Si sarebbero dovuti mettere definitivamente i sigilli il 31 marzo 2015. E in effetti, almeno formalmente, gli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani hanno chiuso. Il problema è che sono ancora aperti. Tutti. E dopo cinque mesi, ci sono ancora più di 300 persone internate nei cinque Opg che portano ancora questo nome. Più i 260 internati a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, che per il momento ha solo cambiato la targa fuori da Opg a “Rems”, Residenza per l’esecuzione della misura di sicurezza, le strutture di cui tutte le regioni dovrebbe dotarsi come prevede la legge 81 del 2014 in alternativa ai vecchi manicomi criminali.
A Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, gli internati a fine luglio erano 140. Ad Aversa una settantina. A Napoli Sant’Eframo 60. A Montelupo fiorentino un centinaio. A Reggio Emilia quasi 160. Sulle pagine web delle strutture si legge che gli istituti saranno gradualmente dismessi e sostituiti dalle Rems. Il problema è che non tutte le regioni hanno provveduto a dotarsi di strutture alternative agli Opg e di percorsi sanitari territoriali ad hoc. Finora i sei Ospedali psichiatrici giudiziari coprivano macroaree composte da più regioni. La legge 81 prevede invece che i pazienti siano curati nei territori di residenza.
Ma al 31 marzo una regione su due si è fatta trovare impreparata, nonostante lo stanziamento di oltre 170 milioni di euro per la costruzione delle Rems. Così alcune regioni, in attesa delle nuove strutture, hanno lasciato i detenuti nelle vecchie strutture. Altre ancora hanno stretto accordi con altre regioni o con strutture private. Ma la maggior parte ha chiesto “ospitalità” per i propri pazienti alla Lombardia nella struttura di Castiglione delle Stiviere, l’unica dove finora l’aspetto di cura dei pazienti ha prevalso su quello detentivo.
In provincia di Mantova sono confluiti pazienti da Piemonte, Trentino Alto Adige, Veneto, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia, Calabria, Liguria. Prima della chiusura degli Opg i pazienti a Castiglione erano 120, oggi sono più di 250. «Il problema è che la magistratura sta inviando i pazienti nelle Rems, e in assenza delle strutture le regioni si appoggiano a Castiglione», dice Stefano Cecconi, portavoce del comitato Stop Opg. «Mandare nelle Rems è la stessa cosa di mandare negli Opg. Il problema riguarda anche la magistratura, che andrebbe sensibilizzata a preferire le misure alternative, come prevede la legge. Questo è il prezzo che sta pagando la Lombardia per non aver voluto chiudere l’Opg costruendo soluzioni alternative sul territorio».
A Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, gli internati a fine luglio erano 140. Ad Aversa una settantina. A Napoli Sant’Eframo 60. A Montelupo fiorentino un centinaio. A Reggio Emilia quasi 160. Più i 260 di Castiglione delle Stiviere, che ha solo cambiato la targa da Opg a Rems
Il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo a luglio aveva annunciato il commissariamento delle regioni inadempienti. L’ipotesi, presente nella legge 81, viene prevista anche nella seconda relazione al Parlamento sul superamento degli Opg. La maglia nera per il ritardo va Veneto, Piemonte, Calabria e Toscana. Ma finora solo per il Veneto il ministero della Giustizia ha previsto l’intervento del commissario. Per le altre regioni non è ancora stato preso alcun provvedimento. Il tribunale di sorveglianza di Messina aveva addirittura fatto ricorso alla Corte costituzionale contro la legge 81. Ma la Consulta a fine giugno ha confermato la legittimità della legge e ordinato la chiusura degli Opg.
Anche a fronte di questa decisione, l’associazione Stop Opg da mesi insiste per la nomina di un commissario per le regioni che non applicano la legge e non hanno ancora accolto i propri pazienti ritardando la chiusura degli Opg. «Il commissario potrebbe sostenere in realtà un po’ tutte le regioni, non solo a quelle inadempienti», dice Cecconi, «collaborando con la magistratura per costruire l’alternativa all’internamento delle persone in Opg e nelle Rems con progetti di cura e riabilitazione individuale, e potenziando i servizi territoriali di salute mentale». Al di là delle strutture alternative, che rischiano di diventare dei mini-Opg, «come per la chiusura dei manicomi la sfida vera è costruire un’alternativa all’esclusione sociale».