Ridere di Putin: quando fare satira è davvero pericoloso

Speciale satira/2

In tivù non c’è quasi nulla. Sui giornali qualcosa appare, ma con molto giudizio. L’ironia su Putin, in Russia, può essere pericolosa. «Nelle redazioni ci sono scatole intere di vignette sul governo che non vengono pubblicate», almeno secondo l’attivista e autore satirico Mihail Zlatkovsky, perché «si preferisce non farlo» e non per motivi editoriali. «La scusa, il pretesto per impedirlo non è mai la censura. Si tirano in ballo vaghe – e false – motivazioni economiche», spiega a Linkiesta. Non ci sono divieti espliciti, ma è facile capire che certe battute non sono gradite, in certi ambienti. E chi ha orecchie per intendere, intende.

Nel 2002, ad esempio, il canale televisivo Ntv ha dovuto chiudere il programma satirico Kyklos. Metteva in scena pupazzi di gomma-piuma con sembianze di poltici (e sì, anche di Vladimir Putin e di Dmitrj Medvedev). Dopo una serie di pressioni (almeno secondo uno degli autori) e, in particolare, dopo una puntata specifica, le cose sono diventate sempre più difficili. «Il nostro obiettivo è di raggiungere i limiti della libertà di espressione», spiegava Gregory Liubomirov, direttore del programma, «e di renderli visibili». In un certo senso, la sua chiusura ne è stata la massima dimostrazione.

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Nel 2008, per fare un altro esempio, vennero tagliate alcune battute alla cerimonia dei Nikas, cioè la risposta russa agli Oscar. Era uno dei momenti in cui Putin e Medvedev si avvicendavano al potere, nei ruoli di presidente e di primo ministro, e gli autori avevano scelto di scherzare proprio su questo fatto. «Per tradizione, abbiamo un messaggio di auguri da parte del presidente. Ma, visto che non si capisce bene chi sia, considerate che vengano da me», aveva detto il presentatore. Tagliato. Poi, era prevista una clip in cui Putin appariva nelle vesti di uno zar, e Medvedev di un suo servitore. Tagliata anche quella. Meglio evitare certe cose.

La repressione del dissenso passa anche attraverso lo spegnimento della satira, o della denuncia umoristica. Non è facile ridere del potere, quando il potere non vuole che si rida di lui

Nel 2013, la mostra a San Pietroburgo delle opere del pittore russo Konstantin Altunin venne chiusa su ordine del Cremlino. L’artista aveva rappresentato, su una tela, Medvedev in mutande e reggiseno, con accanto Putin (anche lui vestito da donna), che lo pettinava. Siamo al confine tra la satira e la denuncia artistica, ma non su queste sottigliezze si era concentrata l’attenzione delle autorità. C’erano ritratti anche di Vitaky Milonov, deputato di San Pietroburgo, raffigurato su uno sfondo arcobaleno, e una tela dedicata alla ginnasta Alina Kabaieva – secondo le voci, l’amante di Putin. Ce n’era abbastanza per un sequestro (che avvenne, con tanto di irruzione dello stesso Milonov) e per indurre Altunin a lasciare la Russia. A distanza di tre anni non è ancora rientrato.

Casi come questi sono numerosi. La repressione del dissenso passa anche attraverso lo spegnimento della satira, o della denuncia umoristica. Non è facile ridere del potere, quando il potere non vuole che si rida di lui. Questo, però, non vuol dire che in Russia non esistano programmi umoristici, o comici. È l’attacco al potere che manca, bandito dalla televisione e dai media principali. Se si fa satira, si fa per colpire i “nemici” della Russia. «La satira politica che viene mostrata va contro l’opposizione», spiega Zlatkovsky, «oppure prende di mira i gay. Oppure ancora, gli Usa e – in particolare – il presidente Barack Obama». Umorismo di potere.

Obama a Putin: “La vedi la democrazia?” “No.” “E invece c’è”. Putin a Obama: “Le vedi le sanzioni?” “Sì.” “E invece non ci sono” – La vignetta circolava prima che le sanzioni avessero effetto

Sono altre le cose di cui è meglio non parlare. «Il giro di vite è cominciato nel 2008. Fino a quel momento, solo alcuni argomenti erano diventati, col tempo, tabù. Prima la Chiesa. Poi l’esercito. Poi la polizia. Poi Gazprom. Poi il servizio sanitario. Poi, con il 2008, quasi tutto», continua Zlatkovsky. E allora la satira che esisteva anche nel pieno della Russia sovietica, che è continuata «durante Gorbaciov e la Perestrojka, con prese in giro del regime, del presidente e del socialismo in generale, con gli anni è venuta meno. Con Putin, è svanita».

«Il giro di vite è cominciato nel 2008. Fino a quel momento, solo alcuni argomenti erano diventati, col tempo, tabù»

Nessuna risata, insomma, li seppellirà. Anzi: la paranoia repressiva impedisce, in certi casi, perfino di capire le battute. Lo dimostra la reazione di alcuni giornali alla notizia, del tutto falsa, del piano del senatore McCain di invadere la Fifa. Si trattava di una battuta di Andrew Borowitz, scrittore satirico del New Yorker: è stata presa alla lettera e, come è evidente, male interpretata. La risposta di Vladislav Vorobyov, penna acuminata della Rossiskaja Gazeta, la dice lunga. «E come pensano di fare? Dove lancerebbe le bombe McCain, avesse il potere di farlo? Sugli stadi? Gli americani credono di poter bombardare qualsiasi cosa. Hanno perso contatto con la realtà». Su questo secondo punto, forse, non sono da soli.

Esiste, però, un mondo in cui la protesta, feroce e divertita, trova spazio. È un mondo underground, fuori dai canali ufficiali, che si divide tra la rete e la strada. Internet è, senza dubbio, uno dei rifugi più vivaci per vignettisti e umoristi anti-Putin. La “blogosfera”, come sottolinea la studiosa Alexandra Arkhipova, professoressa di Antropologia alla Università Statale di Mosca, è uno degli universi in cui «trovano spazio le battute sui fatti più recenti e attuali della Russia». Video e meme, di origine anonima, diventano fenomeni virali e di grande diffusione. Assenti dai giornali, lontani dalla tv, trovano una propria vita sul web. È capitato, ad esempio, in occasione della recente e temporanea “scomparsa” di Putin dai media. Nessuno sapeva dove fosse e le interpretazioni satiriche si sono sbizzarrite, fino a immaginare un rapimento alieno:

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È una protesta, una risata. Putin viene colpito anche per la sua fame di potere, e per i suoi continui mandati presidenziali:

“La vita comincia a 60 anni”. Si prende in giro il suo terzo mandato

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Ma basta?

Secondo la Arkhipova, no. Prima di tutto, la repressione governativa colpisce anche la rete. Lo dimostra la chiusura, nel 2015, del sito Lurkmore, una sorta di Wikipedia satirica, con un linguaggio sbottonato, incline al meme e alla presa in giro. La pagina su Putin non è piaciuta, come molte altre cose. E allora sono arrivati i sigilli. Internet poi, aggiunge Zlatkovsky «raggiunge solo il 10% della popolazione. È limitato. La satira in rete gioca un ruolo minimo».

La conferma arriva dagli studi della Arkhipova, che si sono concentrati sulle battute che circolavano ai tempi di Stalin (su cui ha pubblicato anche un libro) e su quelle che, in tempi più recenti, riguardano Putin. Sono periodi storici diversi, ma l’umorismo, almeno da un punto di vista formale, non è cambiato molto. In una delle sue analisi, focalizzata sugli slogan e le battute circolate durante le proteste del dicembre 2011, la cosiddetta “Rivoluzione bianca”, il fenomeno appare chiaro.

«Convivevano battute originali, dedicate agli argomenti più recenti, e rielaborazioni di battute più vecchie, già in circolazione ai tempi dell’Unione Sovietica». In periodi normali, spiega, la maggior parte delle barzellette in circolazione consiste in adattamenti di vecchie situazioni comiche, su argomenti più o meno costanti nel tempo.
 

“Presidente Putin, ho due notizie. Una buona e una cattiva”. “Sentiamo la buona”. “Ha vinto le elezioni”. “E la cattiva?” “Nessuno ha votato per lei”.

Un dialogo come questo è una rielaborazione di una vecchia battuta, che girava anche in epoca sovietica, con una struttura (la “notizia buona e quella cattiva”) pressoché universale. Come spiega la studiosa, si tratta di una formulazione classica che tradisce la sua età.

Le battute non dialogiche, invece, sono di solito focalizzate su argomenti recenti, caldi e circolano di più in momenti di tensione. Era così ai tempi delle manifestazioni, ed è stato così anche all’epoca dell’annessione della Crimea:
 

“La dissonanza cognitiva? È quando vai a un incontro per la riunificazione della Russia e della Crimea con un referendum e, intanto, vivi in un Paese in cui incontri e referendum sono proibiti”

Il passaggio da una formulazione non dialogica a una dialogica, cioè dal primo modello al secondo modello, ne indica l’età e il suo distacco dalla realtà attuale. Una forma immediata e non dialogica è sintomo di attualità. Non colpisce che battute come queste siano sempre più in circolazione.

In ogni caso, sostiene la Arkhipova, Internet non è sufficiente per diffondere satira e battute. Come diceva Zlatkovsky, è uno spazio che rimane limitato a chi già frequenta quei siti, a una cerchia, più o meno ristretta di persone che lo utilizza come strumento di protesta. Se si vuole diffondere una battuta, bisogna andare in strada. È lì, sottolinea, che si ha la vera viralità. Ed è lì, si intuisce, che si possono diffondere idee diverse da quelle della propaganda ufficiale, sotto il velame della presa in giro. Si ride sempre meglio se si ride insieme, insieme. Anche alle spalle, fin troppo larghe, del potere di Putin.

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