Come primo una zuppa di riso e zucca, per secondo polpettine di ceci con contorno di carote julienne e per finire la frutta. Non è la carta di un ristorante vegetariano stellato, e nemmeno del menu di un locale fusion, ma il pranzo che mercoledì 28 ottobre 75mila bambini delle scuole di Milano hanno potuto consumare nelle loro mense scolastiche, tra scuole dell’infanzia, primarie e secondarie inferiori. L’occasione è stata servita dal Menu universale, il progetto alimentare pensato dal Comune di Milano e da Milano Ristorazione in collaborazione con l’Università di Milano-Bicocca, nei dipartimenti di Scienze umane per l’Educazione e di Sociologia e Ricerca sociale: non una scelta casuale, insomma, ma un pranzo studiato per comprendere tutte le diversità e le pluralità che convivono nelle scuole milanesi. Un excursus tra culture, credenze, stili di vita e fedi per permettere ai più giovani di conoscersi e di parlare un’unica lingua, non solo tra i banchi di scuola ma anche a tavola.
Il rapporto “(Non) tutti a mensa” tocca alcuni punti nodali, quali la presenza o meno del servizio nelle scuole primarie, le politiche di accesso alle mense scolastiche, la qualità del servizio fornito
Il progetto milanese ha debuttato nello stesso giorno in cui Save the children Italia ha pubblicato, per il terzo anno consecutivo, il rapporto “(Non) tutti a mensa. Il servizio di ristorazione scolastica per le scuole primarie in Italia”. Stilato da Illuminiamo il futuro, campagna di Save the Children Italia per contrastare la povertà educativa in Italia, il documento è il frutto di una ricerca eseguita tramite un questionario distribuito alle scuole primarie di 45 Comuni capoluogo di provincia con più di 100.000 abitanti. Andando ad aggiornare i dati sulle mense scolastiche, il rapporto tocca alcuni punti nodali, come la presenza o meno del servizio nelle scuole primarie, le politiche di accesso alle mense scolastiche, la qualità del servizio fornito e la menzione delle eventuali buone prassi già attive nelle località prese in esame.
Per fortuna le buone notizie ci sono e giungono dal fronte dell’etica alimentare e delle best practice: molti i Comuni che usano posate riutilizzabili o che usufruiscono di un sistema informatico per le prenotazioni dei pasti
Il quadro che ne esce non è dei più rosei, a partire proprio dal numero, molto esiguo, di mense e refettori. Non solo il 40% circa delle istituzioni scolastiche ne è sprovvisto, ma un’enorme forbice taglia letteralmente in due l’Italia: mentre nelle regioni del nord il servizio è assente in un terzo degli istituti, al sud quasi una scuola su due non ha la mensa. Ma non basta. Là dove il servizio è presente, si nota una grande differenza di trattamento, sia dal punto di vista dell’accesso sia da quello della qualità: quasi la metà dei comuni concede agevolazioni e riduzioni ai soli residenti, mentre molti sono i comuni che escludono dalle mense i figli di quei genitori che non possono permettersi di pagarne la retta.
Anche la qualità varia da Comune a Comune: le pietanze vengono per la maggior parte dei casi (il 90%) preparate da ditte di ristorazione esterne alle scuole, mentre per la restante parte (il 10%) il servizio è gestito un po’ dal Comune e un po’ viene appaltato. Il motivo di un quadro così frammentato è semplice: secondo l’ordinamento nazionale il servizio di refezione scolastica è affidato alla competenza delle amministrazioni comunali: ognuna sceglie per sé, senza un reale coordinamento.
Per fortuna le buone notizie ci sono e arrivano dal fronte dell’etica alimentare e delle best practice: oltre a predisporre i menù sulla base dei Larn, i Livelli di assunzione giornalieri raccomandati di nutrienti, tutti i Comuni li sottopongono anche ai controlli dalle Asl territoriali. A questo proposito ciascuna realtà ha predisposto nelle proprie convenzioni controlli esterni sulla qualità del servizio, affidati a tecnici specializzati. Molte, infine, sono le attività destinate all’educazione alimentare, dal recupero delle eccedenze ai programmi di insegnamento: insegnano a servirsi di posate riutilizzabili, e non di quelle usa e getta che usufruiscono di un sistema informatico per le prenotazioni dei pasti effettivamente da preparare, o che, ancora, effettuano con le scuole progetti di educazione alimentare e di sensibilizzazione.