Lo scorso 13 luglio la stampa mondiale celebrava l’accordo tra Grecia e i creditori internazionali, che prevede un nuovo piano di salvataggio da 86 miliardi di euro in cambio di riforme in tempi brevi da parte del governo ellenico. Il 4 agosto l’isola di Porto Rico, il piccolo territorio statunitense che ambisce a diventare il 51esimo stato dell’unione federale, fallisce il pagamento di una rata del debito da 58 milioni di dollari. La notizia del default non è stata una sorpresa per gli operatori, dato che il governatore portoricano, Alejandro Garcia Padilla, aveva più volte dichiarato pubblicamente l’impossibilità di rimborsare il debito di 72 miliardi di dollari. In prima analisi le due storie sembrerebbero non correlate ed un paragone tra la crisi del debito pubblico greco e quello portoricano potrebbe sembrare un azzardo.
Tuttavia l’economia ellenica e quella caraibica presentano molte più somiglianze di quanto si possa pensare. Grecia e Porto Rico, facendo parte di un’unione monetaria, non hanno controllo sulle rispettive valute e quindi non sono in grado di ricorrere a svalutazioni per alleviare gli effetti di una crisi e facilitare il pagamento del debito. Entrambe sono economie trainate dal settore turistico e che condividono un trend negativo di recessione nell’ultimo decennio. Inoltre i due paesi non sono membri di una vera unione politica, dal momento che la Grecia mantiene la sua sovranità legislativa in molte materie e Porto Rico non è uno stato della federazione ma semplicemente un territorio americano “non incorporato”.
Un’altra caratteristica che accomuna i due paesi è l’analoga storia di corruzione politica, rivelata dai punteggi molto negativi ottenuti nel Corruption Perceptions Index, e da un clima poco favorevole per le attività d’impresa, come provato dal Ease of Doing Business Index che classifica Porto Rico e Grecia rispettivamente in 47° e 61° posizione (l’Italia, per onore di cronaca, si classifica 57° per la facilità di fare impresa ed ha lo stesso punteggio della Grecia nell’indice di corruzione).
L’economia ellenica e quella caraibica presentano molte più somiglianze di quanto si possa pensare. Fanno parte di un’unione monetaria, non hanno controllo sulle rispettive valute e non sono in grado di ricorrere a svalutazioni. Entrambe sono economie trainate dal settore turistico e che condividono un trend negativo di recessione nell’ultimo decennio
Tuttavia, nonostante la notizia del default di Porto Rico e la continua performance negativa della sua economia, i mercati finanziari non sembrano essere allarmati e la news del fallimento non ha destato nessun clamore. Le testate giornalistiche non hanno mai accennato a un potenziale “PuertoExit”, non si è assistito a corse agli sportelli e nessun tipo di protesta è stata innescata dalla popolazione. Esattamente il contrario di ciò che è accaduto in Grecia.
La ragione per cui la crisi del debito portoricano non è percepita con la stessa gravità di quella greca risiede nella diversa configurazione istituzionale tra le due unioni, quella statunitense e quella europea.
A parte la diversa dimensione del debito, quello portoricano ammonta a 72 miliardi di dollari (circa 20.000$ pro capite) mentre quello greco raggiunge i 320 miliardi di euro (equivalenti a più di 30.000$ pro capite di debito), la grande differenza sta nella diverso setup istituzionale tra l’unione federale statunitense e l’unione monetaria europea. Il caso Porto Rico dimostra come la struttura federale statunitense sembra più adatta a ridurre le conseguenze negative di una crisi del debito di uno dei suoi membri. La motivazione alla base di tale maggiore predisposizione si deve ricercare nei diversi sistemi bancari e fiscali delle due unioni.
L’Unione monetaria europea necessita di essere sostenuta da un unione bancaria, già avviata ma non ancora completata, e da una effettiva unione fiscale ed economica, in cui tutti i membri rispettino regole comuni e condividano rischi e risorse finanziarie. Prima di tutto l’Europa, a differenza degli Stati Uniti, non ha ancora concluso il processo di unificazione del sistema bancario.
Durante la crisi portoricana il sistema bancario statunitense, già unificato ed inclusivo, ha salvato tre banche nel 2010 e una banca nel 2015, per un costo totale pari al 7% del PIL del Porto Rico, interamente finanziato da fondi federali. Questo, insieme alla garanzia su tutti i depositi bancari fino a 250.000$ fornita da fondi federali, ha significativamente diminuito l’esposizione al rischio dell’ isola caraibica durante la crisi.
Anche l’Europa ha creato un fondo comunitario nel 2012, ma purtroppo non sufficientemente grande da sostenere l’economia greca nello stesso modo in cui gli Stati Uniti hanno sostenuto quella Portoricana. Inoltre, durante la crisi, le banche europee hanno acquistato molti titoli di Stato greci, generando una relazione perversa tra la solvibilità dello Stato e la solvibilità delle banche. La banche statunitensi invece non risultano essere particolarmente esposte al debito Portoricano, essendo quest’ultimo quasi interamente nella mani di investitori privati ed hedge fund. Per questa ragione il default del piccolo stato caraibico non ha creato effetti sistemici sul settore bancario statunitense.
Il caso Porto Rico dimostra come la struttura federale statunitense sembra più adatta a ridurre le conseguenze negative di una crisi del debito di uno dei suoi membri
La seconda grande differenza nella configurazione istituzionale consiste nell’assenza in Europa di un’unione fiscale, al contrario degli Stati Uniti. Infatti, la maggior parte delle tasse pagate dai cittadini americani vanno al governo federale, mentre i contributi dei cittadini europei finiscono principalmente nelle casse dei singoli stati membri.
ll dibattito pubblico europeo si sta ultimamente confrontando su una possibile introduzione di una tassa europea che costituirebbe il primo passo per una futura unione fiscale. Gli stati europei, accettando una tassa sovranazionale, accorderebbero di trasferire parte della propria sovranità su una materia fondamentale e delicata come la fiscalità. L’introduzione di una tassa di questo tipo significherebbe per l’Europa avviare un processo di unificazione fiscale sulla base della fiscalità americana.
ll dibattito pubblico europeo si sta ultimamente confrontando su una possibile introduzione di una tassa europea che costituirebbe il primo passo per una futura unione fiscale
Per capire i vantaggi e il funzionamento di un sistema fiscale unificato, è interessante esaminare come il fiscal transfer agisce tra stati americani più ricchi e quelli stati poveri. Prendendo in considerazione cinque stati ricchi come California, Connecticut, Illinois, New Jersey e New York, che insieme rappresentano più del 30% del PIL statunitense, è interessante notare che, a parità di tasse pagate, la spesa federale nei cinque stati è nettamente inferiore rispetto alla spesa pubblica negli stati più “bisognosi” come Missouri, Tennessee e Kansas.
Infatti il governo federale degli Stati Uniti usa trasferimenti fiscali automatici, come ad esempio Medicaid, per proteggere gli indigenti, anziani e malati, a prescindere dallo stato di residenza. Nella parte inferiore del grafico è stato ipotizzato come il fiscal transfer potrebbe funzionare in Europa, con Grecia, Portogallo e Irlanda che riceverebbero più di quanto pagato in tasse grazie ai contributi fiscali di nazioni più benestanti come Germania, Svezia, Olanda e Belgio.
Tornando al caso portoricano, anche la piccola isola caraibica riceve trasferimenti fiscali. In particolare l’importo dei fiscal transfer è cresciuto da quando l’economia di Porto Rico ha iniziato a rallentare, passando dal 13% del PIL pre-crisi al 21% del PIL durante la crisi. Dato che l’Europa non ha un’unione fiscale comparabile a quella americana, la Grecia ottiene trasferimenti netti dall’Europa solo pari al 3% del suo PIL e tale importo è rimasto stabile anche in periodo di crisi.
Di conseguenza, è chiaro come la diversa configurazione istituzionale statunitense ha contribuito ad alleviare gli effetti sociali della crisi, mentre le conseguenze sono state molto più drammatiche in Europa. Ad esempio, dall’inizio della crisi, il PIL portoricano è sceso del 9% rispetto alla caduta del 25% di quello greco e l’attuale tasso di disoccupazione a Porto Rico è del 14%, mentre raggiunge livelli del 27% in Grecia.
Tuttavia, nonostante un migliore setup istituzionale, Porto Rico è fallito e quindi anche l’introduzione di un sistema simile in Europa non eliminerebbe il rischio di default per gli stati, ma contribuirebbe comunque a ridurre le conseguenze negative delle crisi.
Nel 1849, Victor Hugo, nel suo capolavoro I miserabili, scrisse: «Verrà un giorno quando Francia, Italia, Inghilterra, Germania, e tutti voi, nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità distintive e la vostre gloriose individualità, sarete fuse strettamente all’interno di una unità superiore e formerete la fraternità europea». Quel giorno sembra ancora lontano ma, per salvare l’idea stessa di Europa, il perfezionamento dell’unione bancaria e l’avvio di un’unione fiscale inclusiva sono di estrema urgenza.