Se qualcuno mi chiedesse notizie delle primarie del centrosinistra a Milano, non potrei dargli la risposta che si aspetta. Non si tratta ancora di una battaglia tra i candidati o tra le differenti visioni della città che animeranno il confronto politico.
Si sta giocando una sfida diversa, preliminare, radicale, di metodo: non una battaglia sulle regole delle primarie, come quella che segnò il confronto fra Renzi e Bersani a fine 2012, ma un duro confronto sotterraneo, caratterizzato da un’oscillazione continua della linea del fronte, da una lotta intestina in cui, fra aperture e stop improvvisi, si sta ancora discutendo se celebrarle o meno, le primarie.
Ciò costituisce un fatto paradossale e una contraddizione molto grave alla quale Renzi dovrebbe sfuggire, perché rischia di restare prigioniero del suo stesso tentativo di imbrigliare il dibattito politico a Milano.
Ho un ricordo ricorrente, negli ultimi giorni. Nell’ottobre del 2012 l’assemblea nazionale del Partito democratico, su proposta del segretario Pierluigi Bersani, che rinunciò così a una candidatura automatica, votò una deroga allo statuto che permise a Renzi di correre alle primarie per la Presidenza del Consiglio. Non eravamo tutti convinti che fosse una buona idea, tuttavia scendemmo a Roma per votare la deroga proposta da Bersani, ispirata sia da realismo politico sia da una cavalleria ormai rarissima nei confronti dell’avversario.
Ci sono numerose ragioni per dire di sì alle primarie milanesi. Su tutte, dovrebbe prevalere la più semplice: la memoria della straordinaria partecipazione che preparò la vittoria di Pisapia nel 2011, mettendo in campo le migliori energie della città e facendole confluire, in modo diretto e indiretto, nell’arena politica. Ci sono anche ragioni legate alla biografia di Renzi e al suo potenziale avvenire politico: in passato, il leader toscano fu consacrato dalle primarie sia come candidato a Firenze sia alla guida del Pd, per quanto abbia invece optato per un passaggio tutto interno al partito per affermarsi come Capo del Governo. In futuro, una sconfitta a Milano nel 2016, specialmente se legata ad un candidato imposto dall’alto senza primarie, potrebbe seriamente incrinare le sorti politiche del premier e i suoi rapporti con il centrosinistra milanese.
Renzi si può permettere molte cose, nel bene e nel male. Il clima e la storia del Paese gliele permettono. Ho però la sensazione che, per un politico che si vuole costantemente associato al tema del cambiamento, un divorzio da Milano sarebbe insostenibile. Non si dà alcun cambiamento, neanche per Renzi, senza passare da Milano, senza mettere al centro la sua cultura imprenditoriale, le energie dei suoi lavoratori, la vivacità dei suoi scambi commerciali, la ricchezza del suo dibattito.
Il Partito Democratico è una federazione. Al suo centro, per fortuna, stanno formalmente i territori e le città. Al suo centro oggi c’è Milano. E Milano ha già deciso di fare le primarie. Qualsiasi controindicazione suonerebbe tardiva e irricevibile.
* membro della Direzione regionale del Partito Democratico