«Allarme sanitario? In realtà non abbiamo registrato alcun contagio. Sarebbe difficile il contrario, visto che non ci sono contatti con la popolazione locale». Maria Rita Gismondo è la responsabile del laboratorio di Microbiologia clinica dell’ospedale Luigi Sacco di Milano. Professoressa all’Università degli studi di Milano, è una delle principali esperte di malattie infettive. A sentire lei, per ora i migranti che arrivano nel nostro Paese non rappresentano un rischio igienico-sanitario elevato. Con buona pace degli allarmi lanciati da diversi leader politici. Il problema semmai riguarda alcune campagne mediatiche, ingiustificate nella loro portata, come quella sul virus Ebola di alcuni mesi fa. Emergenze, non sempre reali, che sia nel nostro Paese che a livello internazionale hanno finito per creare sprechi e spese inutili.
I soccorritori, dati alla mano, non rischiano nonostante i record di sbarchi. Il contagio avviene solo fra migranti
Intanto proseguono gli sbarchi. Secondo le proiezioni del ministero dell’Interno entro la fine dell’anno saranno almeno 170mila i migranti che arriveranno in Italia. Una cifra record che andrebbe a superare il primato del 2014. Ma quanti sono realmente i casi di malattie portate dai profughi su territorio italiano? «I migranti provengono da lunghi viaggi senza possibilità di cure igieniche – continua la dottoressa Gismondo – Pertanto le loro malattie sono quelle cutanee, come la scabbia, o le micosi. A seconda del Paese di provenienza vi sono alcuni casi di parassitosi intestinali». In Italia qualcuno ha lanciato l’allarme anche per altre malattie. «Per quanto riguarda virus come HIV o epatiti non capisco come un migrante possa trasmetterle ai nostri soccorritori» aggiunge la responsabile del Sacco. «Sono virus a trasmissione sessuale – nel caso dell’epatite A si tratta di trasmissione oro-fecale – l’eventuale contagio esiste solo fra i migranti».
Un anno fa la dottoressa Gismondo era in prima linea durante l’escalation di panico legata al virus Ebola. L’Ospedale Sacco di Milano era una delle due strutture italiane – assieme allo Spallanzani di Roma – ad essere dotata di camere per il trattamento di Ebola. «Ormai quell’emergenza è rientrata – racconta – I casi sono sporadici, circoscritti sempre alle stesse aree. Ma oggi sappiamo che gli organismi internazionali non sono pronti a fronteggiare un’emergenza del genere».
La dottoressa del Sacco non risparmia critiche alla gestione di quella crisi: «Anche un’evenienza così tragica finisce nel tritatutto del business. Negli ospedali di mezzo mondo sono state sprecate importanti risorse economiche per l’eventuale cura di un paziente affetto da Ebola. Se quel budget fosse stato impiegato per migliorare la sanità in quei Paesi, oggi avremmo fatto un salto di qualità e nella prossima emergenza – che ci sarà, aggiunge la Gismondo – ci sarebbero stati benefici non solo per gli africani, ma per l’intero pianeta». Questo avveniva mentre all’Organizzazione mondiale della sanità si chiedeva un taglio lacrime e sangue di quasi il 25% del bilancio, in seguito alla crisi economica. Con pesanti ripercussioni sulla ricerca e le terapie per le patologie dei paesi in via di sviluppo rispetto alle malattie croniche, come il diabete, tipiche del mondo ricco.
Per Ebola soldi buttati dalla comunità internazionale nell’allestire ospedali in Occidente. «Si potevano migliorare le condizioni dell’Africa ma ha vinto il business»
Il caso italiano è emblematico: «Con uno spreco assurdo, ogni regione italiana ha attrezzato un laboratorio di livello 3 per la diagnosi di Ebola. Questo è avvenuto grazie a un decreto ministeriale di Beatrice Lorenzin». Presidi sanitari in parte inutili. Dopo aver eseguito ogni test, infatti, ciascuno di questi laboratori Bsl3 (Biosafety level 3) lo ha dovuto inviare a una delle due strutture di riferimento, Sacco di Milano o Spallanzani di Roma, dotate di Bsl4: «Ha idea di quanto sia costato tutto questo? Solamente il trasporto, circa mille euro. Mi sembra assurdo in un periodo in cui si chiedono tagli e risparmi nella sanità».