Jacopo Mele e la generazione Millennials: Londra è l’hub in cui stare

Jacopo Mele e la generazione Millennials: Londra è l’hub in cui stare

Di lui si è detto e visto tanto. Abile comunicatore, è stato ospite più volte di trasmissioni Rai e sono molte le interviste o i video che raccontano di lui in Rete. È diventato famoso per i record battuti da ragazzino e per essersi inventato una professione: il digital-life coach. A 12 girava video, a 14 programmava. Pochi anni più tardi – dopo aver sentito il fratello che gli diceva «Tu questi video li devi rendere virali..», essersi chiesto cosa voleva dire “girare un video virale” e aver cercato e trovato una risposta sul web – entrava nelle aziende come consulente di web marketing. Oggi, a 22 anni Jacopo Mele aiuta startup e imprese con un fatturato tra i 10 e 500 milioni di euro a crearsi una vita online. «Affianco i manager di un’azienda per quattro, cinque mesi. Capisco quali sono i loro obiettivi (dallo sbarco in Cina alla gestione di una crisi), e li aiuto a realizzarli attraverso la comunicazione online».

Ma non solo. Jacopo è mille altre cose insieme, perché l’entropia, dice lui, è il suo «essere». Trentaquattro sono i progetti in cui è attualmente coinvolto, compreso il lancio di una startup che produrrà una bevanda capace di eliminare fino al 60% di benzene nel sangue e una fondazione che misura la qualità dell’aria assegnando un sensore a ciascun cittadino e diffondendo i dati raccolti su una piattaforma online indipendente, libera e accessibile a tutti.

Jacopo è a Londra con un obiettivo: «conoscere almeno una persona al giorno»

E non è ancora finita. Perché questo ragazzo, che alle scuole superiori faceva sempre troppe ore di assenza (ha un diploma in cinema alla Roberto Rossellini di Roma) e in università non ha mai messo piede («L’università crea percorsi standard, io mi formo con e-learning, community e app. E vivo nel presente»), ha deciso di trasferirsi pochi mesi fa a Londra. E ci è venuto con un obiettivo: «Conoscere almeno una persona al giorno». Ma perché Londra? «Perché da qui prima o poi passano tutti».

Grande opera di networking, il formarsi da sé imparando in continuazione, e la condivisione di idee. Unita alla creatività di unire cose lontane. Funziona così la generazione di Jacopo, quei Millennials sempre più intrecciati al fenomeno nuovo della mobilità. Per necessità, virtù o avventura lasciano l’Italia e cercano patrie dell’anima in cui realizzare sogni, progetti e vita.

Mele in Italia faceva 200mila km all’anno in treno per prendere un caffè con qualcuno conosciuto in rete, per apprendere nozioni nuove dal manager dell’azienda con cui lavorava, per raccogliere consigli utili allo sviluppo dei suoi progetti da chiunque potesse offrirgliene. È così che si è creato tutte le competenze che oggi possiede. Ha rubato un piccolo mattone di conoscenza a ogni persona che ha incontrato sulla sua strada («le persone che incontro e che mi danno fiducia, quelle con cui scambio valore che poi trasformo»). E Londra è l’estensione naturale di quel percorso. Solo che qui non è lui a muoversi, sono gli altri che gli vengono incontro.

I Millennials: networking, autoapprendimento continuo e condivisione di idee. E tanta mobilità

«Mia sorella è atterrata il 15 gennaio. Ha fatto un colloquio ed è stata assunta. Il 17 sera sono arrivato io. L’idea era di proseguire insieme per una vacanza in Islanda. Ci volevo andare da quattro anni, mi incuriosisce il fatto che lì si uniscono le due placche eurasiatica e nordamericana. E infatti sembra di arrivare al centro del mondo, a contatto con il nucleo della Terra. Quella prima sera in Gran Bretagna ho incontrato un’amica giornalista di Bloomberg, un amico che lavora per un’agenzia stampa inglese e Nicola Greco, fellow del Berkman Center di Harvard e ricercatore al Mit con Tim Berners Lee. Il giorno successivo, a King’s Cross, la stazione da cui partono i treni per Parigi e Bruxelles, mi sono sentito al centro dell’Europa, iperconesso». E sebbene Jacopo a lasciare l’Italia non ci aveva proprio mai pensato («Ho una media dislessia. Si dice che un dislessico ci metta in media tre anni per imparare la seconda lingua e per me sono tantissimi»), appena tornato dall’Irlanda ha preso casa insieme alla sorella e a Londra ci è rimasto. «Ho chiamato la mia rete italiana e ho avvisato che restavo qui».

Mele qui è un expat bizzarro. Dall’Uk continua a seguire gli stessi progetti nazionali e internazionali cui stava lavorando prima di partire. Ma il telelavoro non è sempre sufficiente. Cinque o sei giorni al mese li passo in Italia. Per fare network ci vuole anche contatto diretto. Il mio è anche un lavoro molto fisico, e io sono un piccolo animale da riunione. È lì che ci si diverte».

«In ogni progetto che seguo entro, prendo “la cosa preziosa” e poi trasferisco le conoscenze acquisite ad altro»

«Prima del mio intervento, le imprese si focalizzano spesso su social o singole tecniche di comunicazione, ma mancano di una visione di insieme», dice. «Il mio compito è quello di trasferire questa visione e di far lavorare i dirigenti dei vari settori in sinergia (dal direttore finanziario a quello del marketing), anziché lasciarli a coltivare il proprio orticello. Chiedo qual è l’obiettivo che vogliono raggiungere e poi cerco di capire da dove è nato. Spesso scopro che in realtà stanno puntando a tutt’altro, e il primo passo da fare e riassettare il goal. Food, immobiliare, beverage. Seguo tanti settori diversi. A volte per esempio ragiono su come migliorare il cash flow dell’azienda per recuperare soldi da una settore e reinvestirli in comunicazione. Sempre con una visione organizzata dell’azienda, senza competizione tra i vari settori. Io affianco parte dell’operatività per alcuni mesi, e aiuto a capire come reperire le giuste risorse umane sul mercato. Poi lascio che il management continui da sè».

«In ogni progetto che seguo entro, prendo la cosa preziosa e poi trasferisco le conoscenze acquisite ad altro». La “cosa preziosa” di Jacopo Mele è il know how, il mestiere, la perizia. Quella che metterà a disposizione della prossima rete con cui si lavorerà. «Nei trentaquattro progetti che ho aperti ora, il mio ruolo è sempre quello di mettere insieme persone e modelli. È riportare a nuovi scenari quel che ho imparato dall’ultimo direttore marketing incontrato. È fare rete di persone e di idee».

Generazione Millennials: auto apprendimento, condivisione, network. E Londra, l’hub.

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