Web, uso dei media, provocazioni: così l’Isis si diffonde in Europa

islam radicale

Contro il rischio terrorismo l’Inghilterra gioca l’asso nella manica. Il Paese che si è svegliato oggi con la notizia di un attentato sventato ai danni della Regina Elisabetta organizzato dallo Stato Islamico (l’ultimo di una serie di annunci di attacchi che avrebbero dovuto colpire Londra negli scorsi mesi), accusa il predicatore islamista Anjem Choudary di terrorismo per aver «incitato il supporto a Isis». E lo avrebbe fatto, spiega il pubblico ministero Sue Hemming, attraverso discorsi poi pubblicati online e usando un nome alternativo a Stato Islamico» tra il 29 giugno 2014 e il 6 marzo 2015.

La notizia è importante perché Choudary non è uno qualsiasi. E soprattutto non interessa solo la Gran Bretagna. Questo abile avvocato di origini pakistane, 48 anni, arrestato più volte in passato e più volte rilasciato per assenza di prove, è il principale militante islamista sulla scena europea di oggi, il responsabile di un network di organizzazioni estremiste che si celano dietro il fenomeno dei lupi solitari (i giovani che negli scorsi dieci anni hanno compiuto attentati spontanei nelle diverse capitali d’Europa) e di molte partenze di foreign fighters per la Siria e per i territori dominati da Isis.

Nel 2009 aveva annunciato ai media i suoi piani per convertire la Regina Elisabetta all’Islam

Nel settembre 2014, Choudary aveva desritto Abu Bakr al-Baghdadi, il leader dello Stato Islamico, come «il Califfo di tutti i musulmani e il principe dei credenti». A maggio 2015, in occasione delle elezioni britanniche, Choudary era sceso in piazza con un gruppetto di seguaci per urlare ai musulmani di non prendere parte al voto, perché contrario alla Sharia, la legge islamica. Nel volantini distribuiti quel giorno, Anjem scriveva: «Solo Dio può rendere le cose legittime o illegittime. Se lo fa invece un essere umano, egli commette il delitto più atroce».

Ma questa non è nemmeno la più provocante delle trovate di Choudary. Nell’ottobre 2009 aveva annunciato ai media i suoi piani per costringere la Regina Elisabetta a convertirsi e a indossare il burqa, e aveva mostrato poster di Buckingam Palace trasformato in moschea, con una cupola dorata sulla sommità. Il Daily Mail britannico si era anche divertito a immaginanarla, la regina, con in testa un burqa.

La foto della Regina Elisabetta immaginata con un burqa dal Daily Mail dopo la provocazione di Anjem Choudary nel 2009

Ma dopo anni passati a considerarlo “un can che abbaia ma non morde” e a sfruttare mediaticamente le provocazioni di Choudary (che era poi l’obiettivo che lui stesso voleva ottenere), l’Inghilterra si è accorta della sua pericolosità. Organizzazioni estremiste come al-Muhajiroun o Sharia4Uk (entrambe fondate o co-fondate dal predicatore) sebbene non direttamente coinvolte in atti violenti, diventano spesso responsabili di incitamento alla violenza, e costituiscono il punto di partenza dei percorsi di radicalizzazione che portano poi molti ad arruolarsi a gruppi estremisti come Isis.

Non è un caso che proprio questo faccia parte del piano anti-terrorismo annunciato da David Cameron pochi giorni fa. Nel discorso di presentazione, il premier britannico ha definito l’estremismo islamico come un’ideologia sovversiva che mira a distruggere lo Stato-Nazione per creare il suo proprio Regno, e che ai valori della democrazia, libertà e parità dei sessi, contrappone discriminazione, settarismo e segregazione. Spesso, questa ideologia usa la violenza per affermarsi. Ma molte altre volte, ha spiegato Cameron, passa anche attraverso metodi non violenti: «Nessuno diventa terrorista su due piedi. Si inizia con un processo di radicalizzazione. Quando guardi al passato di chi è stato condannato per terrorismo, è chiaro che molti di loro sono stati inizialmente influenzati da quelli che alcuni definirebbero “estremisti non violenti”».

Cameron: «Quando guardi al passato di chi è stato condannato per terrorismo, è chiaro che molti di loro sono stati inizialmente influenzati da quelli che alcuni definirebbero “estremisti non violenti”»

Su Sharia4, il franchising di organizzazioni estremiste islamiche avviato da Anjem Choudary in Gran Bretagna (con Sharia4Uk) e poi propagatosi in Europa (Sharia4Belgium, Sharia4Holland, etc.. fino all’esperimento poco riuscito di Sharia4Italy), ha scritto un’ottima analisi Lorenzo Vidino, Direttore del Programma sull’Estremismo Del Center for Cyber and Homeland Security della George Washington University. «Usano tutti le stesse tattiche: proteste provocatorie per attrarre i media, e una presenza online aggressiva, con video e ampio uso di social network. Hanno un’ideologia semplice che si basa sulla condanna della democrazia con lo scopo di introdurre la Sharia, la legge islamica, in Uk e altrove», spiega Vidino nell’intervista a Linkiesta. La formazione di uno stato islamico è vista come la soluzione a tutti i problemi culturali, militari, economici e politici che affliggono l’ummah globale. «Per tutte l’Occidente è moralmente corrotto e intenzionato ad attaccare l’Islam e a dividere i musulmani».

Vidino: «Al-Muhajiroun e Sharia4 sono organizzazioni che ti portano ad essere in sintonia ideologica con il mondo jihadista. Poi il passo verso la violenza è facile»

Quello di Anjem, continua Vidino, è un tipo di militanza che ha fatto breccia nel Nord Europa grazie a un attivismo spregiudicato, e capace di attirare l’attenzione dei media con manifestazioni volutamente provocatorie. «Sono organizzazioni che ti portano ad essere in sintonia ideologica con il mondo jihadista. Creano una narrativa, a suon di “l’islam è sotto attacco” e “gli attentatori dell’11 settembre sono martiri ed eroi” da cui poi è facile fare il passaggio successivo: la violenza». Michael Adebolajo, il giovane che nel 2013 ha ucciso un soldato britannico, era originario di East London, figlio di genitori cristiani di origine nigeriana, si era convertito all’Islam e aveva partecipato agli incontri di Al-Muhajiroun di Choudary. La stessa organizzazione di cui faceva parte Siddhartha Dahar, di origini indiane, comparso spesso sulla tv britannica, collaboratore stretto di Choudary e ora arruolato tra le file dell’Isis con il nome di Abu Rumaysah. Pochi mesi fa ha annunciato la pubblicazione di un e-book (A Brief Guide to the Islamic State), pensato come guida alla vita sotto lo Stato Islamico e diviso in capitoli come Cibo, Tecnologia, Tempo, Trasporti, Educazione.

Siddhartha Dhar, nella foto che lo ritrare tra le file dell’Isis con un bimbo appena nato e un’arma. La foto è stata rilasciata nel novembre 2014 (foto Evening Standard)

«A un certo punto ad alcuni di questi ragazzi non basta più fare volantinaggio e manifestazioni di protesta. Ed è lì che iniziano a cercare l’aggancio giusto per partire. È difficile affermare con esattezza che predicatori con Anjem diano supporto concreto in questo. Certo creano, oltre alla “preparazione ideologica”, il contesto giusto in cui trovare contatti e conoscenze utili allo scopo». Se si guarda alla provenienza di alcuni jihadisti belgi, spiega lo studioso, non si trova una distribuzione equa su tutto il territorio belga. «La stragrande maggioranza viene dalle aree fiamminche, quelle in cui operava Sharia4Belgium».

All’interno di questi gruppi si trovano sia ragazzi di strada con un passato da piccoli criminali, ma anche studenti di informatica, bravi a usare social media e a gestire la comunicazione online. «Choudary è stato bravo a capire da subito che con ragazzi nati e vissuti in occidente non potevano funzionare i sermoni di Al Qaeda fatti da un predicatorie con il turbante in testa, uno sfondo di rocce e un discorso sui massimi sistemi. Serve un’ideologia più semplice, divisa tra bene e male, mondo musulmano e occidente. Una visione utopistica di una società migliore, e un senso di comunità da offrire a soggetti che si sentono spesso emarginati, magari non troppo realizzati». L’estremismo islamico offre una fuga dalla quotidianità, dalla noia, e un’identità forte di chi è chiamato a creare la società giusta, voluta da dio. «Ti fa sentire unito agli altri membri contro un nemico comune». E gioca molto sulle identità fragili che i figli degli immigrati hanno. «È chiaro che non siete britannici, belgi, olandesi, dice Choudry ai suoi ascoltatori. Voi siete musulmani. La nazione in cui siete nati è solo una terra, un posto geografico in cui siete nati», dice Vidino.

«Non sono inglese, sono musulmano. Se fossi nato in una stalla non direi che sono un cavallo. Questa è solo un’isola su cui sono nato»

Prima di arruolarsi, Abu Rumaysah, di cui abbiamo detto poco sopra, ha risposto alla giornalista britannica Clarissa Ward che gli chiedeva se si sentisse inglese in questo modo: «Mi identifico come musulmano. Se fossi nato in una stalla, non direi che sono un cavallo. Se fossi nato nella Germania nazista, non sarei un nazista. Questa è solo un’isola in cui sono nato».

La comunità musulmana britannica ha più volte preso posizione contro Anjem. Il gruppo Facebook Muslims against Choudary conta più di 3500 like, e più moschee hanno bandito il predicatore islamista proprio perché inciterebbe il terrorismo. Choudary rappresenta solo una piccola minoranza estremista in Gran Bretagna e in Europa. Piccola, ma potenzialmente molto pericolosa. «Choudary è un avvocato molto abile e casi precedenti di accuse contro predicatori estremisti si sono spesso risolti in un nulla di fatto per assenza di prove valide», chiude Vidino. «Ma questa accusa è comunque la cigliegina sulla torta dell’atteggiamento di tolleranza zero scelto da David Cameron per affrontare questo problema». 

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