Era il 2004 quando il Continente festeggiò l’accesso all’Unione Europea di nuovi 10 Paesi, 8 Stati ex comunisti più Malta e Cipro. Si parlò di “Nuova Europa”, di una ventata di freschezza portata da questi Paesi giovani, che rappresentavano l’eredità di Vaclav Havel, di Lech Walesa, della lotta contro il comunismo.
Sembrava ormai intrapresa la strada verso un’irreversibile integrazione tra la vecchia Europa occidentale e l’Est, sulla base di una comune impostazione economica, di ispirazione liberale, e storico-culturale, che vedeva relegata al passato non solo la Cortina di Ferro, ma anche i vecchi nazionalismi.
Al centro di questa nuova Europa vi era la Germania, che con la sua influenza economica pareva ricoprire un ruolo guida soprattutto per i Paesi dell’Est appena entrati nell’Unione.
L’allineamento e, come si dice in economia, il catching up verso l’Europa Occidentale a un primo sguardo parziale sembra ancora in atto, la crescita delle economie dei Paesi dell’Est rimane nettamente sopra la media europea, a tassi annui che l’Italia può solo invidiare:
Tuttavia mai come con le vicende legate all’emergenza immigrazione di queste settimane vi sono state spaccature così profonde tra queste aree, in particolare tra Paesi come Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, e la Germania.
Sembra essersi creata una divisione netta tra una ’”Europa buona” che assume la solidarietà come valore primario, e quella “cattiva”, ripiegata sulla paura e il rifiuto dello straniero.
Le speranze del 2004 sembrano essere smentite da retaggi storici e culturali: in alcune aree dell’Est Europa i confini non sono solo delle linee invisibili da attraversare innumerevoli volte con un volo Ryanair per andare a fare un Erasmus, come è per molti a Ovest, ma sono ancora scritte nel DNA e nella quotidianità di una parte considerevole della popolazione, segnano vecchi torti non dimenticati, separano da minoranze e da territori che ancora si rivendicano.
E’ la Costituzione ungherese quella in cui solo tre anni fa è stato inserito un riferimento ai connazionali che sono oltre confine in Romania e Slovacchia, come dei compatrioti da difendere.
E del resto dalla mappa sulla percentuale di residenti nati al di fuori dalla UE si può capire come anche il concetto di straniero possa essere diverso in alcuni Paesi:
Se a Monaco di Baviera, Amsterdam, Stoccolma, in realtà lo straniero è il collega o il compagno di scuola del figlio, se non il vicino di casa, a Bratislava o Budapest, e ancora più nelle città di provincia, lo straniero è realmente un estraneo e uno sconosciuto, se non un nemico, che sta lontano, dietro i confini.
Anche la crescita economica, poi, può non bastare, soprattutto se nasconde i problemi socio-economici di questa parte del Continente.
Se ne era parlato durante i giorni frenetici della crisi greca di luglio, quando erano stati proprio i Paesi orientali dell’eurozona ad opporsi a ulteriori programmi di assistenza al Paese ellenico, che pur in crisi continuava ad avere salari e soprattutto pensioni molto maggiori di loro.
In Slovacchia in effetti la pensione minima è di 140,81€ mensili, in Ungheria (che pure non fa parte dell’eurozona) è di circa 90€, nei Paesi Baltici si scende ai 64€ della Lettonia e ai 95€ della Lituania.
Un elenco dei salari minimi europei, poi, indica come a Est ancora non si sia raggiunto quel livello di sicurezza e relativo benessere che è un mezzo, necessario, ma non sufficiente, per la creazione di una società che veda se stessa come parte del mondo ricco e sviluppato e individui nell’immigrato extraeuropeo un rappresentante di un altro tipo di mondo radicalmente diverso, quello che una volta si chiamava Terzo Mondo.
Sono anzi ancora in molti a Est a vedere se stessi e i propri Paesi come componenti della parte più povera dell’Europa, che in qualche modo avrebbe bisogno di assistenza più che fornirne.
Sarebbe però troppo facile e superficiale tracciare i confini tra una Europa “buona” e una “cattiva” lungo l’ex Cortina di Ferro, si tratta in realtà di una linea che passa all’interno di tutti i Paesi.
Certamente dalla Danimarca, che aveva bloccato le proprie frontiere i giorni scorsi, in cui alle ultime elezioni il Partito Popolare del Progresso, la formazione più a destra e populista, ha ottenuto il 21,1%, con un balzo del 8,8%, divenendo il secondo partito.
Una traiettoria simile ai vicini Democratici Svedesi che dal 12,9% delle elezioni 2013 ora si vedono proiettati al 20% dai sondaggi, e che raccolgono i propri consensi proprio nelle aree intorno alle città con maggiore immigrazione, come Malmo in Svezia, come del resto succedeva a Rotterdam nei Paesi Bassi, ai tempi dei successi della lista Fortuyn.
Vi è però una “terza Europa” che presenta i segni di un’altra “Europa cattiva”, magari non per questioni nazionalistiche o storiche, quanto più economiche: si tratta di quelle aree a Ovest, per esempio in Italia e Francia, in cui la Grande Crisi ha lasciato cicatrici profonde, in termini di disoccupazione e soprattutto non occupazione.
E’ qui che in particolare il nostro Paese si avvicina all’Europa dell’Est, per esempio nel tasso di occupazione del segmento più fragile della popolazione, le donne, che risulta, tra i più bassi:
Più volte in Italia e Francia il voto verso le forze più ostili all’immigrazione è stato legato a una situazione di disagio. Il Front National raccoglie il maggiore sostegno nelle aree con una disoccupazione più elevata.
Le mappe che confrontano il voto al Fn alle europee “La mancanza” di un lavoro, l’assenza di una interazione con il prossimo, e della possibilità di toccare con mano, attraverso lo svolgimento di un’attività, la realtà economica e sociale del proprio Paese, da un lato lascia le persone maggiormente in balia di luoghi comuni, bufale, distorsioni, spesso veicolate dai media, complice la bassa istruzione, e dall’altro genera quel timore per il futuro, quella sfiducia, che si muta in frustrazione, e poi rancore verso la realtà.
014 (a sinistra) e il tasso di disoccupazione (a destra) coincidono in maniera notevole:
Anche il consenso alla Lega Nord, che pure si concentra nelle aree più ricche del Paese, in realtà appare correlato positivamente con la percentuale di persone a basso reddito.
Vecchi nazionalismi, povertà e disoccupazione, ruolo dei media, minore istruzione, l’Europa “cattiva” si nutre di questi elementi, alcuni nuovi, altri vecchissimi, ma l‘effetto è lo stesso di sempre, l’incertezza e la paura, di perdere il lavoro, di non trovarlo, di non ricevere sostegno statale, magari perchè riservato allo straniero, che d’altronde non si conosce, e anche per questo si teme.
Uno straniero che però, che lo si accetti o meno, farà sempre più parte della realtà quotidiana delle città d’Europa, sia di quella “buona” che di quella “cattiva”.