Beinasco, cintura sud di Torino a un tiro di schioppo da Mirafiori, ha una zona industriale che sarebbe più onesto definire post-industriale. Ci sono alcune vecchie fabbriche riconvertite in uffici e altre in centri commerciali dai nomi nostalgici. Ma in una terra che fa dell’understatement il suo tratto principale, se ne trova, quasi mimetizzata, una che ha avuto un destino diverso, emblematico delle risorse inaspettate che l’industria italiana dimostra di possedere. La Cpm, il cui nome richiama ancora la vecchia specializzazione nella carpenteria metallica, non è solo l’unica sopravvissuta di una serie industrie che a partire dal Dopoguerra hanno fornito alla Fiat parti delle sue fabbriche. È il luogo in cui da qualche anno si progettano le catene di montaggio degli impianti automobilistici più avanzati del mondo. E quello in cui si stanno creando le nuove smart factory: le fabbriche in cui, grazie al dialogo continuo tra i macchinari e un cervellone centrale, si possono riprogrammare in pochi istanti gli stessi macchinari per una produzione personalizzata, ottenere informazioni sulla qualità delle lavorazioni e sui pezzi da sostituire. Una volta analizzate, le informazioni che servono vengono girate alle diverse funzioni aziendali (produzione, logistica, acquisti, marketing) e ai fornitori. Con un termine mutuato dal contesto tedesco, è l’essenza dell’Industria 4.0.
La Cpm non è più un’industria manifatturiera: è il luogo in cui da qualche anno si progettano le catene di montaggio degli impianti automobilistici più avanzati del mondo. E quello in cui si stanno creando le nuove smart factory
Per capire come un’azienda di carpenteria meccanica della galassia dell’indotto Fiat sia potuta diventare un riferimento a livello mondiale, bisogna partire dal colpo d’occhio iniziale. Appena entrati si vede un salone bianco, diviso in due da una vetrata. Al di qua del vetro, un sistema di trasporto a soffitto, con appesa una Fiat 500, ricorda il passato manifatturiero della società, testimoniato da alcune foto d’epoca.
Al di là della vetrata si vede il cuore pulsante dell’azienda odierna: i computer degli ingegneri meccanici e informatici, un centinaio in tutto, che maneggiano progetti dal valore inestimabile. Ogni volta che qualcuno accede a un file si deve qualificare, e ogni operazione, dall’invio di mail alla copia su un cd, viene registrata. Perché i clienti non sono da poco. Quando la Lockheed Martin affidò alla Cpm la costruzione di un impianto in Texas, dove si sarebbero realizzati i caccia F-35, richiese come fideiussione del valore di tutto l’impianto della società torinese.
Tra le mani del centinaio di ingegneri – tutti italiani – arrivano i progetti delle future auto, con almeno un anno di anticipo dall’inizio della loro costruzione. L’ultimo caso è stata la nuova Alfa Romeo che sarà fabbricata nello stabilimento di Cassino. «Abbiamo lavorato assieme per un anno. Alla Fiat come noto si lavora con il sistema del World Class Manufacturing e ogni minimo dettaglio è studiato secondo i principi dell’ergonomia».
A parlare è Massimo Bellezza, amministratore delegato della società, che il padre Gianfranco aveva fondato nel 1962. Prima di Cassino era stata la volta di Melfi, lo stabilimento in cui si producono le Fiat 500X e le Jeep Renegade, le prime auto del marchio iconico americano prodotte fuori dagli Usa. Ma l’elenco è molto lungo: ci sono stati gli stabilimenti Fiat di Pernambuco, in Brasile, progettati dalla Cpm assieme a Fiat su quello che era un campo di canna da zucchero, e quelli Fiat a Pomigliano, in Serbia e in Polonia. Tra gli altri nomi più recenti ci sono gli impianti Chrysler di Toledo, Ohio, quelli della Gac, joint venture tra Fca e lo Stato di Changsha, in Cina.
E andando indietro nel tempo quelli di Ferrari, Lamborghini , Bentley, Volkswagen, Audi, Gm, Land Rover e vari altri. Il prossimo impianto a cui si candida, in Italia, è quello del futuro Suv della Lamborghini, l’Urus, che sarà realizzato a Sant’Agata Bolognese. Poi c’è la grande frontiera delle auto americane di prossima generazione. In un magazzino della società si vedono alcuni dei componenti: una sorta di gancio, che sposta e ruota l’auto, e dei “pallet”, sopra i quali si monta l’auto. A differenza delle vecchie catene di montaggio, che potevano produrre un solo tipo di auto, oggi sui binari girano vari tipi di pallet, ognuno dei quali supporta un tipo di auto. A Melfi, per esempio, si alternano Fiat 500X e Jeep Renegade. Con 1.800 operai si producono 1.200 auto. Nella Mirafiori degli anni Settanta, servivano 30mila operai per poco più di 3mila auto al giorno.
L’ultimo impianto realizzato è quello Alfa Romeo di Cassino. Il prossimo nel mirino è quello del futuro Suv della Lamborghini, l’Urus, che sarà realizzato a Sant’Agata Bolognese. Poi c’è la frontiera delle nuove case automobilistiche americane
Se una volta la società era solo una di un indotto vivace, ora è rimasta sola. I concorrenti o non si sono evoluti tecnologicamente, o, spiega Bellezza, hanno avuto un approccio troppo “sartoriale”, in un mondo in cui è necessario assicurare la flessibilità partendo da alcuni standard e combinandoli secondo le esigenze. «Abbiamo seguito l’evoluzione del mercato – racconta a Linkiesta -. Negli anni Sessanta facevamo strutture in acciaio. Poi è arrivato il momento dei sistemi per il sollevamento delle auto, quello dei sistemi di trasporto e successivamente dell’assemblaggio automatizzato. Con l’industria 4.0, che sta nascendo ora, si va oltre i sistemi di assemblaggio automatizzati. È l’analisi di dati che diventa fondamentale». Nella smart factory, aggiunge, ci sono informazioni continuative su tutte le operazioni che vengono effettuate. «C‘è una raccolta di dati immensa. Gestirle nel miglior modo possibile è la chiave per la fabbrica del futuro. Il nostro obiettivo è quello di rendere le cose semplici dal punto di vista della fruizione. Ogni operaio potrà avere un iPad o con pc con cui interagire in modo intuitivo. Ma, come nel caso degli smartphone che tutti usiamo, dietro la semplicità di utilizzo c’è un enorme lavoro».
«Con l’industria 4.0, che sta nascendo ora, si va oltre i sistemi di assemblaggio automatizzati. È l’analisi di dati che diventa fondamentale»
I nuovi progetti sono in buona parte ancora a livello di concept. Uno dei punti chiave è che si interverrà a livello di software su una parte intermedia tra i sensori che sono applicati sui macchinari e l’analisi di tutti i dati che si fa a livello centrale. Un cuscinetto che servirà, tra le altre cose, a permettere la teleassistenza sui macchinari senza invasioni di campo nei dati sensibili dei produttori di auto. Un’altra parte dei progetti per la smart factory continuerà a essere legata a componenti hardware. «Non ci interessa fare solo progettazione – spiega Bellezza -. Vogliamo spalmare i costi sul prodotto che si vende, altrimenti, se facessimo solo progettazione, dovremmo farci pagare 500 euro all’ora per rientrare nei costi». Oggi la produzione “hardware” non è infatti scomparsa dall’orizzonte: si è spostata su una serie di fornitori, che per il 70% sono in Piemonte, e sono gli stessi da anni. «Siamo flessibili nella produzione e non abbiamo vincoli. Però non credo nel turnover dei fornitori. Abbiamo preferito crescere parecchio quelli che ci seguono. Finché le cose vanno bene, avere fornitori italiani sarà un motivo di orgoglio».
«Non credo nel turnover dei fornitori. Abbiamo preferito crescere parecchio quelli che ci seguono. Finché le cose vanno bene, avere fornitori italiani sarà un motivo di orgoglio»
Un discorso simile si ritrova quando si parla dei dipendenti. Se in realtà ex industriali che sono passate alla progettazione – come la Dallara o Ansaldo Sts – si sono creati dei team internazionali, alla Cpm sono ancora tutti italiani. «Il 70% dei dipendenti è da noi da più di 5 anni – spiega Bellezza -. Li facciamo crescere con dei corsi e con un programma di crescita che prevede anche stage all’estero. Tutti i principali dirigenti hanno iniziato da noi partendo dal basso». Se questo aspetto porta serenità all’azienda, pone dei problemi quando si tratta di tenere i ritmi del cambiamento. «Per il futuro vedo moltissime opportunità. Ma il problema principale è quello di trovare le competenze adeguate», dice l’ad di Cpm. A dare respiro ci sono gli stage degli studenti del Politecnico di Torino. E un rapporto di comunione con un’azienda di Milano, parte del gruppo tedesco Dürr – leader a livello mondiale nella verniciatura delle auto – come lo è d’altra parte la stessa Cpm. Dal 1997 esiste infatti una partnership sostanzialmente paritaria tra la società tedesca e quella torinese.
Quando la Lockheed Martin affidò alla Cpm la costruzione di un impianto in Texas, dove si sarebbero realizzati i caccia F-35, richiese come fideiussione del valore di tutto l’impianto della società torinese
I rapporti, dentro il gruppo, sono di una sostanziale autonomia. «I tedeschi dicono che gli italiani sono i signori del 95% – dice Bellezza – . Arriviamo in fretta a fare quasi tutto quello che serve. Magari loro impiegano lo stesso tempo per raggiungere il 5% finale, ma ce la fanno». Quando si tratta di progetti in giro per il mondo e dove i dettagli sono tutto, quel 5% può fare la differenza tra essere all’avanguardia nel mondo o essere destinati a diventare il contenitore del prossimo centro commerciale.