Il caso di Fausto Scandola, espulso della Cisl su richiesta ai probiviri della segreteria nazionale del sindacato, mostra con evidenza perché serva finalmente una legge sui doveri del sindacato: innanzitutto quelli democratici verso i suoi iscritti, e di trasparenza verso tutti i cittadini. Purtroppo, la materia dello scandalo mostra anche perché la legge non ci sarà.
L’unico modo di sapere qualcosa sul reddito dei sindacalisti è che qualcuno che li conosce davvero si decida a parlarne
Era fine febbraio 2014, quando a un dibattito alla Bocconi la segretaria generale della Cgil, ironica e polemica verso uno studente che criticava il sindacatone rosso, lo fulminò con una domanda secca: «ma tu lo sai quanto guadagna un lavoratore italiano»? Lo studente rimase interdetto. Eppure la risposta pronta c’era. Sì, noi sappiamo perfettamente dall’Istat qual è il reddito medio procapite degli Italiani, e di come al Sud sia poco più della metà che al Nord, e per questo la media italiana supera di poco i 20mila euro lordi. Quel che invece non sappiamo affatto è il reddito dei sindacalisti. L’unico modo di saperne qualcosa è che qualcuno che li conosce davvero si decida a parlarne. Come è avvenuto ora a Fausto Scandola, iscritto alla Cisl dal 1968, che ha pubblicamente chiesto alla sua organizzazione come possano davvero dirsi rappresentanti dei lavoratori dei dirigenti sindacali – dei quali ha fatto nomi e cognomi – che, sommando compensi per il proprio ruolo e quelli per incarichi ricoperti grazie al proprio ruolo, arrivano a sfiorare i 300mila euro lordi di reddito annuo. Cioè più del Capo dello Stato italiano, ovviamente più di Obama, nonché più del massimo consentito per legge a qualunque dirigente pubblico. E ben 15 volte tanto, rispetto al reddito medio degli italiani.
Qual è il motivo dell’espulsione di Fausto Scandola? È accusato di aver condotto un’indagine riservata su dati personali coperti da privacy, e di ingenerare danno pubblico al sindacato. In un Paese dove il sindacato fosse tenuto a obblighi di trasparenza, lo scandalo sarebbe l’espulsione. Perché il problema non è Scandola, che andrebbe anzi nominato alla testa dell’organo di controllo nazionale del suo sindacato. Il problema sono le migliaia di dirigenti delle confederazioni sindacali – ben oltre 20 mila – che queste cose le sanno benissimo, e che tacciono oggi come hanno taciuto ieri per anni. Perché per moltissimi di loro la carriera di dirigente sindacale è stata una pacchia.
Ogni tanto, negli anni, le confederazioni dichiaravano delle cifre di compenso dei vertici apicali. Fino ai tempi di Epifani segretario della Cgil, la sua retribuzione mensile lorda era dichiarata di poco superiore ai 3mila euro (netti, dunque sui 75mila euro lordi annui), e la dozzina di membri della segreteria nazionale confederale sotto i 3mila euro. Leggermente superiore quella di Angeletti alla Uil, e dei suoi membri della segreteria rispetto a quelli Cgil. Mentre il capo della Fiom, Landini, ancora oggi starebbe sotto i 3mila euro, visto che nel 2013 ne dichiarava 2250 (sempre netti), aggiungendo che era la retribuzione più alta di tutta la Fiom: alla quale va comunque riconosciuto che, sotto la gestione Landini, è diventata la federazione sindacale che pubblica online la maggior quantità di dati rispetto all’intero universo sindacale italiano, buste paga comprese.
Bonanni è andato a casa e sparito in silenzio, dopo che dai 118mila euro lordi del 2006 passò vertiginosamente ai 336mila dell’ultimo anno di guida Cisl
In realtà, eccezion fatta per la Fiom, le cifre fornite dalle confederazioni sono sempre state del tutto non controllabili. La vicenda del predecessore della Furlan, Raffaele Bonanni travolto proprio dall’emergere della sua incredibile crescita di retribuzione negli ultimi cinque anni di guida della Cisl, avrebbe dovuto rappresentare un punto di svolta. Che puntualmente non è avvenuta. Bonanni è andato a casa e sparito in silenzio, dopo che dai 118mila euro lordi del 2006 passò vertiginosamente ai 336mila dell’ultimo anno di guida Cisl. E naturalmente facendo media piena a fini previdenziali degli ultimi cinque anni di maxi-salari, perché non soggetto alla riforma Dini né Fornero e potendo contare su pensione dunque pienamente retributiva.
Della Furlan, l’attuale leader Cisl, conosciamo la retribuzione 2008, che era di 99mila euro lordi, e siamo in attesa di capire ora a quanto è salita: visto che il 9 luglio scorso la Cisl ha approvato un nuovo regolamento nazionale, per il quale la retribuzione massima dovrà essere quella del segretario confederale. Quanto alla trasparenza, la Furlan afferma che «verrà messo tutto on line». Potete stare certi che non sarà così. E non solo perché, come sappiamo oggi grazie a Scandola espulso dalla Cisl, Bonanni non era certo solo, a veleggiare intorno a quelle cifre. Il fatto è che anche per le precedenti regole vigenti in Cisl avrebbe dovuto esserci un tetto al cumulo retributivo, che come si vede non era affatto rispettato: tanto, senza obblighi di accountability pubblica, basta la privacy a coprire tutto.
Ancora una volta i nuovi impegni saranno scritti sull’acqua, perché ridicolmente ci direbbero solo i compensi diretti e non quelli per gli incarichi in società e consorzi
Quindi, ancora una volta i nuovi impegni Cisl saranno scritti sull’acqua. Per due ordini di ragioni. La prima è che ridicolmente ci direbbero solo i compensi diretti per gli incarichi sindacali, e non quelli complessivi per gli incarichi in società, consorzi e quant’altro ottenuti grazie ai ruoli sindacali: è la privacy all’italiana, bellezza. In nessun Paese civile viene riservata a chi svolge ruoli pubblici, ma da noi invece è così. Per questa stessa ragione, non possiamo sapere i nomi dei 17.319 sindacalisti che hanno beneficiato della norma contenuta nel decreto 564 del 1996, sulle cosiddette “pensioni d’oro”, norma che ha permesso a dirigenti e dipendenti sindacali di avere una pensione integrativa attraverso il pagamento anche di un solo mese di contributi da parte delle organizzazioni sindacali.
La seconda ragione è che nel nostro paese, come abbiamo detto e ridetto mille volte, la politica si è ben guardata dall’attuale l’articolo 39 della Costituzione, cioè disciplinando per legge i diritti ma anche i doveri dei sindacati, tra cui il rispetto pieno della democrazie interna e gli obblighi di trasparenza finanziaria. Per questo, i sindacati in Italia sono praticamente associazioni private, e non sono affatto tenute a redigere un bilancio consolidato nazionale, né economico né patrimoniale. Non sappiamo nulla del loro reale patrimonio immobiliare, e dobbiamo ogni volta fare noi giornalisti dei conti approssimativi su quanto incassino dai Caf fiscali, e dai patronati.
In Italia i sindacati non sono tenuti a redigere un bilancio consolidato. Non sappiamo nulla del loro reale patrimonio immobiliare né quanto incassino Caf fiscali e patronati
Nessun obbligo di bilancio consolidato consente di aggirare con enorme facilità il quesito di quanto pesi la retribuzione di dirigenti e quadri sindacali sul totale delle risorse delle confederazioni. Un dato che i loro iscritti dovrebbero considerare di elementare informazione democratica, esattamente come ogni dipendente Fiat sa quanto guadagna Marchionne. La Furlan dice ora che l’impegno diverrà girare alle strutture territoriali e aziendali il 70% delle entrare della Cisl: ma di quali entrate, quelle derivanti dagli iscritti, o quelle a cui si perviene sommando Caf, patronati e immobili? Perché se sommiamo la stima di entrate che le tessere di iscritti lavoratori (oltre 6 milioni) e pensionati (di più) producono ai tre sindacati confederali, arriviamo intorno ai 900 milioni dai primi e 300 dai pensionati, circa 1,2 miliardi. Ma la somma si moltiplica, sommando i proventi da Caf, patronati, e redditi dalla gestione di – si stima – oltre 10mila immobili di Cgil, Cisl e Uil.
Qual è l’alternativa, a questo regime di pazzesca discrezionalità difeso con le unghie proprio dai sindacati che gridano ogni giorno per la mancata trasparenza delle imprese e della pubblica amministrazione? Francamente, ci siamo stufati di aspettare il giorno in cui verrà una legge nazionale dedicata ai doveri sindacali. Quel giorno non ci sarà, perché nessuno a destra né a sinistra – neanche Renzi, al quale va però riconosciuto il merito di aver dimezzato i distacchi sindacali con il decreto PA dello scorso anno – avrà la voglia di beccarsi la protesta che verrebbe scatenata da decine di migliaia di professionisti dell’agitazione. Ripetiamo: dell’agitazione, non della contrattazione.
Nel Regno Unito il Government Certification Officer ha il compito di tenere gli elenchi degli iscritti ai sindacati, assicurarsi che non agiscano in frode e di esercitare il diritto di accesso ai loro bilanci e conti patrimoniali
Ergo, adottiamo almeno il modello britannico. Nel Regno Unito un organo pubblico, il Government Certification Officer, ha il compito di tenere ufficialmente gli elenchi degli iscritti a sindacati e associazioni datoriali, assicurarsi che non agiscano in frode né l’uno verso l’altro né all’interno della loro stessa organizzazione rispetto ai loro iscritti, e infine di esercitare il diritto di accesso ai loro bilanci e conti patrimoniali. Annualmente, grazie al Certification Officer, i lavoratori e i cittadini britannici sanno tutto delle retribuzioni di centinaia di sindacalisti, territoriali e nazionali, di ogni categoria e incarico. Attualmente, alcune decine stanno poco sotto o poco sopra le 100mila sterline annue lorde, la media sta sui 45mila, moltissimi sotto. Oltre ai compensi sindacali, il Certification Officer ha diritto di conoscere anche bonus e benefit, comprese le macchine di servizio con autista. E come si vede dalla reazione dei media ai dati annuali, l’intero Paese ha così elementi per conoscere direttamente i dati e farsi le sue idee, su come e quanto le Trade Unions paghino i propri dirigenti. Fate il paragone con l’Italia, giudicate voi cosa sia meglio.