Strana l’atmosfera sociale e civile di Milano rispetto al futuro di Palazzo Marino. Mentre ci sono giudizi più distesi sul successo della città, rispetto a tanti indicatori di trasformazione e attrattività, c’è perplessità sulla politica locale prossima ventura. Qualcuno dice che, per prima, è la borghesia milanese che sta troppo ferma. Quando si dice borghesia milanese ormai si ha il dovere di precisare un po’. Non più i salotti dei doppi cognomi o delle famiglie celebrate dell’età industriale; non più il circuito finanziario una volta legittimato attorno a Mediobanca; non più la stretta “consulta araldica” degli intellettuali protagonisti del teatro, dell’editoria, del design e dell’architettura.
Un carattere della piccola borghesia è di essere non propriamente appassionata agli “affari pubblici”, ma di produrre una buona carrettata di candidati
Il cambiamento sociale tra l’ultima parte del ‘900 e il nuovo millennio ha ormai connotato diversamente il concetto di borghesia. Allargando i confini, abbassando l’età, internazionalizzando i requisiti, ibridando famiglie e ampliando il territorio di riferimento. E anche con un po’ più di anonimato rispetto ai circuiti chiusi che appartengono alle città provinciali. Questo, infatti, succede in una città che – per connessioni e vocazioni – entra con qualche diritto nei processi globali. I sociologi preferiscono parlare di “classi dirigenti” perché ormai il declino dei contenitori sociali del nostro passato prossimo si è compiuto: il proletariato è oggi occupato (nel mondo) dai senza terra-senza patria-senza libertà; la classe operaia è “in paradiso” (per citare un famoso film, in realtà è residuale); la borghesia non ha più i suoi confini storici e ha una certa evanescenza rispetto alla politica. A pochi piace ma la tendenza appare più evidente: la società (televisivamente, commercialmente, culturalmente) si è ricondotta alla dimensione maggioritaria piccolo-borghese. Come si vede da molti indicatori dei consumi e degli stili di vita. E un carattere della piccola borghesia è di essere non propriamente appassionata agli “affari pubblici”, ma di produrre una buona carrettata di candidati.
Il Corriere della Sera ha gettato un sassolino nell’acqua a proposito di Milano: dove si è cacciata quella “borghesia progressista” che tra il 2011 e il 2013 si è agitata prima per Pisapia alle amministrative e poi per Ambrosoli alle regionali perché riteneva di essere responsabile di quel diritto (normale in democrazia) di cambiamento e di alternanza alla fine di cicli ormai politicamente improduttivi? La tesi dell’articolo (Elisabetta Soglio) è stata: stanno tutti alla finestra dietro l’insegna “ora chi me lo fa fare?”.
Le “classi dirigenti” di Milano paiono stare alla finestra. Ma dappertutto: a sinistra, al centro, a destra
Tra chi si è assunto qualche responsabilità nelle due vicende citate, proprio sul fronte di una certa agitazione civica, sostanzialmente in sintonia con quell’indistinto che continuiamo a chiamare borghesia progressista, proverei ad aggiungere qualche riflessione. Sì, è vero che quelle che potremmo chiamare in senso più ampio “le classi dirigenti” del territorio paiono stare alla finestra. Ma dappertutto: a sinistra, al centro, a destra. Con l’uscita di scena di Letizia Moratti è scomparso uno degli aggregatori plausibili tra i nomi importanti del centro-destra. E nel centro-sinistra pare che la decisione di non ricandidarsi di Giuliano Pisapia lasci tutti orfani. Non solo tra gli addetti ai lavori ma anche tra chi – vasta platea – ritiene che avere un sindaco per bene sia già una bella conquista con i tempi che corrono.
Pensa che averne uno non iscritto a partiti e non fazioso (cioè favorevole a larghe alleanze e a equilibri ormai importanti a Milano tra partiti e sensibilità civiche) sia un elemento di modernità. E che averne uno che asseconda grandi cambiamenti tenendo la barra dritta sulla legalità e sul realismo dei conti pubblici sia addirittura virtuoso. Sapendo bene che non esiste più al mondo il sindaco demiurgo che risolve qualunque cosa. Alla domanda: trovatene uno di pari qualità, in più non inventato, espressione di una storia significativa delle generazioni milanesi che hanno dato un contributo alla costruzione del presente, i più appaiono smarriti, non preparati. Quelli magari più vicini all’identikit si guardano bene da dire qualcosa perché – lì la Soglio ci ha colto – “chi me lo fa fare?”. Un certo posizionamento c’è, si leggono proposte, con nomi di qualche rilievo. Ma riguarda progetti importanti ma settoriali. (…)