«Non partite, restate, potrebbe non esserci ritorno». È il messaggio che arriva tramite Facebook dal ministero dei Rifugiati e dei rimpatri del governo dell’Afghanistan indirizzato ai cittadini che hanno intenzione di partire per raggiungere l’Europa. E a corredo il governo di Kabul sta usando immagini molto persuasive. Un migrante con zaino in spalla rivolto verso una porta oltre la quale si vede una spiaggia con diversi migranti annegati sulla riva. Barconi carichi di persone alla deriva. Un bambino assetato in un campo profughi.
Nel 2014 i rifugiati afghani nel mondo erano oltre 2,5 milioni, oltre il 60% del totale (numeri Unhcr). Sparsi in 92 Paesi diversi del mondo, ma concentrati soprattutto tra Pakistan e Iran. Secondo l’Unhcr, quella degli afghani è la condizione più lunga di rifugiati al mondo. E se è vero che dal 2002 in poi, dopo l’intervento militare americano, oltre 5,8 milioni di persone sono tornate, è anche vero che in tanti vivono ancora in condizioni limite nei campi profughi. Molti così continuano ancora a mettersi in marcia per fuggire da un Paese in cui dominano violenza e terrore. Dall’inizio del 2015 dall’Afghanistan sono partite già 50mila persone, rappresentando il secondo flusso migratorio dopo quello siriano. La Saar, Solutions Strategy for Afghan Refugees, che prevede una collaborazione tra Kabul, Pakistan e Iran per favorire il ritorno dei rifugiati in Afghanistan ha ancora bisogno di molti fondi. «Il 2015 sarà un anno cruciale per implementare il programma», dicono dall’Uhcr.
La disoccupazione, nonostante il calo degli ultimi anni, è ancora superiore all’8 per cento in totale, raddoppiando oltre il 16% tra i giovani uomini. E il 36% della popolazione vive in uno stato di povertà. Ma quello che più preoccupa è che i Talebani conquistano nuovo terreno ogni giorno, e morti e violenze sono ormai cronaca quotidiana.
L’esodo dall’Afghanistan continua. Tanto che molti cominciano a preoccuparsi dei possibili effetti della “fuga dei cervelli” sul futuro del Paese, come ha raccontato The Atlantic. «Nei primi mesi della mia presidenza mi sono concentrato sull’esercito afghano», ha detto il presidente Ashraf Ghani in un’intervista del 20 settembre. «Se le forze di sicurezza non riescono a stare sulle proprie gambe tutto il resto ha poca importanza». Poi si penserà a «migliorare l’economia del Paese nei prossimi mesi».
Lo stesso ex presidente Hamid Karzai ha sostenuto che bisogna creare un ambiente favorevole per permettere ai giovani afghani di restare e ricostruire il Paese. «Tra gli afghani che partono molti sono laureati, tanti hanno persino dottorati universitari, questi giovani potrebbero essere al servizio del Paese», ha detto un portavoce del ministero dei Rifugiati e dei rimpatri in una intervista a Tolo News. E dallo stesso ministero è partita la campagna sui social network in cui si chiede di restare.
Accanto alla campagna governativa, ha preso il via anche un movimento dal basso, sempre attraverso i social, che ha lanciato un profilo e l’hashtag #AfghanistanNeedsYou. In tanti stanno condividendo su Twitter le proprie fotografie con i cartelli che dicono “L’Afghanistan ha bisogno di te”. In uno dei tweet si legge: «Negli ultimi 14 anni abbiamo sviluppato un nuovo Afghanistan, quindi andiamo avanti e restiamo in Afganistan. #L’Afghanistanhabisognodite».