Come nascono i bambini? Da un fiore, portati dalla cicogna – a sua volta incaricata da dio o da Gesù – o arrivano con lo zio calabrese: i bambini interpellati da Pasolini nella scena iniziale di Comizi d’amore sono reticenti, alcuni rispondono, ma in modo preconfezionato, come se volessero prendersi gioco degli adulti, come se volessero tenerli alla larga dal proprio circolo privato.
Girato tra il marzo e il novembre del 1963, presentato per la prima volta al Festival di Locarno nel luglio del 1964 e uscito nelle sale italiane nella primavera-estate del ’65 – esattamente 50 anni fa – Comizi d’amore è uno dei pochi progetti autonomi della produzione documentaristica pasoliniana, costituita principalmente da sopralluoghi e lavori preparatori.
Inizialmente pensato come una sorta di sussidio pedagogico per l’educazione sessuale degli italiani, il film subì diverse evoluzioni, tante quante i titoli scelti
Inizialmente pensato come una sorta di sussidio pedagogico per l’educazione sessuale degli italiani (secondo Pasolini molto ignoranti in materia), il film subì diverse evoluzioni, tante quante i titoli scelti. Il risultato finale è un film-inchiesta, uno spaccato di vizi, tabù e nevrosi di una società fondamentalmente arcaica, travolta dal benessere economico: la «vecchissima, caldissima e innocentissima Italia degli anni sessanta».
Interviste di strada sull’amore
Prendendo spunto dal documentario sociologico di Jean Rouch ed Edgar Morin Chronique d’un été (nel quale i cineasti vagabondano nell’estate parigina, rivolgendo ai passanti l’annosa domanda: «Siete felici?»), cinepresa e registratore alla mano, Pasolini, come «una sorta di commesso viaggiatore», gira in lungo e in largo per la penisola, per capire – attraverso interviste a persone comuni, intellettuali, e gente di spettacolo – il grado di conoscenza dei suoi connazionali in campo sessuale e le loro opinioni in materia.
Alla gente che passeggia, prende il sole o lavora nei campi, Pasolini fa una domanda sull’amore, entrando in quel territorio in cui si incrociano coppia, famiglia, sesso, rituali di fidanzamento e tariffe delle prostitute
Alla gente che passeggia, prende il sole o lavora nei campi, Pasolini tende il microfono e fa una domanda sull’amore, facendosi largo in quel territorio incerto in cui si incrociano la coppia, la famiglia, il sesso, i rituali di fidanzamento e le tariffe delle prostitute. Qualcuno risponde, qualcuno si avvicina e prende la parola, altri stanno intorno, approvano o dissentono, borbottano o intervengono: sono «le interviste di strada sull’amore», come le definirà quindici anni più tardi Michel Foucault.
Commentano il tutto, oltre a Pasolini stesso, lo psichiatra Cesare Musatti (che Foucault definisce «banale») e lo scrittore Alberto Moravia, in qualità di esperti e di guide, in realtà poco decisive. Come poco decisivi sono in genere i contributi degli intellettuali interpellati, da Camilla Cederna a Oriana Fallaci. Fa eccezione Giuseppe Ungaretti, che alla domanda: «Cos’è contro natura?» risponde in modo brillante, da poeta:
Più interessante, in genere, la gente comune, per quanto le risposte siano spesso confuse e ipocrite, senza dubbio viziate dalla presenza delle telecamere. Per questa e per altre ovvie ragioni, il film si può ritenere solo parzialmente rappresentativo della società italiana dell’epoca: un documento interessante, a volte assolutamente ilare, ma per nulla decisivo a livello statistico.
La civiltà del pane
Le repliche degli intervistati sono un coacervo di contraddizioni individuali e collettive, che si traducono in tautologie semplicistiche del tipo «siamo così perché siamo così». Spesso si riducono a commenti – potremmo dire – giuridici: pro o contro il divorzio, l’omosessualità, o il ruolo preminente del marito. Come se la società dell’epoca, a cavallo tra morale cattolica e i nuovi imperativi consumistici – tra i segreti del confessionale e le prescrizioni della legge – non avesse ancora trovato un modo per raccontare pubblicamente il sesso.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
All’ipocrisia del Nord Italia, e in particolare della classe borghese, il Sud risponde con un conservatorismo misoneista che si rifugia negli usi e nei costumi (si fa così perché si usa). Emblematico il dialogo con un ragazzo in spiaggia: «Tu sei favorevole al divorzio?» «No» risponde il ragazzo «E perché?» «Perché sono calabrese».
Girando per le campagne, al Nord come al Sud, tra vecchi retaggi e conservatorismi atavici, scopre un mondo meno pudico, che a tratti si svela addirittura moderno nell’approcciarsi ai temi della sessualità
Pasolini approccia con simpatia il mondo contadino tanto amato, quello che lui – citando Felice Chilanti – chiama: «la civiltà del pane». E girando per le campagne, al Nord come al Sud, tra vecchi retaggi e conservatorismi atavici, scopre un mondo meno pudico, che a tratti si svela addirittura moderno nell’approcciarsi ai temi della sessualità, grazie a una schiettezza non ammantata di perbenismo.
I mostri delle balere
Quasi assente – e non a caso – l’odiatissima classe borghese, che pure ci riserva alcune delle perle comiche del film. La responsabilità è da imputare, almeno in parte, a Pasolini stesso, che stenta ad avvicinare la vituperata classe media e, quando lo fa, la approccia con prevenuta diffidenza, e senza lesinare il sarcasmo.
Gli studenti universitari, ad esempio, – perbenisti e pretenziosi – non ne escono benissimo, ma il più memorabile resta il baldo frequentatore della balera milanese, che dopo essersi vantato della sua intelligenza superiore («se sono operai o camerieri non c’è niente da fare con me») e del suo fascino magnetico con le donne, quando Pasolini gli chiede cosa prova nei confronti degli omosessuali risponde senza esitazione «ribrezzo», premurandosi poi di cercare rassicurazione sull’esattezza della sua risposta.
Non sorprende, dunque, che alle prese con i nuovi mostri monicelliani del boom economico l’autore si rifugi di volta in volta in un gruppo di bambini o in una giovane contadina modenese o in una “treccina” siciliana, per riprendere fiato e trovare un po’ di spontaneità.
Gli danno sollievo soprattutto le risposte delle ragazze giovani, che spesso si dimostrano fiere e indipendenti, pronte a contraddire l’opinione più conservatrice dei genitori e molto aperte su argomenti come il divorzio, in quegli anni di grandissima attualità. Come era di grande attualità anche la legge Merlin, entrata in vigore già da alcuni anni e bocciata pressoché all’unanimità «dal basso delle classi sociali e dal profondo degli istinti», cioè da quella fetta di intervistati – per lo più operai e prostitute – che interviene nell’ultima parte dell’inchiesta.
Matrimonio all’italiana
Iniziato con la beffarda innocenza dei ragazzini meridionali, il film si conclude con l’unico inserto di fiction: la scena di un tipico matrimonio, interpretata da Vincenzo Cerami e dalla nipote di Pasolini, Graziella Chiarcossi.
Nella «caldissima e innocentissima» Italia, la possibilità di un dialogo sembra ancora esistere. Ed è su questo punto che si concentra la conclusione del film, in cui emergono, dalla voce stessa dell’autore, i suoi bilanci e i suoi auspici. Abbandonato il proposito di condurre un’indagine sistematica su come gli italiani parlano di sesso, abbandonato l’intento dichiaratamente didascalico, Pasolini contempla lo scampolo di realtà fotografato e tira le somme a suo modo, da poeta.
«Alla fine, certo, un po’ confusi, un po’ ridenti, un po’ ammiccanti, un po’ disperati, se qualcuno glielo chiede, potrebbero darsi un bacio» annota Pasolini negli appunti preparatori alla sceneggiatura. Il rapido e casto bacio dei vecchi film: è così che si immagina il finale della sua indagine sulla sessualità. E quanto all’augurio che rivolge agli sposi, «al vostro amore si aggiunga la coscienza del vostro amore» allude a una consapevolezza a cui aspira lo stesso Pasolini. Da raggiungere magari anche attraverso questo film, che Enzo Siciliano ha definito «il suo più spassionato autoritratto».