Non ci sono solo istituzioni, associazioni e prefetture a farsi carico dell’accoglienza dei profughi. Dalla Germania alla Francia fino all’Italia, sempre più cittadini e famiglie mettono a disposizione case e stanze per ospitare i migranti in marcia lungo le strade d’Europa. E in Finlandia è stato addirittura il premier Juha Sipila ad aprire il suo appartamento fuori città, invitando i finlandesi a fare lo stesso.
Dopo la diffusione della foto del bambino siriano annegato e l’appello di Papa Francesco adaccogliere i migranti nelle parrocchie, la Caritas italiana è stata inondata di richieste da parte di diocesi e cittadini privati. Lo scorso anno al progetto “Rifugiato a casa mia” avevano partecipato 34 famiglie. E anche quest’anno la Caritas era pronta a rilanciare l’iniziativa. Ma «dopo l’appello del Papa ci sono arrivate tantissime dichiarazioni di disponibilità, così stiamo riformulando l’iniziativa in modo da aumentare il numero dei partecipanti», racconta Lucia Forlino, responsabile del progetto. «Pensavamo di comunque di alzare i numeri rispetto allo scorso anno, e ora faremo ancora qualcosa in più». Dall’accoglienza dei grandi centri per richiedenti asilo a un’accoglienza diffusa nelle case.
In questo caso non si tratta di prima accoglienza – «non si può andare al porto di Pozzallo e dire: “Questo bambino lo accolgo io”» – ma di seconda accoglienza «per chi è già passato nei centri, ha già fatto richiesta di asilo o è già al di fuori del sistema Sprar, il Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati, in modo da liberare anche i posti all’interno delle strutture». Dopo le dichiarazioni di disponibilità, ci sarà poi una valutazione delle famiglie candidate. A chi accoglierà i rifugiati, la Caritas darà «un contributo, a seconda di quante persone vengono accolte. Una cifra minima, di certo più bassa di quanto spendono normalmente le istituzioni. Con questo tipo di accoglienza, è possibile anche abbattere i costi istituzionali». Si parla di 200-300 euro al mese per famiglia di fondi della Cei, al di sotto dei circa 35 euro al giorno a persona spesi nei centri di accoglienza o nelle strutture accreditate.
Dall’accoglienza dei grandi centri per richiedenti asilo a un’accoglienza diffusa nelle case che permette una maggiore integrazione. E con questo tipo di accoglienza, è possibile anche abbattere i costi.
Molte iniziative sono nate anche dalla provincia italiana da parte di singoli, istituzioni o associazioni. Una delle prime, nel 2008, è stata avviata dal Comune di Torino con il nome “Rifugio diffuso”. E anche oggi nel capoluogo piemontese ci sono oltre 40 famiglie in lista d’attesa disposte a condividere il proprio appartamento con i rifugiati. Da qui il modello è stato poi replicato da associazioni ed enti locali in tutta Italia. Tra gli ultimi progetti c’è invece “Rifugiati in famiglia” in provincia di Parma, finanziato dallo Sprar: dieci famiglie del luogo hanno messo a disposizione le proprie case per dieci giovani rifugiati per nove mesi, con un rimborso di 300 euro al mese.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
In Germania, dove presto verranno “ricollocati” in base al piano Ue altri 30mila profughi dai Paesi di frontiera, una giovane coppia di Berlino ha addirittura creato una sorta di “Airbnb per rifugiati”, Refugees Welcome, in tedesco “Flüchtlinge Willkommen”. Basta dare la disponibilità sulla piattaforma, dando informazioni sulla propria casa. Refugees Welcome, tramite associazioni e organizzazioni, trova una persona che si sta spostando verso la città in cui si trova la casa, oltre a un supporto economico per sostenere l’accoglienza. Da novembre 2014, 800 tedeschi hanno già messo a disposizione una stanza o una casa da condividere, mentre i rifugiati che si sono iscritti al sito sono oltre 400. Il sito ha trovato una sistemazione per 138 di loro in 86 case sparse per la Germania. E lo stesso schema è stato anche replicato in Austria, dove i rifugiati hanno già trovato ospitalità in 52 case. Il modello, a piccoli passi, si sta replicando in altri venti Paesi in giro per il mondo. Sulla piattaforma, viene anche indicata una referente italiana.
Un’esperienza simile è nata anche in Francia. Si chiama Comme à la maison, Come a casa, e mette in contatto rifugiati alla ricerca di una sistemazione temporanea sul territorio francese e famiglie disposti ad accoglierli, oltre a una rete di contatti lavorativi per favorire la ricerca di un’occupazione.
«L’accoglienza nelle case favorisce l’integrazione nelle comunità locali molto più dei centri di accoglienza», spiega Lucia Forli della Caritas Italia. «Dal progetto pilota dello scorso anno abbiamo avuto ottimi risultati di inclusione sociale, con tirocini formativi e inserimenti professionali».