Numeri sbagliati, lavoro incerto, l’Italia non è ripartita

Economia

Dopo la sorprendente correzione al ribasso, da parte del ministero del Lavoro, dei numeri sull’incremento dei contratti a tempo indeterminato nei primi sette mesi del 2015 siamo tutti un po’ più preoccupati. Innanzi tutto, il numero relativo alle cessazioni di contratto è maggiore di 1,4 milioni, e quindi la salute del mercato del lavoro è peggiore di quanto avessimo pensato. In secondo luogo, sorge almeno qualche dubbio sulle competenze dei responsabili della raccolta di queste statistiche: l’errore è infatti stratosferico, visto che le cessazioni sarebbero state (circa) 4 milioni e non 2,6. 

Ma ci sono anche altre ragioni, più di lungo periodo e strutturali, per essere pessimisti sul futuro del nostro mercato del lavoro, e dell’economia italiana in generale. Dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti, un impressionante numero di start-up sta lavorando per cambiare il modo di produrre beni e servizi. Se avranno ragione, il futuro è loro. E a economie come quella italiana rimarranno solo le briciole.

Dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti, un impressionante numero di start-up sta lavorando per cambiare il modo di produrre beni e servizi

Facciamo solo qualche esempio. Elon Musk, fondatore e Ceo di Tesla, sta cercando di rivoluzionare il mondo dell’auto producendo auto elettriche che siano funzionali e emozionanti al tempo stesso. Al momento la sfida non è vinta, e infatti si calcola che per ogni auto venduta Tesla spenda circa 40.000 dollari in ricerca e sviluppo. Ma se Tesla riuscisse a vincere la sua sfida, il mercato dell’auto avrebbe la sua Amazon, altra impresa che ha rivoluzionato il modo di fare business nel suo settore, quello del commercio. E, infatti, Musk ha posto come obiettivo per Tesla quello di raggiungere una capitalizzazione pari a 700 miliardi di dollari in 10 anni, come Apple.

Tra l’altro, sia Tesla che Amazon utilizzano i propri investimenti in ricerca e sviluppo per espandere il proprio raggio di attività. Tesla nel settore delle batterie e Amazon in quello del “cloud computing”, tanto che moltissimi ricercatori oramai prendono a prestito la potenza di calcolo dei server Amazon piuttosto che acquistare un proprio computer. 

Ma gli esempi non finiscono certo qui. Accanto a colossi oramai affermati come Apple, Cisco, Google e Facebook vi sono tante altre realtà che hanno la possibilità di diventare i nuovi leader nei loro settori di riferimento, o di finire nel dimenticatoio. Uber, guidata da Travis Kalamick, sta rivoluzionando il modo di muoversi in città, e si prepara a utilizzare la sua rete di auto e veicoli per rivoluzionare il modo di consegnare merci sfidando i grandi corrieri come Dhl o Ups. Dropbox sta rivoluzionando il modo in cui è possibile condividere files, rendendo incredibilmente più facile per un team di persone lavorare insieme. Airbnb sta rivoluzionando il modo in cui viaggiamo, tanto che in città come New York trova enormi resistenze da parte della lobby degli alberghi. WeWork sta invece rivoluzionando la maniera in cui professionisti e imprese condividono luoghi di lavoro e i servizi di supporto necessari. 

Airbnb sta rivoluzionando il modo in cui viaggiamo, tanto che in città come New York trova enormi resistenze da parte della lobby degli alberghi

La lista potrebbe continuare ancora a lungo. Ma il messaggio è chiaro. Il mondo sta cambiando velocemente e c’è chi vuole rivoluzionare la maniera in cui beni e servizi sono prodotti e offerti. Per potere salire sul carro del progresso dobbiamo investire molto di più in ricerca e istruzione, sia a livello personale che di paese, puntando sulle nuove tecnologie. Non c’è niente di male nello studiare discipline come la psicologia o lettere (discipline in Italia associate a una maggiore difficoltà media di trovare lavoro al termine del percorso degli studi), ma è importante anche conoscere la computer science. Lo stesso Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, prima di lasciare Harvard studiava proprio psicologia e computer science! Seguiamo l’esempio dell’Inghilterra, dove da quest’anno i ragazzini impareranno a programmare a partire dai cinque anni secondo un percorso diviso in tre fasi che prevede che, entro i 14 anni, si conoscano due o più linguaggi di programmazione.

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