Tecnologia e disabilitàFable, la protesi mioelettrica sta arrivando in Italia

L’Open Biomedical Initiative, in Italia, sta realizzando una protesi elettromeccanica low cost, stampabile in 3D e open source. La storia di Fabia, studentessa della Scuola Holden, che scrive (e scriverà) racconti per bambini grazie alla tecnologia

Fabia ride quando le si chiede se ha già un’idea di come vorrebbe la sua protesi mioelettrica. «Mi prendi un po’ alla sprovvista» risponde. «Di sicuro non sarà come le “classiche” protesi meccaniche con il guanto in lattice color pelle, ma sarà personalizzata. Un oggetto che in qualche misura mi valorizzi e che non sia solo una copia della mia mano, perché è difficile ricrearla in modo esteticamente bello» racconta Fabia Timaco a Linkiesta. In fin dei conti di recente a Londra al Weareable Technology Show, una ragazza inglese ha indossato una protesi di mano stampata in 3D ricoperta di Swarovski, mentre un attrice e modella statunitense ne ha mostrato un’altra, chiamata “Bebionic”, disegnata per sole donne, con una forma più piccola e più esile.

Anche Fable, la protesi elettromeccanica che Open Biomedical Initiative (OBM) – un’iniziativa no profit globale per la realizzazione e la distribuzione di Tecnologie Biomedicali a basso costo, open source e stampabili in 3D, nata circa un anno fa – sta realizzando su misura per Fabia, in qualche modo sarà personalizzata. «Dovrà essere leggera» continua. Perché Fabia fa la Scuola Holden a Torino, e scrive racconti per bambini, e «un domani – spiega – quando avrò “educato” la mano a compiere movimenti molto fini, vorrei che mi aiutasse a compiere azioni che ora sono complicate per me, come girare le chiavi, prendere un bicchiere e scrivere. È un’educazione che viene fatta più avanti, gradualmente, quando la mano ce l’hai già. È come iniziare da zero». La prima volta che vedo Fabia è a una conferenza organizzata da Sanofi in cui è presente anche Roberto Cingolani, Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, dove si parla di uno scenario futuro in cui il supporto della tecnologia alla salute sarà sempre più indispensabile. E Fabia ne è la dimostrazione presente.

Racconta di aver conosciuto Open BioMedical tramite un compagno della sua scuola e che tutto è iniziato con una mail inviata a Bruno Lenzi, fondatore di Open BioMedical, per chiedere informazioni. Dopo qualche settimana la risposta: in cantiere tra i tre diversi progetti di Open BioMedical c’è anche una protesi mioelettrica e Fabia è la persona giusta. Così si unisce al gruppo e ha inizio il suo viaggio, come lo chiama lei.

Fable è una protesi elettromeccanica, o mioelettrica, che sarà stampata in 3D e basso costo e sarà open source, come tutti i progetti di OBM Initiative. Significa quindi che una volta terminato il progetto, tutte le carte, gli studi e i risultati portati avanti dal team saranno disponibili per altre persone che come Fabia hanno bisogno di una protesi. «Il che non significa che chiunque potrà stampare una protesi a casa – spiega a Linkiesta Bruno Lenzi – perché non vogliamo incoraggiare una biomedica fai da te, ma solo dare la possibilità, anche a chilometri di distanza, di riprodurre il progetto ad altre strutture con abbiano le competenze e la capacità di farlo. L’obiettivo di Open BioMedical è offrire un supporto alla Biomedica tradizionale per poter raggiungere insieme, quante più persone possibili».

È una protesi adatta per chi ha un particolare tipo di focomelia, congenita, o per chi ha subito un’amputazione. La sua particolarità è nella compattezza e nell’innovazione del software che permette di trasdurre il segnale elettrico. Si tratta di un complicato sistema di elettronica che permette di trasformare in movimento della protesi e delle dita, il segnale mioelettrico generato dai muscoli prossimi al gomito

Il tutto “impacchettato” in maniera compatta, a basso costo, e completamente reingegnerizzata per offrire una protesi ovunque riproducibile e tecnologicamente avanzata. La team leader del progetto è Stefania Valentini, che si unita alla community nell’aprile del 2014. All’inizio il team era formato da quattro persone (uno studente di biotecnologie, un ingegnere elettronico-biomedicale, un biologo e uno studente di scienze infermieristiche), oggi ne conta dieci, ognuno col proprio ruolo. All’interno ci sono tre sottogruppi: meccanica, elettronica e programmazione, che collaborano tra di loro, nonostante si trovino tutti in città diverse anche fuori dall’Italia, attraverso videoconferenze.

Anche Fable, come un semplice vestito, deve essere realizzato su misura per chi lo indossa, sia per quanto riguarda la parte meccanica, che deve avere le dimensioni giuste, sia per la parte elettronica che comanderà i motori per il movimento della mano, che deve essere calibrata al corpo. «Era un mercoledì, e Irio, un progettista sviluppatore software ha acquisito il mio segnale» racconta ancora Fabia sul suo diario online su Che Futuro!. I muscoli quando si contraggono generano un impulso elettrico. Un segnale, catturato con degli elettrodi posizionati sul bicipite di Fabia, «che viene poi “tradotto” in numeri dall’ADC (analog-to-digital converter)» spiega Irio a Fabia.

«Una volta ottenuta una serie di numeri che rappresenta l’andamento del segnale bisogna filtrarlo per eliminare il rumore, e poi analizzarlo. Ci sono vari algoritmi matematici che permettono di estrarre informazioni utili e interpretarne l’andamento come “intenzione” di muovere l’arto. Il circuito è composto da due parti: una parte di amplificazione e filtraggio che ha progettato Cristian Currò, da questa poi il segnale va all’ingresso ADC di Arduino, dove il software che abbiamo scritto Stefania, Orlando ed io gestisce un ulteriore filtraggio».

L’arto in definitiva è mosso dai servomotori, attivati a loro volta dallo stimolo prodotto dal segnale che si genera quando inviamo l’intenzione di muovere il muscolo. Il segnale generato dai muscoli – attraverso il software – deve quindi essere in grado di attivare i servomotori della protesi e permettere a Fable di poter afferrare un oggetto e tenerlo. «I servomotori sono importanti perché permetteranno di aprire e chiudere la mano attraverso la contrazione del muscolo. Il segnale acquisito attraverso Arduino viene elaborato dal software che rileverà ogni sua variazione, permettendo di aprire o chiudere Fable» racconta a Fabia Orlando Rossi, elettronico del team.

Oggi le protesi elettroniche sono già disponibili, ma hanno servomotori ed elettronica più ingombranti e sono anche molto costose. In generale i prodotti biomedicali tradizionale sono complessi e avanzati, costosi, e poco accessibili, sia per motivi economici sia geografici, nonostante la grande richiesta.

L’Open BioMedical Initiative è composta da una community di volontari e specialisti provenienti da ogni parte del mondo, che collaborano online per sviluppare dispositivi e applicazioni biomedicali a basso costo che possano essere riprodotti ovunque. L’idea quindi è quella di aiutare le persone aumentando l’accessibilità delle tecnologie biomedicali nei paesi industrializzati e in via di sviluppo, fornendo dispositivi validi e certificati. «Fornire una biomedica non sostitutiva di quella tradizionale esistente ma integrativa» spiega ancora Lenzi. Attualmente i progetti portati avanti sono tre: una protesi meccanica, una mioelettrica (Fable) e un’incubatrice neonatale per il terzo mondo

Per vedere la versione definitiva di Fable dovremmo aspettare ancora un po’. Per ora la protesi non è ancora pronta, e in questi mesi Fabia ha provato il segnale per compiere tutti i movimenti della mano e l’invasatura della protesi, per fare in modo di indossarla anche da sola. Al Maker Faire che si sta svolgendo in questi giorni a Roma, però ci sarà un prototipo che mostrerà come sarà la protesi finita. Il viaggio di Fabia insomma, continua, anche tra le pagine del suo diario online che ha voluto iniziare a scrivere per raccontare la sua storia e soprattutto condividerla. «Perché la condivisone è la base di tutto – conclude – e perché volevo mostrare che realtà come questa sono possibili anche in Italia. Volevo raccontare Fable non solo dal punto di vista elettronico e meccanico ma anche emotivo. Un dietro le quinte insomma che raccontasse le emozioni di questa esperienza».

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