Occident Ex-PressIl docufilm su Hervé Falciani: eroico whistleblower o cinico profittatore?

Il docufilm su Hervé Falciani: eroico whistleblower o cinico profittatore?

«Sono un ladro? Sì, ma combatto una legge ingiusta». Sceglie la platea di Milano e una retorica da Robin Hood della contemporaneità per tornare a parlare Hervé Falciani, l’uomo che dal 2009 ha svelato uno dei più grandi scandali bancari del pianeta. All’ex Cinema San Carlo, in occasione del Milano Film Festival, va in scena il docufilm Falciani’s Tax Bomb, per la regia di Ben Lewis.

Un’ora e mezza di pellicola ritmata dalle interviste ai protagonisti – procuratori generali, ministri delle finanze, manager della Hsbc Private Bank – che ricostruisce l’intera vicenda dello SwissLeaks dai diversi punti di vista, evitando accuratamente di ritrarre in maniera agiografica la figura di Falciani.

Ospite d’eccezione proprio il tecnico informatico italo-francese, che fra il 2006 e il 2008 copiò i dati relativi ai conti correnti di 130mila clienti facoltosi da tutto il mondo, con posizioni aperte presso la Hsbc Private Bank di Ginevra, dove Falciani lavorava dal 2001. Oggi gira con una nutrita scorta e sulla sua testa pende ancora il mandato di cattura emesso dalle autorità giudiziarie svizzere.

Hervé Falciani, un passato al Casinò di Montecarlo, poi tecnico informatico nella Hsbc Private Bank di Ginevra. Dove svelò il più imponente scandalo bancario del pianeta 

Perché? Perché la storia della lista Falciani e dei dati trafugati è tutt’altro che lineare: Falciani cresce a Montecarlo, figlio di un banchiere, lavora presso il Casinò del Principato, dove impara «che i soldi girano a fiumi ma non hanno alcun valore». Nel frattempo studia a corsi serali di informatica, in particolare data mining – l’estrazione di dati eseguita su database di grandi dimensioni.

Nel 2001 viene assunto nella filiale ginevrina della seconda banca del mondo e, per un curioso caso del destino, l’uomo che ha trafugato oltre 100 Gigabyte di informazioni riservate finisce per lavorare nella sicurezza informatica di Hsbc. Racconta di esserci entrato per «migliorare la banca», di esserne rimasto deluso e aver intrapreso quindi la strada della collaborazione con altri Paesi, in particolare con il fisco francese e la procura anticorruzione spagnola. Un idealista, parrebbe.

Non è questa la storia che racconta Georgina Mikhael, sua collega e amante all’epoca dei fatti. Assieme alla francese di origini libanesi, Falciani si reca proprio a Beirut nel 2008, dove i due propongono a quattro diversi banchieri di vendere la lista (poi diventata famosa col nome di “lista Falciani” e, successivamente, “lista Lagarde”) trafugata all’Hsbc. Se la Mikhael viaggia in Libano con il suo nome vero, Falciani preferisce presentarsi in Medio Oriente con una carta da visita dove emerge l’identità di tale Ruben El-Chidiak, un nome di fantasia. In seguito la coppia crea anche una società che tenta di vendere a gestori finanziari i profili dei clienti sottratti alla Hsbc, alla cifra di mille dollari ciascuno. Falciani definisce questi episodi «una trappola», ma i dubbi restano. Sono le accuse di un’amante tradita o di una donna che ha aperto gli occhi? Lei nel film risponde «ne ero affascinata, ancora oggi non capisco come tutto il mondo sia ammaliato da lui. È un manipolatore».

Nel 2008 tentò di vendere le informazioni in suo possesso, prima ad alcuni banchieri libanesi, poi ai servizi segreti tedeschi

Falciani tenta anche un contatto con i servizi d’intelligence tedeschi, che proprio negli stessi mesi sono finiti nell’occhio del ciclone per aver acquistato informazioni bancarie riservate da un anonimo informatore del Liechtenstein. Nel documentario è l’ex ministro delle finanze tedesco, il socialdemocratico Peer Steinbrück, ad ammettere candidamente di aver autorizzato quell’acquisto illegale di informazioni, per usarle poi contro gli evasori fiscali: «È più importante il rispetto della normativa tributaria tedesca», dice lui.

Contatti con i servizi segreti Falciani ne ha diversi, inclusi quelli italiani, ai quali propone di avere accesso completo al cloud. Questi si mostrano inizialmente interessati, per poi fare marcia indietro dopo “pressioni” provenienti da Roma e da via XX Settembre – sede del ministero presieduto all’epoca da Giulio Tremonti.

E da ultimo, i contatti con il Dipartimento di Giustizia americano. Dopo lo scoppio della crisi e l’elezione di Obama a Presidente, gli Usa hanno varato una legge in materia di whistleblower – letteralmente i “soffiatori del fischietto”, gli informatori. Legge che permette di ricompensare chi collabora con il governo americano con una cifra pari a un terzo del totale recuperato. Un ex manager di un’altra banca svizzera, la Ubs, in cambio della sua collaborazione ha ricevuto una lauta “parcella” di cento milioni di dollari. Lo stesso non vale ovviamente per gli informatori che invece danneggiano Washington, come nel caso di Edward Snowden, la talpa della Nsa che ha svelato le pratiche sulla sorveglianza di massa.

In Svizzera la violazione del segreto bancario «è peggio che commettere un omicidio», e dopo un iniziale arresto da parte della autorità elvetiche, Falciani fugge nel sud della Francia. Collabora con la procura di Nizza e poi con il ministero delle finanze transalpino, all’epoca diretto da Christine Lagarde, attuale direttore del Fondo Monetario Internazionale. La Francia, in cambio della collaborazione, rifiuta la richiesta di estradizione proveniente da Berna.

Partono veti incrociati e battaglie politiche fra le principali economie del mondo e la Svizzera: prima al G20 di Londra nel 2009, poi ai vertici dell’Ocse. Il presidente francese Nicolas Sarkozy inserisce Berna nella “lista grigia” dei Paesi in materia di trasparenza bancaria e fiscale. «Se vi adeguate agli standard, per esempio francesi, entrate nella “white list” altrimenti finirete nella “black list” (assieme a Cayman e Isole Vergini, ad esempio, ndR)», attacca l’allora inquilino dell’Eliseo, con l’appoggio delle altre cancellerie europee.

I governi europei stanno gestendo in quel periodo la crisi economica, con scelte di finanza pubblica che suscitano le ire dei propri elettorati. I paradisi fiscali diventano a questo punto un ottimo drappo rosso da sventolare in faccia alle opinioni pubbliche.

Gli Stati Uniti decidono di giocare forte e in solitudine: o la Svizzera consegna tutti i dati sui conti correnti esteri di americani depositati presso i propri istituti di credito, o le stesse banche della Confederazione elvetica potrebbero vedersi negate la autorizzazioni e le licenze per operare a Wall Street. Di fatto, Washington sospende unilateralmente l’intoccabile segreto bancario svizzero.

C’è chi sostiene che la lista Falciani sia stata utilizzata per ricattare il governo greco: dentro compariva il nome dell’ex premier Andreas Papandreu. Un conto intestato alla madre da mezzo miliardo di euro

C’è anche chi sostiene che la lista Falciani sia stata utilizzata come arma negoziale: nella lista compare il nome dell’ex Presidente greco Andreas Papandreu, con un conto da mezzo miliardo di euro intestato alla madre. Atene si è rifiutata, fino alla scorsa settimana, di utilizzare nei propri tribunali i nomi dei correntisti greci che compaiono nella lista Falciani. «Si trattava di una cifra minima, circa 2,4 miliardi di euro, rispetto ai problemi totali di evasione, elusione e fondi esteri che attanagliano la Grecia», dichiara davanti alla telecamera l’ex ministro delle Finanze del Pasok, Evangelos Venizelos.

Secondo molti invece quei nomi sono stati usati dalla Francia – che ha rappresentato il principale interlocutore della Grecia durante le dure trattative con i creditori – come arma di ricatto per imporre ad Atene la propria strategia di risanamento economico. Di certo vi è che il giornalista Costas Vaxevanis, della rivista Hot Doc, dopo aver pubblicato nel 2012 i nomi di oltre 2000 fra greci e ciprioti presenti sulla lista Falciani, è stato arrestato e processato per direttissima dalla magistratura ellenica, che alla fine lo ha assolto.

L’utilizzabilità di una lista sottratta illegalmente dentro le aule di tribunale è oggetto di un forte dibattito. Processi se ne sono fatti pochi, ancora meno quelli che hanno portato a una condanna: circa settanta in Spagna, quattro in Francia, uno soltanto nel Regno Unito. La maggior parte dei soldi recuperati nei vari Paesi derivano da patteggiamenti o accordi extragiudiziali. Gli evasori o presunti tali che si sono visti notificare un illecito dalle autorità tributarie hanno preferito concordare una multa e risarcire il fisco, piuttosto che presentarsi davanti a un giudice.

Tutti i dubbi sull’utilizzabilità della lista Falciani in tribunale: si possono usare informazioni rubate in un processso?

E sebbene i problemi messi in luce da Falciani’s Tax Bomb e dall’intera vicenda dello SwissLeaks siano reali, la figura di Hervé Falciani rimane controversa: idealista o cinico profittatore alla ricerca di soldi e notorietà? Lui dice di voler «cambiare il mondo dal basso» e per farlo nel 2014 si è candidato in Spagna (dove è stato anche cinque mesi in carcere prima di diventare consulente dell’anticorruzione) alle elezioni europee con un piccolo movimento figlio degli Indignados. Non è stato eletto a Bruxelles.

Sicuramente sono questi gli anni dei whistleblower: la platea milanese accoglie Falciani come un eroe e non lesina applausi, anche quando la realizzabilità di alcune proposte («tasse globali sulla ricchezza») lascia abbastanza a desiderare.

Se Il 2014 è stato l’anno di Edward Snowden, prima con il libro No place to hide firmato da Glenn Greenwald – il blogger del Guardian che svelò per primo l’Nsa-gate – poi con il documentario Citizenfour di Laura Poitras, vincitore dell’Oscar, il 2015 è l’anno di Falciani, che oltre a Falciani’s Tax Bomb presenta anche il libro La cassaforte degli evasori scritto assieme ad Angelo Mincuzzi de Il Sole 24 Ore, e in Italia edito da Chiarelettere.

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