato prima, sarebbe stato tutto meno frutto di una coincidenza. Per questo è importante che tutto ciò si racconti. I giovani italiani che sognano la Silicon Valley devono sapere che arrivarci è più facile di quel che si crede».