Napoli. Il viaggio nella Terra dei Fuochi comincia quasi sempre qui, lungo una tetra strada che serpeggia tra caseggiati, pescheti e campi coltivati che s’estendono a perdita d’occhio. L’asse mediano è una strada a scorrimento veloce che collega Napoli e i comuni dell’hinterland partenopeo ai paesi del casertano. Basta percorrerne pochi chilometri per essere investiti dal lezzo acre e pungente dei roghi che spuntano qua e là nel territorio appestando l’aria di chi ci vive. Le rare piazzole di sosta che costeggiano la strada sono trasformate in improvvisate discariche a cielo aperto. Giuseppe Ruggiero, dirigente campano di Legambiente, fu il primo nel 2003 a coniare il termine “Terra dei Fuochi” in riferimento ai roghi di pneumatici e di materiali tossici che tempestavano la zona.
Oggi come allora niente è cambiato e l’aria continua ad essere irrespirabile. Ogni giorno decine di segnalazioni vengono raccolte sulla pagina Facebook “La Terra dei Fuochi” mentre i riflettori su queste terre si sono quasi spenti, salvo riaccendersi improvvisamente quanto si torna a parlare di tumori che colpiscono gli abitanti della zona. Percorrendo questa strada, viene improvvisamente in mente quanto nota Alessandro Iacuelli nel suo libro-inchiesta “Le vie infinite dei rifiuti”. C’è stata una vera e propria mutazione del registro dello smaltimento dei rifiuti tossici.
La tecnica di smaltimento con grossi camion e ruspe all’interno di cave abusive o laghi artificiali, dopo le decine di inchieste della magistratura, le dichiarazioni dei pentiti e i successivi scavi, è stata oramai accantonata e rimpiazzata da una nuova tecnica, più leggera ma ugualmente nociva perché costante. Il “piccolo smaltimento”.
Piccoli furgoni o motocarri con fusti che vengono lasciati in un posto e poi bruciati con una tecnica rudimentale ma molto efficace: una base di pneumatici fuori uso sui quali vengono deposti i rifiuti tossici ricoperti di benzina. Spesso ad appiccare questi roghi sono poveri diavoli che non sono altro che l’ultima catena del processo. I roghi sprigionano alte colonne di fumo nero e altamente tossico. Ecco cosa rende l’aria qui completamente irrespirabile.
I fusti vengono bruciati con una tecnica rudimentale ma molto efficace: una base di pneumatici fuori uso sui quali vengono deposti i rifiuti tossici ricoperti di benzina
A Frattamaggiore, Luigi Costanzo è medico di famiglia ISDE Napoli, e fa parte di una rete di medici che lavora per la creazione di un registro tumori del territorio. «Io sono medico di famiglia – spiega a Linkiesta Costanzo – e ho circa 1600 assistiti. Il medico di famiglia è quello che tocca con mano le realtà del territorio e conosce da vicino le patologie che ne colpiscono gli abitanti. Con altri colleghi abbiano cercato di raccogliere dei dati che noi come medici di famiglia abbiano nei nostri database. In questi database è già presente un piccolo registro tumori. Se incrociamo i dati di tutti i medici di famiglia del territorio possiamo, a tempo zero e a costo zero, effettuare una fotografia del territorio. Un progetto del genere è stato fatto a Casoria e si chiama EPI.CA (EPIdemiologia CAncro ndr). Sia i pediatri sia i medici di famiglia hanno estrapolato dei dati ed hanno dimostrato che c’è un aumento d’incidenza di tumori nel territorio dove questi medici di famiglia esercitano la propria professione. Io, per quanto riguarda la mia esperienza, ho assistito ad un aumento di patologie tumorali che colpiscono soprattutto giovani. Nello specifico per quanto riguarda il tumore alla mammella, su 1600 pazienti, ho cinque donne che sono al di sotto dell’età dello screening della mammella, che è i 45 anni, affette da patologie tumorali. Oltre a questo però, possiamo anche agire ad un secondo livello, ovvero quello della geo-localizzazione. Conoscendo dove abitano i pazienti possiamo anche geo-localizzare la malattia ovvero sapere se in una determinata area c’è una concentrazione maggiore di patologie rispetto ad un’altra. È un’operazione importante perché in quelle aree in cui ci sono picchi di malattia possiamo stabilire se è stato commesso anche qualche delitto ambientale e lasciare in seguito gli scienziati e gli epidemiologi studiare i nostri dati grezzi e stabilire il nesso e l’impatto sulla salute umana. In attesa del famoso registro tumori dunque possiamo già fornire delle prime risposte a quelli che sono i problemi che attanagliano il nostro territorio».
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Luigi Costanza è un medico di famiglia: «Per quanto riguarda la mia esperienza, ho assistito ad un aumento di patologie tumorali che colpiscono soprattutto giovani».
Era il lontano 1991 quando un certo Mario Tamburino, camionista italo-argentino, correva in ospedale a Pozzuoli per un improvviso bruciore agli occhi che gl’impediva anche di vedere. Di li a poco sarebbe diventato completamente cieco. Quel bruciore era provocato da gocce di una sostanza corrosiva fuoriuscita dai fusti tossici (ben 571) che lui stesso aveva caricato a Cuneo, in Piemonte, presso un’azienda specializzata nello smaltimento di rifiuti pericolosi, e aveva scaricato in una fossa nelle campagne di Sant’Anastasia, a Nord di Napoli. Dall’inchiesta che ne scaturì nacque la parola “ecomafia” e si palesò un business di miliardi tra l’imprenditoria del Nord Italia e la classe politica campana. Due anni prima, nell’albergo ristorante ‘La Lanterna’ di Villaricca, un conciliabolo di politici, camorristi, mafiosi, esponenti della Loggia Massonica P2 e servizi deviati stringevano un patto diabolico per sotterrare nella Campania Felix milioni di tonnellate di rifiuti tossici. Ma gli scavi sarebbero iniziati molto tempo dopo grazie anche ad un metodo innovativo.
Don Maurizio Patriciello
A raccontare i passi salienti che hanno portato ai primi scavi è Sergio Costa, generale e comandante Regionale in Campania del Corpo Forestale dello Stato. «È accaduto circa quattro anni fa – dice a Linkiesta – quando io sono stato nominato Comandante provinciale di Napoli del Corpo Forestale dello Stato. Essendo considerato un esperto di investigazioni antimafia ambientali, ho iniziato, con quella nomina, a studiare fascicoli, a raccogliere dati e a elaborare un metodo investigativo innovativo: ho messo in relazione tutte le ortofotogrammetrie, le foto aeree degli ultimi vent’anni, le banche dati italiane, le ho raffrontate con ogni singola zona della superficie della Campania, soprattutto le zone di Napoli e Caserta, ed ho avuto l’idea di incrociarle con lo studio dei campi magnetici della crosta terrestre. Mettendo insieme foto in cui è palese che ci sono stati determinati movimenti e dati che dicono che non c’è un campo magnetico normale ma c’è qualcosa di anomalo ho tratto certe conclusioni. In più c’è stata l’attività di polizia info-investigativa (testimoni, denunce, prove sul territorio). Mettendo insieme tutti questi elementi e grazie anche alla creazione di un’équipe di esperti siamo riusciti a convincere il giudice ad effettuare il sequestro ed il successivo scavo. Col tempo abbiamo individuato le discariche di Caivano, Casal di Principe, Castel Volturno, Villa Literno, fino a quest’ultima recentissima di Calvi Risorta che potrebbe essere forse la più grande d’Europa (è grande circa 25 ettari). Finora abbiamo disseppellito circa 5 milioni di metri cubi di rifiuti tossici ma questo potrebbe essere solo il 25% del totale. Il resto è ancora da disseppellire». E i roghi quotidiani? «I roghi – spiega il generale Costa – dal punto di vista criminale, hanno la stessa matrice delle discariche abusive. Si tratta di rifiuti che attività in nero in regime di evasione fiscale ed evasione contributiva smaltiscono, seppelliscono o accatastano e bruciano. Si tratta di aziende che producono in nero e dunque smaltiscono in nero. Se non si aggrediscono queste aziende non si possono ottenere risultati di nota».
Come se non bastassero le tonnellate di rifiuti tossici seppelliti in queste terre oggi il ‘biocidio’ continua dunque sotto forma di roghi, che proliferano a tutte le ore del giorno e della notte, come ricorda l’attivista Vincenzo Petrella dei Volontari Antiroghi di Acerra. «Noi siamo un gruppo di volontari che nasce dalla necessità di dare un freno a tutti questi roghi appiccati a tutte le ore del giorno – spiega Vincenzo – e soprattutto la sera e a notte inoltrata. Giriamo la sera dalle 23 in poi facendo il giro di tutta la periferia a caccia di roghi appiccati, soprattutto in quelle campagne isolate dove potrebbero bruciare per tutta la notte e nessuno se ne accorgerebbe. Noi segnaliamo subito i roghi alle autorità e aspettiamo l’arrivo dei vigili del fuoco. Ma teniamo sott’occhio anche gli sversamenti». Enzo Tosti è un attivista che conosce molto bene le zone e fa parte del Coordinamento Comitati Fuochi. Davanti alla chiesa di Caivano, dove padre Maurizio Patriciello, simbolo della battaglia per la rinascita di un territorio inquinato dai rifiuti versati, s’appresta ad accompagnare un gruppo di missionari nella zona della discarica Resit di Giugliano, spiega: «Quando Legambiente parò’ per la prima volta di Terra dei Fuochi parlava di un’area molto circoscritta, ovvero del cosiddetto triangolo della morte tra Nola e Marigliano. Oggi dobbiamo renderci conto che l’area non è soltanto circoscritta a quel triangolo ma è molto più vasta. Partiva da quelle zone per arrivare all’agro aversano e fino al litorale domizio, ovvero un’area che interessa milioni di abitanti. La zona è stata declassata da SIN (sito d’interesse nazionale) a SIR (sito d’interesse regionale) ma non perché la situazione sia migliorata ma perché lo stato se n’è voluto semplicemente lavare le mani. La Campania è soltanto la punta di un iceberg che evidenzia un sistema produttivo italiano ed internazionale non sostenibile e che non tiene conto né della vita umana né dell’ambiente. Il rogo poi non ha una matrice diversa da quella del seppellimento dei rifiuti tossici ed è strumentale ad un indotto industriale che lavora localmente al nero. Parliamo dell’industria tessile e calzaturiera locale collegata con le grandi griffe nazionali ed internazionali. A che punto siamo oggi? Tutto quello che ha sbandierato il governo non è servito a nulla perché i roghi continuano. La Terra dei Fuochi continua a bruciare».
«A che punto siamo oggi? Tutto quello che ha sbandierato il governo non è servito a nulla perché i roghi proseguono. La Terra dei Fuochi continua a bruciare».
Enzo Tosti, padre Maurizio Patriciello ed un gruppo di missionari si recano dunque in prossimità della discarica Resit. Qui la camorra ha sversato tonnellate di rifiuti pericolosi. Il 23 luglio scorso un incendio è divampato all’interno della discarica. Dietro le transenne ancora s’intravede un cumulo fumante. «È una sorta di autocombustione interna – nota padre Maurizio Patriciello – Chissà cosa ci hanno seppellito, qui è proprio un inferno e lo stato ci ha completamente abbandonati. Ricordo quando scoppiò il problema dei rifiuti in Campania. Ne hanno approfittato per mettere a tacere il problema più grosso e grave, ovvero quello delle discariche di rifiuti tossici». Enzo Tosti spiega che quando sei sotto vento e quell’aria ti entra nei polmoni stai male. «Io ho avuto conati di vomito e sono stato male tutto un pomeriggio dopo aver respirato quell’aria». È necessario allontanarsi dalle transenne, troppo pericoloso restare li. Dopo qualche minuto, proprio a fianco alla discarica, un contadino passa in auto. Si ferma a parlare con il parroco. «Don Maurizio – dice – qui potete aiutarci solo voi». Fa riferimento non solo alla discarica fumante che intossica l’aria ma anche a quei prodotti che non sono inquinati ma che nessuno compra più. Oramai oltre i danni ambientali ci sono anche quelli collaterali. Anche se i prodotti ortofrutticoli sono controllati e sani è difficile piazzarli sul mercato. Il vento spinge le esalazioni lontano eppure l’odore acre è insostenibile. Per evitare spiacevoli conseguenze, il gruppo si muove poche centinaia di metri più in là per un’altra visita sorprendente. Attaccato ad un’altra discarica e a poche centinaia di metri da un sito dove rifiuti pericolosi continuano a bruciare, sorge un campo rom dove risiedono settanta famiglie (circa trecento persone) di cui duecento bambini. I bambini giocano tra i rifiuti di una discarica a cielo aperto e respirano a pieni polmoni le esalazioni della discarica che pure quando il vento soffia in una certa direzione giungono fino a qui. Difficile non chiedersi come si possa lasciare vivere dei bambini in mezzo a discariche e esalazioni tossiche. È quasi come lasciarli in mezzo alle bombe. I missionari abituati a luoghi poveri d’Africa e del Sudamerica forse non si aspettavano di vedere tanta miseria e abbandono in un paese “civilizzato” come l’Italia. Uno dei responsabili del campo racconta che è lo Stato ad averli messi li dopo successivi sgomberi da altri campi. «Ci hanno messo qui per far morire i nostri bambini di tumore» protestano. Dopo un po’ il gruppo di missionari viene circondato da un gruppo di bambine. Sono incuriosite dai nuovi arrivati. Alcune sono bellissime, dagli occhi verdi ed i capelli arruffati. Altre camminano con i piedi scalzi nella melma sorridendo. Sguardi speranzosi ed innocenti il cui futuro è più cupo che mai.
La discarica Resit
Il pensiero va subito ad Anna Magri, che qui, nella Terra dei Fuochi ci ha perso un figlio, il piccolo Riccardo, di soli ventidue mesi. Coi suoi grandi occhi verdi che si velano di tristezza nel ripercorrere le tappe di quella tragedia, Anna racconta la diagnosi, le cure e poi il terribile epilogo. Da allora, una ricerca continua delle cause e poi l’amara scoperta, quella Terra dei Fuochi e quelle discariche di rifiuti tossici disseminate ovunque. Dal dramma però nasce anche l’esigenza di federarsi con altre mamme, altri cittadini, attivisti per proteggere altre vite innocenti, per scoprire la verità, per aiutare questa terra martoriata a risorgere. Ultime tappa del viaggio a Villaricca. Maura Messina è nata qui ed ha solo ventisei anni quando le diagnosticano un tumore. Ha un’energia contagiosa e gli occhi che sprizzano una gioia quasi incontenibile. «Da quando sono guarita ogni giorno per me è Capodanno» dice sorridendo. Basta guardarla negli occhi per crederle. Ma la sua è stata una battaglia dura, che continua tutt’oggi. Maura racconta le cure, la paura, la difficoltà di mantenere le amicizie, il sostegno della famiglia e del ragazzo che l’hanno aiutata ad affrontare questa dura tappa della sua esistenza. Cosi, decisa a combattere contro il suo personale e terribile nemico, s’imbarca nella prova più dura e dolorosa della sua vita usando anche i mezzi della letteratura e del disegno per sopravvivere. Ne nasce così un diario che, con delicatezza, sensibilità e un tocco d’ironia, racconta per parole e per immagini la storia di una viaggiatrice in un altro mondo, quello difficile e oscuro della chemioterapia, da cui deriva il titolo del suo libro “Storia di una kemionauta” (Homo Scrivens). Non so se è la battaglia contro la malattia ad averla forgiata, la catarsi della letteratura oppure è proprio la sua natura gioiosa ma sentendola ridere di gusto tra le mura serene della sua casa è come se la Terra dei Fuochi tutta intera ridesse. Dei suoi mali, delle sue paure, della sua insospettabile forza.
@marco_cesario