Piccolo esercizio di fantasia applicato al calcio. Chiudete gli occhi e immaginate Jurgen Klopp ad Anfield, da allenatore del Liverpool. Provate a visualizzarlo mentre corre con uno scatto bruciante sotto la Kop, per una vittoria, magari dribblando Mourinho come già fatto con Guardiola in Coppa di Germania. Immaginatelo mentre in conferenza stampa ride sguaiato a una domanda. O mentre, da perfetto autore di gesta da photobombing, si infila in un’intervista a un proprio giocatore facendo una smorfia per poi scappare via. E poi leccatevi i baffi, da bravi gourmet del calcio quali siete, pensando a un Liverpool veloce, aggressivo sul portatore di palla, bello, armonioso.
Ora aprite gli occhi. C’è Jurgen Klopp che sta firmando il contratto che lo legherà al Liverpool come nuovo manager. No, l’esercizio di fantasia applicato al calcio non via ha condizionato. Klopp è davvero il nuovo manager dei Reds. La firma del tecnico tedesco, che ha riportato il Borussia Dortmund a vincere il Meisterschale e a giocarsi una finale di Champions League, è una di quelle notizie che molti tifosi attendevano. Magari non quelli dell’Everton o del Manchester United, che con i Reds non si amano alla follia. Ma buona parte dell’Europa sì. Ha immaginato tutto quello di cui sopra, inondando i social con i meme e i vine delle gesta di Klopp non solo a livello tecnico.
Si potrebbe dire, banalizzando lo ammettiamo, che il tecnico è un Mourinho simpatico (e lo scrive un simpatizzante nerazzurro, occhio). Oppure, che Klopp è un Mourinho al naturale. Meno calcolatore, più genuino. Il Liverpool ha già trasformato il suo “I am a Normal One” in un hasthag. Il Welt lo ha definito nel 2013 Menschenfänger, nel senso di persona capace di catturare gli altri. Il termine non è stato usato in maniera casuale: nel medioevo, il Menschenfänger era un’arma non letale usata per catturare i volatili e pare che i prussiani la usassero ancora nel 18° secolo per andare a pescare i disertori in fuga.
Prendere Klopp significa quindi prendere un personaggio che cattura tutti. E il Liverpool, reduce dal fallimento di Rodgers da alcune scelte sbagliate sul mercato (vedi Balotelli, ma non solo) e dall’addio di un simbolo come capitan Gerrard, ha bisogno di un vero e proprio catalizzatore. Che operi su tre piani: gioco e motivazioni, pubblico e sponsor. Sì, anche il brand conta, ormai il calcio è anche questo.
Per dire, in Germania il suo nome è bastato per far aumentare le vendite alla Opel, che nel 2012 lo ha preso come testimonial. La firma arrivò a luglio e già il mese successivo la casa automobilistica registrò un +8% sulla produzione di auto nuove. Forse fu solo un caso, forse no: il mese dopo, con il debutto del Borussia Dortmund in Champions, il dato è salito al 10%, in un contesto di mercato di crisi agghiacciante: a maggio dello stesso anno le immatricolazioni in Europa erano scese dell’8,4%, la Peugeot aveva tagliato 8mila posti di lavoro la stessa Opel aveva dovuto incassare le dimissioni dell’amministratore delegato Karl Friedrich Stracke a un anno dal proprio insediamento. L’effetto Klopp si è avuto soprattutto nel comparto Suv: a marzo 2014 la Mokka ha registrato 200mila ordini, contro la metà dell’anno precedente. Sul piano del brand, per parlarci chiaro, Klopp può funzionare.
Anche perché un brand gira se c’è un pubblico, ovvio. E quello del Liverpool è come quello del Borussia: focoso, fiero, appassionato. In questo senso, tra il muro giallo del Westfalenstadion e la Kop di Anfield c’è poca differenza, con tifosi che arrivano da tutta Europa per assistere allo spettacolo dei tifosi. E che ora verranno in Inghilterra per assistere allo spettacolo di Klopp. Uno che in panchina è praticamente un tarantolato. E che non nasconde nulla di ciò che sente o pensa. Nei 12 motivi per cui il tedesco è adatto ad allenare il Liverpool, il Mirror ricorda alcuni episodi chiave. Ad esempio, la cura che ci mette nel rapporto con i tifosi: gli inglesi ricordano che ogni anno, sotto Natale, Klopp aveva istituito la tradizione di portare i giocatori del Borussia al pub, per farli incontrare con i fan e bersi una birra tutti assieme. Oppure, il fatto che non nasconde mai il proprio attaccamento per il club: più volte in Germania le telecamere lo hanno immortalato mentre faceva il segno del cuore sul simbolo del Borussia appuntato sulla giacca, o verso la curva giallonera del Westfalen. Un altro muro, quello rosso di Anfield, già sa come andrà quando il Liverpool segnerà: si vedrà un Klopp mimare il gesto del boxeur, o assestare un paio di schiaffoni al primo che si avvicina per festeggiare, così, per dimostrare l’affetto in maniera rude. Perché lui è uno che fa ridere pure quando si incazza, vedi il ringhio al quarto uomo al San Paolo, in una notte di Champions contro il Napoli. Rude, spontaneo: la scritta Pohler, che si può tradurre come “giocatore di strada”, è comparsa per molto tempo sul suo cappellino.
Spontaneo sì, ma metodico e capillare nell’impostazione. Quando è arrivato sulla panchina del Borussia, Klopp aveva portato il Mainz fino alla qualificazione in Coppa Uefa, ed era abituato a lavorare con budget non certo faraonici. Che tradotto, significa andare a pescare calciatori in campionati di medio-masso livello e, nel frattempo, coltivarne qualcuno in casa. Ecco perché il Borussia punta su di lui. Quando arriva, il club è reduce da una spaventosi crisi economica che ha costretto il management ad abbassarsi fino a vendere lo stadio e chiedere un prestito ai nemici del Bayern Monaco (anche se il vero derby è quello contro lo Schalke 04). La società non era stata in grado di gestire i fasti seguiti al miracolo della Champions League vinta nel 1997 proprio a Monaco, nel vecchio Olympiastadion, spendendo più di quanto incassasse. Così tutto il calcio tedesco si era mobilitato e anche Uli Hoeness, dirigente dei bavaresi, si era comprato un pacchetto di azioni giallonere. Poi un finanziamento di Morgan Stanley e il cambio di management hanno riassestato il club, che ha potuto contare anche su Klopp per tornare in alto.
Il tecnico si è messo all’opera, sfruttando la precedente esperienza e facendola incontrare con la voglia del club di andare al risparmio. Così ad esempio è nato il mito di Robert Lewandowski, pagato 4 milioni di euro dal campionato polacco e autore di 4 gol al Real Madrid in semifinale di Champions. E poi ci sono i campioni scoperti e costruiti in casa. Alcuni nomi? Subotic, Hummels, Piszczek, Gundogan e Gotze, rivenduto al Bayern per 37 milioni di euro e autore del gol che ha deciso il Mondiale in Brasile. Tutti giovani. Il motivo non è solo economico: «Calcio vivo significa veloce, capace di arrivare in porta in pochissimo tempo, senza tenere troppo il pallone. Abile a dominare l’azione col senso tattico. Corsa, qualità, precisione», è il mantra di Klopp.
Per allenarli a Dortmund c’era la “scatola magica”. Tecnicamente si chiama Footbonaut: è una stanza di 14 metri per 14 delimitata da pareti con 8 buche spara-palloni a 120 chilometri orari. Entro un tempo limitato, il giocatore al centro della stanza deve controllare il pallone e infilarlo in un pannello che si apre all’improvviso in una delle pareti. «Migliora velocità, tecnica e reazione», raccontò Klopp spiegando di cosa si trattasse. Doti fondamentali, per applicare quello che in gergo tecnico si chiama il Gegenpressing, letteralmente il contro pressing: in parole povere, significa aggredire i portatori di palla avversari nella zona più alta possibile del campo, per poi ripartire in velocità e creare un’occasione da gol il più velocemente possibile. Un metodo di gioco che Klopp ha basato sul 4-2-3-1 e con linee strette tra loro, in modo da creare pacchetti di giocatori in gradi di difendere ed attaccare in maniera coesa e di ripartire nello stretto grazie a giocatori tecnicamente dotati (vedi Reus e Goetze).
Per applicare il Gegenpressing ci vogliono gambe e polmoni. Gente giovane. Una politica che il Liverpool ha già applicato negli ultimi mercati, seguendo la linea verde e acquisti secondo una rigida soglia di età media di 24 anni da non superare. Il problema è che Rodgers, nella sua esperienza ad Anfield come ricorda Il Napolista è dovuto sottostare ai dettami di un Transfer Committee nel quale lo stesso tecnico non aveva grossi poteri: lo dimostrano alcuni giocatori non acquistati anche se voluti fortemente da lui. Inserire Klopp in un ambito del genere potrebbe essere pericoloso, ma l’idea di base del suo gioco incontra la media d’età imposta dal club, che però al contempo accoglierà due fidati uomini dello staff di Klopp. «Io credo in una filosofia di gioco molto emotiva, molto veloce e molto forte. Le mie squadre devono giocare con grande intensità e sempre al limite in ogni singola partita», ha chiarito nella sua prima conferenza stampa.« Il Liverpool ha tifosi straordinari e Anfield è uno stadio di fama mondiale, con un’atmosfera incredibile. Voglio creare un eccellente rapporto con questi tifosi e dare loro ricordi indimenticabili». Non fatichiamo a crederti, Kloppo.