«Milano è il comune più comune d’Italia e la città più città d’Italia. Qui la sindrome ‘‘Marino’’, l’astio verso il sindaco di queste proporzioni non è mai stato possibile e non sarebbe possibile». Su almeno un punto gli ospiti presenti alla Festa dell’Unità la sera del 4 settembre si dicono tutti d’accordo. Nella penultima sera ai giardini di Porta Venezia si parla del capoluogo lombardo, del suo passato, del suo futuro come città metropolitana.
A farlo due esponenti della giunta Pisapia come Franco D’Alfonso, assessore al Commercio, e Francesca Balzani, Vicesindaco e assessore al Bilancio. Il nome della Balzani è rimbalzato nelle ultime 72 ore sulle cronache di tutta la stampa locale, come possibile candidato sindaco per il dopo Pisapia. «C’è già un esponente della giunta candidato, l’assessore alle politiche sociali Pierfrancesco Majorino – spiega Francesca Balzani – non mi sembra il caso di scaldare gli animi nella fase più difficile di un’amministrazione, quella terminale».
Francesca Balzani non conferma e non smentisce il suo nome come candidata sindaco del centrosinistra. Per D’Alfonso «Le primarie si fanno punto e basta anche se interviene Obama. Ma non stiamo cercando un mago della pioggia»
Alla domanda se le primarie si faranno con certezza, fatto tutt’altro che scontato dopo che negli ultimi mesi diversi malumori provenienti da Roma hanno messo in discussione l’autonomia del centrosinistra milanese, risponde D’Alfonso: «Una volta che abbiamo detto che si faranno allora si faranno, punto e basta. Potrebbe intervenire anche Obama ma la nostra posizione rimane questa. Basta che le primarie non siano un concorso di miss Italia per darsi i punteggi a vicenda e vedere quanto siamo belli. Non abbiamo bisogno di trovare un ‘‘mago della pioggia’’, ma un programma politico».
Assieme ai due assessori, nella sala Dibattiti e Prospettive della festa dell’Unità, ci sono Piero Bassetti, il primo Presidente di Regione Lombardia, e Giampiero Borghini – l’ultimo sindaco ad essere eletto per via indiretta. Raccontano la Milano che hanno vissuto loro «quella della ricostruzione industriale fra il ‘45 e il ‘60 e che si è svegliata a cavallo degli anni ‘70-‘80 mentre un terremoto sconvolgeva l’industria». A Milano e in Lombardia si sono persi in quegli anni due terzi degli addetti di settore. Dopo quella trasformazione abbiamo scoperto «che il lavoro non dipende più solo dalle aziende, ma dalla forma urbana».
La forma e quindi il ri-formismo, aggiungono sorridendo, «o come lo chiamavo i comunisti pur di non pronunciare quella parola, ‘‘l’azione riformatrice’’. Il punto è che comunque la si voglia chiamare, quell’azione era dettata dalla politica che anticipava e modulava le trasformazioni. Oggi, al contrario, il riformismo è un modo della società, con la politica costretta ad inseguire».
I comunisti detestavano il riformismo. All’epoca era la politica a guidare i cambiamenti. Ora i cambiamenti avvengono nella società e la politica li deve inseguire
Interviene Sergio Scalpelli che è stato assessore alla Cultura con la giunta Albertini, più che simpatizzante di Matteo Renzi «anche se non capisco come un uomo che è nato dalle primarie possa avere oggi una posizione critica su queste ultime». Per Scalpelli essere riformisti significa sgombrare il campo dagli stereotipi: «Il primo è che Milano sia una città impolitica o apolitica. Si racconta una storia di élite che vogliono essere lasciate in pace dalla politica. Se così fosse non si spiegherebbero alcuni fenomeni come Malagò, Spadolini, Craxi o Berlusconi». Il secondo stereotipo «è che Milano sia di destra. Nel 1997 il centrodestra ha vinto in una situazione in cui era impossibile perdere. Dopo meno di un anno però ha dovuto fare i conti con una tradizione meneghina di macchina comunale, di società pubbliche, che non si poteva ignorare».
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Chiude Francesca Balzani con un esempio concreto di cos’è riformismo. Un esempio ispirato proprio da Piero Bassetti e che affonda le radici nei decenni passati: «Quando Bassetti era assessore al Bilancio nel 1962, s’inventò la programmazione pluriennale. Oggi è un principio assodato – ogni bilancio, dal più piccolo fra i Comuni, fino alla legge di Stabilità del Governo centrale, deve tener conto degli anni futuri – ma all’epoca questo gesto più che riformista era rivoluzionario».
Anche perché «I comuni non hanno lo strumento legislativo come governi e regioni. Le loro leggi sono le risorse», quindi se vi state chiedendo cosa è mancato negli ultimi anni, la risposta è semplice: «Risorse». I soldi.