Riforma della pubblica amministrazione, dov’è la meritocrazia scolastica?

Riforma della pubblica amministrazione, dov’è la meritocrazia scolastica?

Un’altra perla nella riforma della PA: leggendo le relazioni riportate sulla stampa, sembra che sia scomparso il voto minimo di laurea per accedere alle selezioni pubbliche. Invece, novità delle novità, viene introdotto l’inglese! Da Marianna tutto sommato me lo sarei aspettato. Ma Matteo, proprio tu con l’inglese? E soprattutto, proprio tu che a parole ci hai sempre parlato dell’importanza di riaffermare il valore della meritocrazia.

La delegittimazione del voto di laurea è un altro colpo mortale alla meritocrazia e alla mobilità sociale in un paese, l’Italia, che sta morendo di nepotismo e clientelismo. Già il voto di maturità è stato declassato a favore dei quiz per l’ammissione alle università statali più prestigiose e più richieste. Adesso tocca all’università non contare più nulla. Il colmo è che questo accade per volere della stessa Pubblica Amministrazione!

La delegittimazione del voto di laurea è un altro colpo mortale alla meritocrazia e alla mobilità sociale

Matteo, spiegami però una cosa. Tu, a differenza di Marianna, sei cresciuto nella provincia italiana e non vieni dall’aristocrazia o dall’alta borghesia. A scuola sarai sicuramente stato insieme a figli di operai, piccoli commercianti e impiegati. Saprai perfettamente che i figli dei lavoratori che vogliono farsi strada hanno una sola possibilità: lavorare sodo a scuola, cercare di prendere i voti più alti e con immensi sacrifici arrivare alla laurea. Una società giusta dovrebbe consentire alla scuola e all’università di fare da “ascensore sociale”. Se è la stessa Pubblica Amministrazione a non dare valore ai sacrifici scolastici, mi sai dire che razza di idea di società hai in mente? E cosa dovrebbe sostituire la scuola come ascensore sociale: un quiz? O la conoscenza della lingua inglese?

Una società giusta dovrebbe consentire alla scuola e all’università di fare da “ascensore sociale”

Per carità, le lingue bisogna conoscerle. Magari se si fa il Sindaco di una città turistica come Firenze o il Premier non è necessario. Ma, se si è ingegneri e bisogna costruire un ponte sulla Salerno-Reggio Calabria, è meglio avere un inglese fluente o essere laureati a pieni voti?

Facciamo comunque finta che non ci importi nulla di come vengono costruiti i ponti o amministrati i Comuni, potremmo essere interessati, noi progressisti, al problema della inclusione sociale. Come è stato discusso al Festival di Trento, il requisito della “conoscenza della lingua inglese” è diventato, insieme alla progressiva eliminazione del valore dei voti scolastici, un segno della decadenza italiana perchè testimonianza di un carattere sempre meno inclusivo della nostra società.

La “conoscenza della lingua inglese” è infatti una discriminazione a favore delle élite e dei loro rampolli. Puoi avere un QI modesto o essere un gran lavativo a scuola, ma parlare un perfetto inglese. Basta crescere con una tata madrelingua o che il papi ti paghi le (tante)vacanze-(poco)studio in Inghilterra o in qualche college americano che accoglie altri scansafatiche con i portafogli gonfi. Se invece cresci in una delle 5 milioni di famiglie povere italiane, puoi anche essere un piccolo genio e avere tutti otto in pagella, ma le vacanze in Inghilterra le vedi nel binocolo.

* Articolo apparso originariamente sul blog Economica*mente della rivista Vita

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