No trivelle: cosa c’è dietro le proteste contro Renzi all’Aquila

No trivelle: cosa c’è dietro le proteste contro Renzi all’Aquila

Questo non è un Paese per fossili. Da Sud a Nord, il movimento contro le trivellazioni per la ricerca di gas e petrolio guadagna ogni giorno sostenitori, tra cittadini, ambientalisti, scienziati e politici da destra a sinistra. Lo scorso 25 agosto i “No Triv” hanno contestato Matteo Renzi nel corso della sua visita a L’Aquila. Al largo delle coste abruzzesi dovrebbe sorgere Ombrina Mare, uno dei più grandi progetti di estrazione, trattamento e stoccaggio di idrocarburi liquidi e gassosi previsti nel mare Adriatico. 

Dopo il decreto sblocca Italia del governo Renzi, diventato legge a novembre 2014, negli ultimi mesi le istanze per la ricerca, prospezione e coltivazione (estrazione) di idrocarburi sulla terraferma e in mare si sono moltiplicate. Dalla Pianura Padana alla Romagna, i progetti riguardano tutte le coste adriatiche fino al Salento, ma anche Campania, Basilicata, il golfo di Taranto e il Canale di Sicilia. E anche gli amministratori locali si sono messi di traverso, impugnando quello che è stato ribattezzato “sblocca trivelle” davanti alla Corte Costituzionale. L’ultima proposta arriva dall’assessore all’Ambiente della Regione Abruzzo, che ha chiesto al consiglio regionale di discutere la possibilità di indire un referendum per l’abrogazione di un comma (il primo dell’articolo 35) del decreto sviluppo del governo Monti, che per primo ha resuscitato le trivellazioni entro le 12 miglia.   

Il coordinamento nazionale No Triv, che oggi raccoglie più di 150 tra associazioni e comitati, nasce proprio nel 2012. Il decreto sviluppo dell’allora ministro Corrado Passera fu in pratica una sanatoria per i progetti petroliferi bloccati dall’ex ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, che aveva previsto lo stop a tutte le attività entro le 5 miglia marine ed entro le 12 miglia in presenza di un’area marina protetta, fermando i procedimenti allora in corso. Monti estese il limite delle 12 miglia a tutte le coste. Ma in più salvò “i procedimenti in materia di idrocarburi off-shore che erano in corso alla data di entrata in vigore del cosiddetto correttivo ambientale”. 

Poi è arrivato il decreto sblocca Italia del governo Renzi, che a sua volta ha velocizzato e snellito l’iter burocratico per la richiesta di ricerca ed estrazione, esautorando le regioni dai pareri vincolanti e mettendo in pratica di fatto le previsioni della Strategia energetica nazionale del 2012 che chiedeva una semplificazione degli “iter autorizzativi”. Come si legge nel dossier “La politica energetica italiana nella XVII legislatura”, lo sblocca Italia “contiene significative disposizioni che vanno nella direzione di rilanciare la ricerca e la coltivazione degli idrocarburi”, indicata come “attività di interesse strategico”, stabilendo che il “titolo autorizzativo comprende la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell’opera”, tanto che “se le opere da eseguire comportavano variazione degli strumenti urbanistici, ha anche l’effetto di variante urbanistica”. 

Per Ombrina Mare, ad esempio, «la produzione stimata inciderebbe sul consumo nazionale per percentuali irrisorie

«Non a caso in questo ultimo periodo le istanze sono cresciute in maniera esponenziale, e con queste la richiesta di conversione dei titoli in “titoli concessori unici”», spiega Stefano Pulcini, portavoce del Coordinamento nazionale No Triv. «Così come sono cresciuti i decreti di compatibilità ambientale». Quello per Ombrina Mare della Rockhopper Italia, di fronte alle coste abruzzesi, è arrivato lo scorso 7 agosto, a ridosso delle ferie estive. Il progetto prevede da quattro a sei pozzi, la realizzazione di un serbatoio galleggiante per il trattamento e lo stoccaggio di olio, oltre che una piattaforma di produzione di gas e olio. 

«La nostra contrarietà», spiega Pulcini, «non deriva solo da questioni ambientali. Ne facciamo un discorso sistemico, incardinato sui principi della conversione ecologica dell’economia e delle attività produttive. Il governo punta sulle trivellazioni, mentre il mondo intero va verso direzioni alternative, con riduzioni significative degli investimenti in energia da fonti fossili». Secondo la Bloomberg New Energy Finance, mentre nel resto del mondo gli investimenti in fonti rinnovabili nel 2014 sono aumentati del 16%, in Italia hanno invece subito un tracollo del 60 per cento.  

Anche le royalty, cioè i guadagni che lo Stato ha per le concessioni alle aziende private, sono bassi: 10% sul valore di vendita dei prodotti estratti a terra; mentre sul mare sono del 7% per il gas e 4% per il petrolio

Contro il Decreto Sblocca Italia è intervenuto anche un gruppo di scienziati di Bologna, riuniti nel Comitato “Energia per l’Italia”, che ha inviato una lettera pubblica a Matteo Renzi sostenendo che il decreto «non prende in considerazione la necessità di creare una cultura del risparmio energetico e più in generale della sostenibilità ecologica». Tanto più, dicono, in un Paese che «non ha carbone, ha pochissimo petrolio e gas, non ha uranio, ma ha tanto sole e le tecnologie solari altro non sono che industria manifatturiera, un settore dove il nostro Paese è sempre stato all’avanguardia». Secondo i calcoli di Legambiente, le riserve di petrolio ancora a nostra disposizione sono di circa 130 milioni di tonnellate. L’anno scorso ne abbiamo estratto circa 6 milioni di tonnellate, oltre a 5 di gas. Insomma, dicono gli scienziati, si ridurrebbero mare e terra a una groviera per poche gocce di energia, che potrebbero garantirci l’autonomia per non più di un paio d’anni

(Fonte: Legambiente)

«Le risorse certe a nostra disposizione sono limitate», dice Pulcini, «e non giustificano azioni come quelle che si stanno mettendo in atto e che si protrarranno per lunghissimi periodi». Per Ombrina Mare, ad esempio, «la produzione stimata inciderebbe sul consumo nazionale per percentuali irrisorie – lo 0,2% per il petrolio e 0,001% per il gas – così come l’occupazione prevista sarà marginale: l’azienda stessa dichiara soli 14 assunti per un impianto di dimensioni mostruose». E anche le royalty, cioè i guadagni che lo Stato ha per le concessioni alle aziende private, sono bassi: 10% sul valore di vendita dei prodotti estratti a terra; mentre sul mare sono del 7% per il gas e 4% per il petrolio. Nel 2014, nelle casse delo Stato sono entrati 402 milioni di euro di royalty a fronte di un valore delle estrazioni di oltre 7 miliardi. Per fare un confronto, in Danimarca il prelievo per lo Stato dalla tassazione totale delle attività estrattive oscilla tra il 64 e il 77 per cento

Tra le società che hanno avuto il lasciapassare di recente ci sono, tra le altre, anche la Spectrum Geo Limited, autorizzata alle indagini sui giacimenti di un’area di oltre 30mila metri quadri nel mare Adriatico, la Enel Longanesi, che lavorerà nel golfo di Taranto, e la Appenine Energy, autorizzata a cercare il petrolio al largo delle coste marchigiane. Ma laddove dovrebbero esserci nuove trivellazioni sono nati da Nord a Sud comitati, associazioni e gruppi locali “No Triv”, a cui hanno fatto seguito diverse azioni delle amministrazioni locali. La Puglia per prima è ricorsa al Tar contro le autorizzazioni ambientali concesse per le estrazioni nell’adriatico. E il 14 luglio i governatori di Basilicata, Puglia e Calabria hanno partecipato a Policoro a una manifestazione contro le trivelle nel mar Ionio. La provincia di Teramo, i comuni della costa teramana e due comuni marchigiani il 7 agosto scorso hanno invece depositato ricorso al Tar del Lazio contro il progetto di prospezione con il cosiddetto “air gun” della Spectrum nell’Adriatico, sostenendo che l’area destinata all’attività sfiora il limite delle 12 miglia, arrivando a 4-5 miglia dalla costa. L’air gun è una tecnica di ricerca degli idrocarburi tramite spari continui di aria compressa che inviano poi informazioni sulla composizione del sottosuolo. La tecnica all’inizio era contenuta nel disegno di legge sugli ecoreati, ma a maggio la Camera ha votato tre emendamenti che hanno cancellato il divieto. 

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