La lotta degli zapatisti di Chiaiano, coltivano la terra contro la camorra

La lotta degli zapatisti di Chiaiano, coltivano la terra contro la camorra

NAPOLI – Il Centro Direzionale di Napoli ad Agosto è come la scenografia di un film di Sergio Leone rivisitato in chiave postmoderna. C’è un silenzio quasi irreale e se si fa eccezione di qualche sparuto visitatore che sbuca da una delle vuote cattedrali che sorgono in questo deserto polveroso di cemento e vetro, la solitudine è quasi totale. Qui, presso l’isola 5, sorge il Centro di Documentazione Regionale contro la Camorra, un centro istituito presso la Presidenza della Giunta Regionale della Campania al cui interno sorge una biblioteca di un migliaio di volumi e rassegne stampa tematiche sui temi della camorra e della lotta alle mafie. Il viaggio verso il Fondo agricolo Amato Lamberti, il primo bene agricolo confiscato alla criminalità organizzata che sorge nel quartiere di Chiaiano a Nord di Napoli, inizia qui.

Fabio Giuliani, è Coordinatore di Libera Campania. «Il Centro di Documentazione Regionale è la nostra sede – spiega a Linkiesta – la sede di Libera. Noi siamo ospitati in questo centro che nasce da una legge regionale dell’89 e grazie ad un protocollo d’intesa che va avanti oramai da sei anni siamo qui». Libera, attraverso la raccolta di un milione di firme, fu la promotrice della legge 109 del ’96, ovvero la legge sull’utilizzo dei beni confiscati. «In giro per l’Italia – spiega Giuliani – facciamo un’opera di promozione e valorizzazione dei beni confiscati, dando una mano anche a coloro che intendono utilizzarli. Qui in Campania siamo molto attivi visto che è la seconda regione d’Italia per numero di immobili confiscati». Il discorso cade anche sul Fondo Amato Lamberti, confiscato anni fa alla camorra e gestito oggi da una cooperativa sociale. «Il Fondo Amato Lamberti è un bene confiscato tredici anni fa, assegnato al Comune con un progetto mai visto di parco urbano, poi risequestrato perché sul quel bene confiscato ci continuavano ad operare soggetti “ignoti”, ovvero non identificati ma che facevano sicuramente capo ai vecchi proprietari ai quali era stato confiscato. È stato poi affidato temporaneamente alla cooperativa (R)esistenza Anticamorra. In seguito il Comune di Napoli, sotto pressione nostra e della Cooperativa (R)esistenza, ha fatto regolare bando pubblico, vinto poi dalla stessa Cooperativa (R)esistenza».

«Chiaiano è un caso singolare: gli abitanti si sono dovuti difendere non solo dalla camorra, ma anche dallo Stato»

Giù al piazzale deserto Ornella Esposito, giornalista napoletana, mi aspetta nella calura. Guardandola da lontano, la sua sagoma appare deformata dai vortici di calore che si creano nell’aria, come in certi miraggi del deserto. Al Centro direzionale di Napoli non c’è un albero neanche a pagarlo. «Quella di Chiaiano – dice asciugandosi il sudore – una delle aree boschive della città martoriata dalla presenza di tredici cave, è una storia unica. La storia, per dirla con le parole dello scrittore Eduardo Galeano, del “mondo alla rovescia”, quello in cui le logiche democratiche compiono una rotazione di trecentosessanta gradi favorendo, con la complicità di pezzi marci dello Stato, gli imprenditori camorristi e schiacciando la volontà del popolo. Chiaiano è un caso singolare: gli abitanti si sono dovuti difendere non solo dalla camorra, ma anche dallo Stato». Su Terra dei Fuochi e discariche Ornella Esposito ha confezionato un documentario (“Ogni singolo giorno”, prodotto dalla Rogiosi) e prepara anche un libro. Mi spiega come raggiungere il Fondo, visto che c’è già stata.

Un’immagine del Fondo agricolo Amato Lamberti di Chiaiano, Napoli

Qualche ora dopo, l’auto s’arrampica su stradine che s’addentrano nelle fertili campagne che s’estendono a nord di Napoli. Dai finestrini dell’auto filari di alberi da frutta sfilano come in un racconto cinematografico di un Sud fertile e prosperoso. Qui a Chiaiano si coltiva la famosa ciliegia ‘recca’, dal colore rosa-pallido e dal frutto duro e carnoso che trae gran parte della sua specificità dalla connotazione tufacea del terreno su cui è coltivata. Nel 2008 il Governo Berlusconi, con il sostegno dell’allora capo della polizia De Gennaro, aveva individuato questi luoghi per costruire una discarica la cui capienza massima sarebbe stata di 800mila tonnellate. Soltanto le lotte accanite degli abitanti, di cittadini comuni e attivisti hanno evitato il peggio. E’ lecito chiedersi come si possa individuare un luogo simile, così fertile, per costruirci una discarica. Forse per approfittare dell’emergenza rifiuti e seppellire in fretta e furia anche altri rifiuti ‘speciali’, rifiuti che imprenditori e politici senza scrupoli, con la connivenza dello Stato, hanno disseminato negli anni nelle aree circostanti? La domanda ricade nell’aria calda che entra prepotentemente attraverso il finestrino rotto dell’auto. Ad ogni modo dalle lotte anti-discarica nasce un’idea semplice quanto rivoluzionaria: appropriarsi di un bene confiscato alla criminalità per rilanciare tutto il territorio. Usare l’agricoltura in chiave anti-camorra. Uno schiaffo alla criminalità ma anche alle autorità, silenziose complici dello scempio compiuto in Campania negli ultimi trent’anni.

Il simbolo della lotta di queste terre èoggi davanti agli occhi di tutti. Voltato l’angolo il colpo d’occhio èimpressionante. Ettari di pescheti, vigneti e ciliegeti curati e coltivati, il tintinnio delle posate dei ragazzi che giàapparecchiano le grandi tavole di legno per il pranzo, la selva di tende dei volontari che ogni giorno salgono qui per dare una mano nei campi e per svolgere diverse mansioni, i canti dei boyscouts e dei ragazzi delle parrocchie che vengono da tutta Italia per i campi estivi: il bene confiscato alla camorra èstato trasformato dai volontari della cooperativa sociale (R)esistenza Anticamorra in una fiorente repubblica autosufficiente dove si producono vino, marmellate di pesche, dove il lavoro della terra crea tessuto sociale, condivisione e non morte e discariche come altrove. Oggi il bene ospita detenuti in affidamento al lavoro, comunitàalloggio per minori, un protocollo col dipartimento di giustizia minorile, 350 ragazzi che da tutt’Italia vengono a formarsi e a lavorare nel periodo estivo. Insomma un bene confiscato alla criminalitàdiventato modello di sviluppo.  “Qui la camorra e la malapolitica hanno perso”, recita una grande scritta vicino all’ingresso del Fondo il cui nome ricorda Amato Lamberti, giornalista e sociologo che ha fondato e diretto l’Osservatorio sulla Camorra della Fondazione Colasanto e la Selva Lacandona, in Chiapas, dove i guerriglieri dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) si asserragliarono per combattere in favore dei diritti degli indios e contro la barbara repressione dell’esercito messicano.

Non èdiverso da quanto accaduto qui dove i ragazzi che lottavano per difendere il territorio dalla militarizzazione (che avrebbe portato alla costruzione forzata della discarica) si arroccarono proprio su queste selve e boschi per dare inizio alla loro forma di resistenza cittadina. Paradossalmente lo stato, con la militarizzazione del territorio, continuava a favorire la criminalitàorganizzata dato che il bacino della gigantesca cava che doveva servire a costruire la discarica, poi chiusa nel 2011, era stato costruito in subappalto da ditte collegate alla malavita, favorite anche dal carattere dell’emergenza che permetteva di abbreviare le procedure per l’assegnazione degli appalti pubblici. I ragazzi della cooperativa sociale (R)esistenza Anticamorra, che oggi gestiscono il fondo, hanno dovuto lottare dunque su due fronti, contro lo stato e contro la camorra, due fronti che spesso diventavano uno solo quando interessi comuni erano palesemente minacciati.

Egidio Giordano èuno dei membri storici del Comitato anti-discarica di Chiaiano e delle lotte che hanno portato alla creazione del Fondo Lamberti-Selva Lacandona.  “Nella nostra cooperativa – racconta a Linkiesta – confluiscono sensibilitàed esperienze diverse. Io abito poco distante da qui, a Mugnano, questa terra mi sta a cuore. Assieme a tanti altri cittadini del territorio abbiamo dato vita a una battaglia molto forte, molto dura nei confronti del Commissariato Straordinario all’emergenza rifiuti, un ente commissariale a cui lo stato aveva affidato l’individuazione di siti per costruire discariche durante l’emergenza rifiuti in Campania. Quando il sito di Chiaiano fu individuato abbiamo costruito una fortissima mobilitazione cittadina, creato un presidio permanente di Chiaiano, occupato una parte del quartiere, bloccato le strade per evitare che arrivassero mezzi pesanti. Era il 2008, il governo Prodi era caduto proprio sull’emergenza rifiuti ed il primo atto del governo Berlusconi fu proprio quello di individuare siti per costruire le discariche”.

Egidio racconta la lunga lotta, il ritiro verso le colline sovrastanti la discarica e l’origine del nome “Selva Lacandona”. «Vengo dal territorio – racconta – conoscevo quest’area del Parco delle Colline. Quando ci fu questa mobilitazione noi più giovani ci rifugiammo proprio nella “selva”, costruendo una sorta di accampamento per bloccare le strade e difendere la nostra terra ispirandoci alla Selva Lacandona dove l’Ezln, il subcomandante Marcos e tanti artigiani cominciarono nel ’94 la loro resistenza indigena nei confronti del governo messicano che voleva cedere quei territori alle multinazionali per impiantarci coltivazioni Ogm. Contro gli zapatisti non c’erano solo soldati ma anche paramilitari. Anni dopo, quando abbiamo dovuto dare un nome a quel bene confiscato, nel ricordare la nostra lotta ed il ruolo del governo nella costruzione della discarica e nella devastazione del territorio ma anche il ruolo della camorra che su questo territorio faceva da “sentinella” (e che un po’ ricorda il ruolo dei paramilitari) abbiamo deciso di battezzare il fondo “Selva Lacandona”. 

In un bene di quattordici ettari di pescheto, vigneto e ciliegeto – dimenticato dallo Stato e dove fino a dieci anni fa la camorra scioglieva le persone nell’acido – oggi si producono marmellate, vino, prodotti d’eccellenza

Egidio mi porta a visitare il fondo. Le terre coltivate si perdono a vista d’occhio. Mi mostra il pescheto, dove alcuni ragazzi sono ancora al lavoro sotto un sole cocente, e il bellissimo vigneto che produce una falanghina Doc. Nell’ottobre scorso questa falanghina è stata portata in giro per tutta Italia nell’ambito di un progetto itinerante, un progetto di riscatto portato a termine grazie al contributo dei ragazzi del campo estivo di Libera Chiaiano-Scampia, quartieri alle porte di Napoli. L’iniziativa, denominata “Facciamo un pacco alla camorra”, serviva a ricordare che in un bene di quattordici ettari di pescheto, vigneto e ciliegeto – dimenticato dallo Stato e dove fino a dieci anni fa la camorra scioglieva le persone nell’acido – oggi si producono marmellate, vino, prodotti d’eccellenza.

Un’immagine di volontari e boyscout nel Fondo agricolo Amato Lamberti di Chiaiano, Napoli

«Il paradosso – racconta Egidio mentre con un gesto della mano abbraccia i vigneti – è che questo fondo fu sequestrato alla camorra nel 1997 e confiscato  poi nel 2001. Nel 2008 però qui è bene sapere che c’era ancora la camorra, nonostante il decreto di confisca. Il governo Berlusconi poi aveva trasformato in aree militari tutti i siti che dovevano servire a costruire le discariche. Chiunque protestava rischiava fino a cinque anni di carcere. Grazie al nostro processo questo decreto poi è stato definito incostituzionale dalla Cassazione. Ma il più grande paradosso è questo: mentre l’esercito difendeva i luoghi da chi legittimamente protestava per proteggere il proprio territorio e dai comitati cittadini, qui, sul Fondo Lamberti, c’era la camorra indisturbata che conviveva con l’esercito nonostante la confisca del bene». 

Le aziende che in subappalto hanno costruito la discarica voluta dallo Stato, per affidamento diretto dei lavori, oggi sono indagate perché in odore di camorra

La battaglia è lunga e difficile ma gli attivisti la spuntano. Nasce l’idea di creare un Fondo agricolo da cui rilanciare tutto un territorio martoriato da discariche abusive, militarizzazioni, attività criminali.  «È stata una battaglia molto dura e molto lunga ma noi, come Comitato anti-discarica di Chiaiano, la discarica l’abbiamo fatta chiudere. Quando questo bene è stato riconsegnato immediatamente abbiamo pensato che appartenesse al territorio. Un’esperienza di lotta e di resistenza sia contro le organizzazioni criminali sia contro lo Stato che spesso si fa promotore degli interessi di queste organizzazioni. È bene ricordare che le aziende che in subappalto hanno costruito la discarica voluta dallo Stato, per affidamento diretto dei lavori, oggi sono indagate perché oltre ad aver truffato i cittadini utilizzando materiali non adatti per le impermeabilizzazioni sono anche in odore di camorra. Insomma è stata la camorra a costruire la discarica. L’altro paradosso è che io ed altri attivisti siamo stati arrestati, poi rilasciati ma siamo tutt’ora sotto processo. Nelle accuse, poi immediatamente cadute, si paventavano addirittura nostri rapporti con la criminalità organizzata». 

Un’immagine dei volontari nel Fondo agricolo Amato Lamberti di Chiaiano, Napoli

Gli attacchi, anche bassi, al Fondo non sono certo mancati. A cominciare da quello di Mario Maffei, esponente del Pd di Scampia, che a nome di un’associazione satellite (Genitori Democratici di Napoli) ha fatto partire un ricorso al Tar per illegittimità dell’assegnazione del Fondo alla Cooperativa R-esistenza definendo i ragazzi ed i volontari che ogni giorno ci lavorano “abusivi”. In realtà il fondo era stato gestito “abusivamente” dalla camorra per ben 13 anni e nessuno aveva avuto niente da ridire, nemmeno il Pd di Scampia. Per tutta risposta i ragazzi hanno organizzato una simbolica “vendemmia abusiva”. Oggi, dopo anni di battaglie e duro lavoro, il Fondo Rustico “Selva Lacandona” è stato dato in affidamento definitivo alla Cooperativa (R)esistenza Anticamorra. Un risultato positivo per un modello di sviluppo positivo certificato anche dai numeri: 700 partecipanti ai Campi Estivi in due anni, diecimila bottiglie di falanghina Doc prodotte, rilancio di tutto un territorio. Certo i problemi non mancano. I furti di attrezzi per il raccolto continuano, nell’ultimo blitz di sabotaggio addirittura sono apparse alcune svastiche. Ma i ragazzi non demordono.

«Una volta arrivati non si può non restare stupiti da questo luogo. È un posto incredibile che emana una grande energia. Ci sono attivisti da tutta Italia, basta sentire gli accenti»

È ora di pranzo. Con Egidio ritorniamo vicino all’ingresso dove i ragazzi di una parrocchia di Bari già sono seduti ai grandi tavoli per pranzare. Dalla cucina esce fuori un gruppo di ragazzi sorridenti con un pentolone fumante. Oggi nel menù penne al sugo e tonno. Ciro Corona, presidente della cooperativa (R)esistenza, ed Egidio m’invitano a mangiare con loro. Mi siedo accanto ad un gruppo che parlotta animatamente. «I nostri genitori avevano una certa titubanza a mandarci qui – racconta Annarita, una boyscout di Roma – ma poi una volta arrivati non si può non restare stupiti da questo luogo. È un posto incredibile che emana una grande energia. Ci sono attivisti da tutta Italia, basta sentire gli accenti. Ogni giorno ci sono mansioni diverse. Un giorno ci occupiamo dei pescheti, un giorno delle vigne, un giorno diamo una mano a riparare le scuole di Scampia, oggi dipingiamo le insegne per il Fondo. Ci si sente davvero parte di una comunità».

«A me sembra di stare a toccare una terra santa – dice improvvisamente padre Salvatore – un po’ come quando calpesti la terra di Auschwitz o questi luoghi di morte che poi sono diventati dei luoghi di speranza, di riscatto, di rivincita»

A una delle tavole è seduto un signore di mezza età che guarda benevolmente i ragazzi seduti a mangiare mentre chiacchierano ad alta voce. È padre Salvatore De Pascale, parroco di Trigiano, in Puglia. «Sono qui con cinquanta ragazzi della mia parrocchia San Giuseppe Moscati di Trigiano – racconta – siamo qui perché questi ragazzi vogliono dare profondità e senso alla loro vita. Da anni volevamo fare un campo sui terreni confiscati alla mafia, ci siamo riusciti quest’anno». Mentre attendono i piatti a tavola i boyscout cominciano ad intonare un coro scherzoso (“Capo facci mangiare, se non ci fai mangiare noi mangeremo il capo”, recita). Salvatore sorride. «Alcuni di questi ragazzi hanno messo in piedi un movimento di cittadinanza attiva – dice – dal nome “L’Altra Via”. Noi siamo qui per crescere, per imparare ad aprire gli occhi e svegliare le nostre coscienze, una formazione per vivere la nostra vita in maniera più seria, più vera». Il pranzo è iniziato, i ragazzi sono tutti seduti per mangiare. Quelli che si occupano del servizio (le mansioni al Fondo ruotano ogni giorno) girano tra i tavoli chiedendo se tutti hanno la forchetta o il bicchiere. Tutto è in ordine, il pranzo puo’ cominciare. I ragazzi della parrocchia parlano della loro giornata nei campi. Una ragazza minuta con gli occhiali tondi parla della capretta che vive all’interno del Fondo. «A me sembra di stare a toccare una terra santa – dice improvvisamente padre Salvatore – un po’ come quando calpesti la terra di Auschwitz o questi luoghi di morte che poi sono diventati dei luoghi di speranza, di riscatto, di rivincita. Questa per me è come una Terra Santa».

C’è da credergli. Il riscatto di Napoli e della Campania non parte da grandi promesse sulla carta o da cantieri dai nomi altisonanti che arricchiscono pochi e impoveriscono i molti ma da esperienze “dal basso” come queste. Frutti, prodotti della terra e cultura contro ignoranza, violenza e abiura.

@marco_cesario

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