Eni Award 2015, la ricerca che vince è giovane, donna e italiana

I temi con cui le due giovani accademiche hanno vinto sono stati l'inquinamento ambientale e l'energia rinnovabile

Donne, giovani e studentesse di università milanesi: è questo l’identikit delle due vincitrici della categoria “Debutto nella ricerca” dell’Eni Award 2015, il premio istituito nel 2007 dalla multinazionale dell’energia per sviluppare idee innovative sull’utilizzo delle fonti energetiche e sulla ricerca sull’ambiente.

Daniela Meroni e Margherita Maiuri si sono aggiudicate il premio con due tesi di dottorato che trovano applicazioni nell’ambito della ricerca sull’inquinamento ambientale e dell’energia rinnovabile, sfruttando le tecniche di degradazione foto catalitica la prima e di spettroscopia ultraveloce la seconda.

«Attraverso l’utilizzo di fotocatalizzatori TiO2 che usano la luce solare si può realizzare un processo di degradazione della molecola inquinante».


Daniela Meroni

Daniela Meroni, classe 1985 e laureata in Scienze Chimiche all’Università degli Studi di Milano, si è focalizzata su quei processi di risanamento ambientale che sfruttano le proprietà del biossido di titanio (TiO2), una polvere di colore bianco, per eliminare gli inquinanti contenuti nell’aria e nell’acqua. Il TiO2 è un catalizzatore in grado di degradare, attraverso la luce solare, diversi composti organici, tra cui le molecole tossiche che sono contenute non solo outdoor ma anche nelle nostre case, nell’aria e nell’acqua: «Attraverso l’utilizzo di fotocatalizzatori TiO2 – spiega Daniela Meroni – si può realizzare un processo di degradazione della molecola inquinante. Questa non può essere distrutta, ma solo trasformata in acqua e anidride carbonica. È un processo interessante perché va a colmare le mancanze lasciate sia dai processi naturali di degradazione sia dalle tecniche di depurazione più tradizionali», tanto che il biossido di titanio potrebbe essere utilizzato anche nei materiali di costruzioni per case e luoghi di lavoro.

Nelle vetrate, per esempio: «Uno dei componenti architettonici che può sfruttare al meglio la fotocatalisi – prosegue Daniela Meroni – è il vetro delle finestre: essendo più esposto alla luce solare, l’utilizzo del vetro permette di non interferire con le sue proprietà ma, anzi, di sfruttare al meglio l’attivazione della luce solare».

«I batteri rossi foto sintetici delle foglie ci hanno permesso di capire come funzionano i trasferimenti di energia in un materiale organico e di replicare il modello in altri materiali semi artificiali e bio inspired».


Margherita Maiuri

Margherita Maiuri, classe 1987, si è invece dedicata allo studio di processi fotoindotti per la raccolta e il trasporto della radiazione solare in complessi fotosintetici di raccolta della luce. Un tema molto approfondito nel dipartimento dove ha studiato, quello di Ingegneria Fisica del Politecnico di Milano: «Nei nostri laboratori – spiega – lavoriamo con sorgenti laser molto rapide, in grado di fotografare, in frazioni di nanosecondo, le molecole in movimento». Questo le ha permesso di simulare l’effetto della luce in un materiale e di monitorare in tempo reale come si comportano le molecole che lo compongono fin dal primo impulso, cioè dal primo contatto con il fascio luminoso e il modo in cui impiega l’energia ricevuta. «Per farlo – prosegue Maiuri – ci siamo serviti di elementi attivi nelle foglie, i batteri rossi foto sintetici, che ci hanno permesso di capire come funzionano i trasferimenti di energia in un materiale organico e di replicare il modello in altri materiali semi artificiali e bio inspired». Come le celle fotovoltaiche organiche che, ispirandosi al processo di fotosintesi clorofilliana, utilizzano una miscela di materiali in cui un pigmento assorbe la radiazione solare e gli altri componenti estraggono la carica per produrre elettricità.

«Se oggi sono in America è grazie all’esperienza che ho acquisito durante il mio percorso di studi al Politecnico di Milano».


Margherita Maiuri

Entrambe queste ricerche sono state effettuate da equipe di università milanesi, segno che si può ancora sperare di potere lavorare, e bene, nelle università italiane. Parola di chi, come Margherita Maiuri, oggi lavora presso il Dipartimento di Chimica della Princeton University: «Se oggi sono in America è grazie all’esperienza che ho acquisito durante il mio percorso di studi al Politecnico di Milano. Mi sto specializzando in spettroscopia, disciplina molto ben approfondita in America, ma non so cosa mi riserverà il futuro. Di una cosa sono molto contenta, avere vinto una fellowship di tre anni che mi permetterà di tornare al Politecnico di Milano per un anno intero: il mio sogno è quello di tornare nel mio Paese a fare ricerca».

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