PrioritàTerzo settore, la riforma delle grandi promesse è arenata al Senato

A Palazzo Madama si pensa più alle riforme costituzionali. Sul testo approvato alla Camera sono stati presentati 700 emendamenti, tutti da vagliare

La lotta politica interna al Partito democratico sulla riforma del Senato l’ha fatta passare in secondo piano. E, intanto, la riforma del terzo settore, che sembrava una priorità del governo Renzi soprattutto dopo lo scandalo Mafia Capitale sulle cooperative, è finita in coda. Slittata all’anno prossimo, o meglio alla primavera del 2016, come ha detto il ministro Maria Elena Boschi in un’intervista a Vita.it. Dietro Senato e unioni civili.

Dopo il via libera della Camera dei deputati ad aprile e l’arrivo in Senato, il testo del disegno di legge delega è bloccato da luglio nella commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Il 7 settembre è scaduto il termine per la presentazione degliemendamenti, che sono circa 700 in totale. Il lavoro da fare, quindi, non sarà breve. Il ddl per il momento è stato accantonato, mentre l’attenzione si è concentrata sulla eleggibilità dei senatori. Così il lieto fine per il disegno di legge delega si sposta sempre più in avanti.

Come ricorda Valigia Blu, che monitora promesse e riforme effettivamente compiute dal governo, nel marzo del 2014 il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva promesso un fondo di 500 milioni di euro alle realtà del terzo settore a partire già dal giugno successivo. A maggio 2014 il governo pubblica le linee guida per una riforma del terzo settore, ma la cifra stanziata non viene più specificata e si rimanda tutto a fine giugno. Ad aprile dello stesso anno, la riforma è stata ancora una volta posticipata, finché il testo è stato presentato ad agosto, quattro mesi dopo, conun fondo per il settore di 50, e non 500 milioni di euro. Così il disegno di legge delega in sette articoli è arrivato alla Camera, dove è stato modificato e approvato il 13 aprile 2015, salvo poi bloccarsi al Senato nell’estate.

I due relatori del disegno di legge di Camera e Senato, Donata Lenzi e Stefano Lepri, entrambi del Pd, non riescono a trovare la quadra. E dopo l’approvazione alla Camera, lo stesso Lepri ha presentato ben 24 dei 700 emendamenti, di fatto stravolgendo il lavoro dei colleghi di partito della Camera. Le sue proposte di modifica vanno dalla definizione stessa di impresa sociale all’abolizione degli enti non commerciali e delle onlus.

Il punto più controverso riguarda i centri di servizi per il volontariato. «Le modifiche proposte da Lepri prevedono un meccanismo di accreditamento non più sulla base di bandi provinciali ma mettendo in concorrenza i centri», spiega Donata Lenzi, relatrice del disegno di legge alla Camera. «Ma volontariato e concorrenza sono due cose distinte, che appartengono a dimensioni diverse. Su questo punto sarà difficile trovare un accordo». Nel settore c’è molta tensione, e per il 2 ottobre a Firenze è stato convocato una sorta di congresso tra i centri per discuterne. «È un mondo che non si fa governare dall’esterno, serve un’interlocuzione», dice Lenzi.

Il disegno di legge attribuisce al governo la delega ad approvare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, idecreti legislativi che dovranno riordinare il terzo settore, dalle imprese sociali al volontariato fino al servizio civile. Cosa non di poco conto, visto che nel settore sono coinvolti circa 6 milioni di volontari e oltre 700mila dipendenti più 300mila collaboratori esterni. Uno sbocco occupazionale importante, soprattutto per le donne e i giovani. Per un valore che viene addirittura stimato tra i 4 e il 5% del Pil. Nel calderone ci sono associazioni, organizzazioni non governative, onlus, fondazioni e cooperative sociali (12mila circa su 62mila cooperative). Quest’ultime finite sotto la lente d’ingrandimento dopo gli scandali sull’accoglienza dei migranti, da Mafia Capitale a Napoli.

Il percorso non sarà semplice. Le visioni da Montecitorio e Palazzo Madama sembrano stare ai poli opposti. E anche sul fronte del“controllo qualità” delle cooperative, «si potrebbe fare di più», dice Donata Lenzi. «Dovremmo cercare un meccanismo più selettivo per l’iscrizione all’albo senza arrivare dopo con la sanzione». L’idea iniziale era quella di affidare il controllo preventivo al ministero del Lavoro tramite gli ispettorati locali, ma poi con il Jobs Act gli uffici locali sono stati tagliati ed è stata creata l’Agenzia unica per l’ispettorato. Bisognerà trovare ora altri soggetti che distingueranno le cooperative vere da quelle spurie. «Mi auguro che il Senato trovi la quadra politica e riesca a incardinare il testo», dice Lenzi, «poi alla Camera faremo rapidamente».

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