C’è vita su Marte? Se lo chiedeva anche David Bowie. La missione di esplorazione ExoMars potrà essere un importante passo per scoprirlo. Si tratta di un progetto dell’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea, e della Roscosmos – Agenzia Spaziale Russa –, in cui l’Italia gioca un ruolo chiave in qualità di primo finanziatore e artefice di buona parte della tecnologia a bordo.
Si tratta ancora di esplorazioni robotiche, ma il progetto non è che un tassello del Programma Aurora, che prevede l’invio di sonde e, in seguito, anche di esseri umani, nel sistema solare. Con Marte come meta privilegiata
Il fine di questa missione è appunto scoprire tracce di vita passata o presente su Marte. Si tratta ancora di esplorazioni robotiche, ma il progetto non è che un tassello del più vasto e ambizioso Programma Aurora, che prevede l’invio di sonde automatiche e, in seguito, anche di esseri umani, nel sistema solare. Con Marte come meta privilegiata. Sono previsti a breve due lanci: uno nel 2016 e l’altro nel 2018. Il primo consiste nell’invio di un orbiter e di un dimostratore tecnologico di ingresso e discesa. Nel 2018, invece, un lander russo rilascerà sulla superficie marziana un rover Esa in grado di perforare fino a due metri di profondità, il cui scopo sarà prelevare campioni che saranno poi analizzati con le strumentazioni di bordo.
Si diceva che la tecnologia italiana è fondamentale, e infatti tra le aziende coinvolte c’è anche Eni Tecnomare, che ha già messo le sue competenze al servizio dello spazio per la missione Rosetta, lanciata nel 2004 dall’Esa per lo studio della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko.
La tecnologia italiana è fondamentale, e infatti tra le aziende coinvolte c’è anche Eni Tecnomare
Tutto fa parte dell’ambizioso programma spaziale messo in campo da un’Europa unita e concorde almeno nell’esplorazione delle stelle. La collaborazione spaziale europea risale ufficialmente al 1964 – l’anno scorso è stato celebrato il cinquantenario –, ma già verso la fine degli anni ’40 la comunità scientifica stava muovendo i primi passi per rendere concreta la presenza europea nel settore spaziale. È solo nel 1975 però che è stata fondata l’Agenzia Spaziale Europea (European Space Agency), con l’incarico di coordinare i progetti spaziali di ben 22 Paesi.
Due rover nell’area test del laboratorio Airbus Defence and Space di Stevenage, Inghilterra (LEON NEAL/AFP/Getty Images)
Dopo la seconda guerra mondiale molti scienziati avevano abbandonato l’Europa per lavorare negli Stati Uniti o in Unione Sovietica. Soprattutto in campo spaziale, i singoli progetti nazionali non potevano in alcun modo competere con quelli sviluppati dalle due superpotenze.
Nel 1962 però, per ovviare a questa mancanza, nasce il primo embrione di cooperazione spaziale europea: sei paesi (Belgio, Francia, Germania, Regno Unito, Italia e Paesi Bassi), con la partecipazione dell’Australia, si unirono nell’European Launcher Development Organisation (Eldo) per costruire un lanciatore indipendente da Stati Uniti e URSS. Nel ’64 gli stessi paesi, con in più Danimarca, Svezia, Spagna e Svizzera, diedero ufficialmente vita all’Esro (European Space Research Organization), creata per avviare progetti in campo satellitare.
C’è un’Europa unita e concorde almeno nell’esplorazione delle stelle
Dieci anni più tardi, le due organizzazioni, Eldo e Esro, decisero di riunire le loro attività in un unico ente, l’Esa, e nel corso degli anni agli stati fondatori si sono uniti diversi Paesi europei, fino a raggiungere il numero attuale di 22 (l’ultimo ad aderire è stato l’Ungheria, il 24 febbraio 2015). Nei suoi anni di attività l’Esa ha collezionato numerosi successi nell’orbita terrestre e varie missioni nello spazio profondo, come la Missione Giotto per studiare la cometa di Halley o la missione Hipparcos, per la mappatura delle stelle.
Nei primi decenni la collaborazione della Nasa è stata fondamentale, ma dagli anni Novanta in poi l’Esa ha optato per un comportamento più autonomo – ne sono un esempio la riuscita missione SMART-1, una sonda di test dotata di una nuova propulsione, la missione Mars Express e lo sviluppo del lanciatore Ariane 5 –, anche per via delle restrizioni legali che i militari americani decisero di imporre allo scambio di informazioni e che nel 2005 fecero sì che anche ExoMars, allora missione congiunta Esa e Nasa, diventasse esclusivo appannaggio europeo. Attualmente l’Agenzia Spaziale Europea punta molto sulla cooperazione con la Russia, che vanta una grande esperienza nel campo dei lanciatori, addirittura superiore a quella statunitense.
«Anche se gli astronauti mantengono con orgoglio la propria nazionalità, tutti volano con un’unica identità europea e sono i migliori ambasciatori di un’Europa Unita», ha affermato Daniel Sacotte, direttore dei programmi voli spaziali, microgravità ed esplorazione dell’Esa, in occasione delle celebrazioni per i cinquant’anni di collaborazione spaziale europea.
«I valori che l’Esa e l’Unione Europea condividono sono essenziali per il successo dell’Europa», ha aggiunto Umberto Guidoni, ex astronauta dell’Esa e oggi membro del parlamento europeo, nonché primo europeo a salire a bordo della Iss nel corso dei dodici giorni della missione dello Space Shuttle del 2001.
Umberto Guidoni: «I valori che l’Esa e l’Unione Europea condividono sono essenziali per il successo dell’Europa»
Quattordici anni dopo è la ormai famosissima Samantha Cristoforetti a trascorrere quasi 200 giorni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, conseguendo il record europeo e il record femminile di permanenza nello spazio in un singolo volo. Alle celebrazioni per i 50 anni di esplorazioni spaziali europee ha partecipato direttamente dallo spazio, con un messaggio trasmesso durante la cerimonia: «È un grande onore per me celebrare i 50 anni dell’Agenzia Spaziale Europea, a pochi giorni dal mio lancio».
Nel messaggio il capitano Cristoforetti ha ricordato la missione europea Rosetta, «un incredibile successo», e ha spiegato come la tecnologia europea sarà al centro anche della sua missione.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Anche ExoMars si serve della tecnologia del vecchio continente. In particolare l’ESA ha assegnato all’industria italiana la leadership principale di entrambe le fasi della missione, quella del 2016 e quella del 2018. Oltre alla partecipazione di Eni Tecnomare dunque, la compagine industriale, come spiega il ricercatore Antonio Terribile, prevede Thales Alenia Space di Torino come responsabile globale, Astrium (ora nota come Airbus Industrie) per il rover, mentre la parte di drill è sviluppata da Selex ES di Milano in collaborazione, appunto, con Eni Tecnomare. Il tutto per una missione che, oltre a cercare tracce biologiche, studierà l’ambiente marziano per facilitare future missioni umane sul pianeta.
L’osservazione di Marte, il «pianeta rosso», ha da sempre alimentato grande fascino, supposizioni e fraintendimenti. A fine Ottocento l’errata traduzione in inglese del termine «canali» usato nei lavori di Giovanni Schiaparelli (fu usato canal − canale artificiale − piuttosto che il generico channel) portò a credere che su Marte vi fossero canali irrigui artificiali, mentre effettivamente lo scienziato aveva parlato solo di grandi solchi sulla superficie. Per lungo tempo si ritenne che Marte fosse un pianeta coperto di vegetazione e mari. Anche se le osservazioni al telescopio non erano in grado di confermare e anzi, più i telescopi diventavano sofisticati, più la teoria veniva smentita. L’esistenza dei due satelliti naturali di Marte, Fobos e Deimos, invece, era già stata ipotizzata da tempo, tanto che Jonathan Swift nel suo I viaggi di Gulliver riesce a citarne alcuni dati orbitali approssimativi.
Per lungo tempo si ritenne che Marte fosse un pianeta coperto di vegetazione e mari
Le aspettative del pubblico e della comunità scientifica circa la vita su Marte furono in gran parte disattese quando, nel 1965, la sonda Mariner 4 raggiunse per la prima volta il pianeta non rilevando segni di costruzioni, e anche le successive missioni Viking non rilevarono tracce di vita o composti organici in superficie.
Negli anni sono state numerose le missioni verso Marte intraprese da Unione Sovietica, Stati Uniti, Europa e Giappone per studiarne la geologia, l’atmosfera e la superficie. Molte delle quali si sono rivelate degli insuccessi, motivo per cui il pianeta continua a conservare il suo fascino e, soprattutto, è importante proseguire nelle ricerche.
Le aspettative del pubblico e della comunità scientifica circa la vita su Marte furono in gran parte disattese quando, nel 1965, la sonda Mariner 4 raggiunse per la prima volta il pianeta
L’esplorazione di Marte con equipaggio umano è un obiettivo a lungo termine degli Stati Uniti già da diversi anni. Una cooperazione tra Nasa e Lockheed Martin ha dato il via a questo proposito al progetto di Orion la cui missione di prova è programmata per il 2020 verso la Luna per intraprendere successivamente il viaggio verso Marte.
L’Esa prevede invece di inviare astronauti su Marte tra il 2030 e il 2035. Si tratta di un progetto molto ambizioso, Mars Sample Return, un’andata e ritorno da Marte che dovrebbe fare seguito, appunto, alla missione ExoMars. «Is there life on Mars?» Probabilmente no. Ma c’è ancora la possibilità di trovare tracce biologiche appartenenti al passato e, soprattutto, di gettare le basi che permetteranno all’uomo di camminare sul pianeta rosso.