Il 20 settembre si avvicina e in Grecia il futuro appare più incerto che mai. Dopo il venir meno della sua maggioranza parlamentare, Alexis Tsipras non aveva alternative alle elezioni anticipate. Non c’erano più i numeri per tirare avanti, né era ipotizzabile una collaborazione con le forze che avevano “gestito” la crisi ed i “salvataggi” fino alla vittoria di Syriza lo scorso 25 gennaio. Se in un primo momento, nondimeno, l’impressione dei più era che l’ex premier e il suo partito non avessero nulla da temere da un nuovo ricorso alle urne, ora sono in molti a parlare di «partita tutta da giocare».
Gli ultimi sondaggi dicono che lo scarto tra Syriza e Nea Dimokratia sarebbe minimo. Alcuni, addirittura, parlano di un sorpasso dei conservatori. Beninteso, la campagna elettorale è solo all’inizio e, tra l’altro, sappiamo anche come è andata a finire con i sondaggi che circolavano alla vigilia del referendum del 5 luglio. Un dato è certo, però: il prezzo che Syriza e Alexis Tsipras stanno pagando per l’accordo raggiunto con i cosiddetti “creditori” è molto salato. Non solo la scissione dell’ex ministro dell’Energia Panagiotis Lafazanis, l’abbandono di personalità di primo piano come l’ex segretario Tasos Koronakis e del presidente del Parlamento Zoe Konstantopoulou, ma anche le recentissime dimissioni di 37 membri del consiglio centrale dell’organizzazione giovanile del partito e il calo di consensi.
Tsipras ha definito l’accordo appena sottoscritto con l’Europa «un compromesso tattico momentaneo»
Syriza è stata in questi anni, e in maggior misura dal momento in cui ha vinto le elezioni ed è diventata forza di governo, un punto di riferimento per l’intero schieramento anti-austerity in ambito comunitario. Oggi, le sue vicissitudini interne, la rottura che l’ha riguardata, stanno avendo, inevitabilmente, dei riflessi anche all’interno delle forze politiche e dei movimenti che compongono lo scacchiere della sinistra europea. La materia del contendere, ovviamente, è se andasse sottoscritto o meno il terzo memorandum.
C’erano alternative all’accettazione dell’accordo imposto dai creditori? C’è chi, come Oskar Lafontaine, ex presidente di Die Linke tedesca, e Jean-Luc Mélenchon, leader del Front de Gauche francese, parla di «profonda delusione» per l’epilogo del negoziato, e chi, come Pablo Iglesias, leader di Podemos, continua a pensare che Tsipras «ha fatto tutto ciò che poteva», pur riconoscendo che gli ultimi sviluppi della vicenda greca stiano un po’ penalizzando il suo partito nei sondaggi.
Particolarmente duri sono anche i membri del comitato centrale della Gioventù di Syriza, in pratica la maggioranza dell’organismo, che in queste ore stanno facendo girare un documento in cui, a proposito del piano di salvataggio, parlano apertamente di «disastrosa ritirata davanti ai dettami del neoliberismo». È atteso per i prossimi giorni, invece, un appello di intellettuali e personalità della politica europea a sostegno di Alexis Tsipras e della sua nuova battaglia. Nel frattempo si è tenuta la conferenza nazionale di Syriza, nel corso della quale l’ex premier ha definito l’accordo appena sottoscritto «un compromesso tattico momentaneo».
Un modo per riaffermare il proprio disappunto verso l’atteggiamento tenuto dalle “istituzioni”, e dalla Germania in particolare, nella trattativa, ma anche una risposta a quanti hanno liquidato in queste settimane la sua scelta come un atto di resa o, peggio ancora, di tradimento. «Portiamo addosso le ferite inflitteci dai nostri avversari, ma siamo determinati a continuare la guerra. Con più esperienza rispetto a prima», è stato il passaggio più significativo del suo intervento all’assemblea del partito.
Syriza e Tsipras, insomma, ammettono che in questi mesi di governo non sono riusciti a realizzare quanto promesso in campagna elettorale, riconoscono di aver perso una battaglia, ma non considerano chiusa la partita per restituire dignità e benessere al popolo greco. «Tirando avanti, farai anche errori e compromessi. Però combatti. Avrai perdite, certo, ma quale battaglia non ha perdite? Il problema è non cedere le armi. E noi queste armi non le consegniamo», promette Alexis Tsipras al suo partito ed al Paese.
Intanto, nel programma elettorale presentato nei giorni scorsi, l’accento è stato messo, più prosaicamente, sulla necessità di “gestire” da sinistra il memorandum sottoscritto a luglio, in modo da mitigarne le conseguenze più negative per i ceti popolari. «Abbiamo degli obblighi che scaturiscono da questo accordo – ha dichiarato l’ex portavoce del governo Olga Gerovasili – che è necessario assolvere, ma abbiamo anche un programma parallelo che mira a compensare le ripercussioni sfavorevoli dell’austerità sui meno abbienti».
In un’intervista a Kontra TV, il premier greco non ha escluso un’alleanza con il Pasok
In ogni caso, ciò che conta adesso è il giudizio del popolo. E anche il funzionamento della legge elettorale greca. Quest’ultima stabilisce che per entrare in parlamento le forze politiche debbano ottenere almeno il 3% dei voti, assegnando un bonus di 50 seggi alla lista che si piazza al primo posto. Resta il fatto, comunque, che per governare da solo un partito deve conseguire un risultato prossimo al 40% e devono essere il meno possibile i partiti che superano la soglia di sbarramento. Alle scorse elezioni sappiamo come è andata: col 36% Syriza ha mancato per un soffio la maggioranza assoluta ed è stata costretta ad allearsi col partito dei Greci Indipendenti. Oggi il quadro si presenta molto più frastagliato: in un’intervista a Kontra TV, l’ex premier greco ha detto che non ha escluso un’alleanza con il Pasok, comunque non senza condizioni. Fino a qualche giorno fa l’unica certezza era che Tsipras non avrebbe mai potuto governare insieme ai partiti del vecchio establishment. Adesso non c’è nemmeno questa.