Finora è solo il tempo della preoccupazione. Le società italiane della filiera dell’automotive stanno vivendo con il fiato sospeso lo scandalo delle violazioni delle emissioni da parte di Volkswagen. Mentre il titolo è crollato, è ancora presto per capire quale sarà la reale reazione da parte del grande pubblico: se di indifferenza o di punizione verso un marchio colpevole, ancor più di aver inquinato, di aver tradito la fiducia dei consumatori truccando i dati. La società Brand Finance ha dato una prima indicazione al riguardo, stimando che il valore del marchio Volkswagen sia destinato a scendere di 10 miliardi di dollari, rispetto ai 31 miliardi che valeva prima dello scandalo e che ne facevano il terzo brand pìù forte al mondo nel settore dell’automotive.
Se la preoccupazione si sente è perché i nostri produttori di componenti per auto sono legati a doppio filo alla Germania, come d’altra parte avviene per tutta la meccanica italiana. Oggi l’export dei componentisti italiani verso la Germania vale poco meno di 4 miliardi di euro, il 20% delle esportazioni totali (il fatturato del comparto è invece di 40 miliardi di euro). Di questi, sono circa 1,5 i miliardi di euro di esportazioni destinati al gruppo Volkswagen (fonte Anfia). I conti non sono però così semplici. Basti pensare che gruppo con sede a Wolfsburg ha tra i suoi marchi Audi, Seat, Skoda, Porsche, Bugatti, Lamborghini, oltre alla Ducati, nel settore moto. Una parte dell’export verso il gruppo potrebbe essere quindi destinato a Paesi quali la Polonia (più di un miliardo di export, sebbene in buona parte destinato alle produzioni Fca), la Spagna, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. «Non è così facile trovare il contenuto delle aziende italiane nella componentistica di Volkswagen. Ci sono associati che forniscono dei subcomponenti per aziende che a loro volta forniscono il gruppo Volkswagen», spiega Aurelio Nervo, presidente del gruppo Componenti dell’associazione di categoria Anfia. Ci sono poi delle realtà italiane che sono ex fornitori assorbiti nel gruppo Volkswagen. Il più noto è quello di Italdesign, nota società di progettazione fondata da Giorgetto Giugiaro. Altri marchi, come la Lamborghini, hanno costruito la loro riscossa grazie al rapporto con i tedeschi e di recente, che di recente hanno deciso di produrre a Sant’Agata Bolognese (Bo) il nuovo modello Suv Urus.
Per chi fa i componenti si rischia una nuova gelata, che arriverebbe nel primo anno di crescita del mercato dopo sei anni di discesa, chiusure e licenziamenti. Nella selezione che è seguita alla crisi dei consumi arrivata dal 2008 e allo spostamento di baricentro verso gli Usa della Fiat, nel frattempo divenuta Fca, una delle costanti è stato il progressivo smarcamento dal Lingotto. La dipendenza da Fca nel 2014 è scesa al 29% (rispetto al fatturato totale dei componentisti) in Italia e al 32% in Piemonte.
Oggi l’atteggiamento dei produttori è di stare alla finestra e la loro preoccupazione è che le cose si chiariscano in fretta. «C’è un discorso comune, tra costruttori e governo, per capire il più in fretta possibile l’impatto che si potrebbe avere sul comparto e rassicurare le persone», continua Nervo. «La preoccupazione è che si generi una sfiducia generalizzata rispetto al settore da parte dell’opinione pubblica. Questo è un mondo che da anni fa sforzi per ridurre i consumi e le emissioni. È difficile immaginare da fuori la fatica che richiede ridurre di 100 grammi il peso di un componente, allo scopo di far diminuire i consumi. Il rischio è che di fronte a uno scandalo questi sforzi vengano annullati, che si svaluti quel che è stato fatto».
Tra i componentisti c’è chi prova a sdrammatizzare la situazione. Giacomo Cacciabue è global key account manager di Kostal Italia, una società tedesca che ha rapporti di fornitura molto stretti con il gruppo di Wolfsburg. «Se anche l’immagine della Volkswagen fosse danneggiata a livello di consumatori, oltre che dei mercati, per la legge dei grandi numeri l’impatto che questa vicenda può avere sulla componentistica italiana sarebbe quasi zero», spiega. «Nel complesso, chi compra Volkswagen, sceglierà comunque auto tedesche, come le Bmw, o anche le Audi che, pur essendo del gruppo Volkwagen, sono percepite diversamente dai consumatori».
Il vero punto, per capire come andranno le cose nei prossimi mesi, è capire se lo scandalo si estenderà ad altre case o rimarrà confinato al gruppo Vw. È bastato un accenno (subito rettificato) da parte del tabloid tedesco Bild a un possibile coinvolgimento della Bmw nello scandalo per far crollare il titolo in Borsa della casa bavarese, e con lei delle altre società di automotive. «Sinceramente non credo che la pratica scorretta della Volkswagen sia una cosa diffusa. Non vedrei le case automobilistiche stare così attente a ridurre i consumi, se pensassero che bastasse uno stratagemma così semplice per aggirare i limiti», è il commento inevitabilmente rassicurante di Nervo. Le procure di mezza Europa sono in azione per capire se sia effettivamente così.