TaccolaTest fasulli sulle emissioni: nel mirino non c’è solo Volkswagen

L’allarme in uno studio: la distanza tra test e “mondo reale” per la CO2 è arrivata al 40%, “plausibile” che si usino dei software ingannevoli

Il mondo si scandalizza per il Dieselgate che ha coinvolto Volkswagen per un software che manipolava le emissioni di NOx durante i test. Ma lo scandalo potrebbe essere molto più grande e riguardare altri produttori. A dirlo chiaramente, nero su bianco, è l’associazione “Transport & Environment”, nel suo ultimo rapporto “Mind The Gap 2015”, pubblicato il 28 settembre. Nello studio si parla di CO2, non di NOx. Si sottolineano le “enormi differenze” tra i dati dei test e quelli del “mondo reale” e si arriva a una conclusione durissima:

«Distanze tanto grandi non possono essere spiegate attraverso le “flessibilità” dei test conosciute e suggeriscono un’altra ragione, come, per esempio, l’uso di un “defeat device” (un congegno per abbattere le emissioni, ndr) destinato a produrre artificialmente risultati dei test bassi, attraverso la modificazione del modo in cui il motore opera. Questo – continua lo studio – è completamente plausibile; alcune auto ora sono equipaggiate con “eco-modelli” che alterano i modo in cui un motore performa a seconda della scelta del guidatore. Un “defeat device” in grado di riconoscere che viene condotto un test potrebbe, perciò, essere usato in modo più ampio di come è stato smarcherato recentemente nello scandalo della Volkswagen. L’obiettivo dell’investigazione di determinare l’estensione di quali “defeat device” sono in uso dovrebbe essere esteso anche per coprire i test sulla CO2».

Le “distanze tanto grandi” sono quelle tra i test ufficiali e quelli del “mondo reale”, cioè condotti su strada, riguardo alle emissioni di CO2. Il gap è diventato un abisso: in termini numerici, si è passati da una distanza dell’8% nel 2001 a una del 31% nel 2012, fino ad arrivare al 40% nel 2014. Si tratta di una media tra i risultati delle auto private (36%) e di quelli delle auto aziendali (45%). Senza interventi, dicono da Transport & Environment, questa distanza arriverà a poco meno del 50% nel 2020. Già oggi modelli Mercedes classe A, C ed E, BMW serie 5 e Peugeot 308, secondo lo studio sono attorno al 50 per cento.

A incidere su questi risultati sono le scappatoie (loopholes) che i produttori utilizzano durante i test. Queste “flessibilità”, spiega lo studio, vanno dal disconnettere l’alternatore all’usare speciali lubrificanti, dalla modificazione delle pastiglie dei freni per ridurre l’attrito all’utilizzo di pneumatici speciali e ipergonfiati (si veda l’infografica per i dettagli). Tutto legale, ma con l’effetto di modificare fortemente i risultati dei test.

Secondo stime Icct citate dallo studio Mind The Gap, queste “flessibilità” nel 2002 contribuivano per il 5% alla divergenza tra i test e il mondo reale. Nel 2010 si era saliti al 15%, nel 2014 a 24 punti percentuali. Secondo lo studio tali differenze sono ancora maggiori per le auto con motore ibrido.

La differenza tra i progressi dei test ufficiali e quelli reali è molto elevata: due terzi degli incrementi raggiunti dal 2008 sarebbero puramente teorici («“aria calda” causata dalle manipolazioni delle procedure dei test da parte dei costruttori»), mentre solo un terzo (13,3 g/km di emissioni di CO2 su circa 35) sarebbe realmente riscontrabile.

Le differenze si vedono molto da costruttore a costruttore e ancor di più da modello a modello. La Daimler, la Psa (Peugeot e Citroen) e General Motors sono le case con le differenze maggiori tra i consumi di carburante nel mondo reale e nei test. Al contrario, Fiat e Toyota sono quelli con le differenze minori. Qualcuno, tra Torino e Detroit, sta tirando un sospiro di sollievo.

«Sarei cauto sui risultati fatti sui test in strada. Se faccio dieci volte la prova su strada, ottengo dieci risultati diversi – avverte Massimo Nascimbene, condirettore di Quattroruote -. Quando noi effettuiamo i test di Quattroruote, facciamo un lavoro statistico che parte da percorsi i più simili possibili in pista. Le condizioni ambientali incidono in maniera determinante».

C’è da aggiungere che la T&E ha svolto delle verifiche su sei modelli Euro 5 ed Euro 6 usando i test Nedc (quelli utilizzati nelle rilevazioni ufficiali) ma senza le manipolazioni delle “flessibilità” descritte prima. I risultati hanno mostrato una media di emissioni di CO2 superiore del 23% rispetto ai test ufficiali.

Sulla necessità di cambiare sistema Nascimbene è d’accordo. «Se parliamo di modelli di omologazione, non ci risulta che altri, oltre a Volkswagen, abbiano usato artifici, anche se il sospetto c’è, sono voci che girano, soprattutto per quel che riguarda il controllo della CO2. È il meccanismo di omologazione che andrebbe cambiato», commenta a Linkiesta.

Per il condirettore di Quattroruote, «in linea generale i cicli di omologazione non hanno riscontro nella realtà, andrebbero aggiornati perché presuppongono condizioni di guida lontane dalla vita di tutti i giorni». Il punto, spiega, è che «nel passaggio da Euro 0 a Euro 6, i parametri sono stati abbassati tantissimo. Con soglie tanto basse basta poco per far sballare i risultati». Per questo, «più che concentrarmi sul superamento di soglie tanto basse, mi preoccuperei di fare un sistema di omologazione nuovo. Quello di oggi non funziona».