Dopo la fumata nera della scorsa settimana, la notizia che si aspettava da mesi è arrivata nella tarda serata di domenica 4 ottobre, con un comunicato che sanciva ciò che tutti si aspettavano facesse: Rcs ha accettato l’offerta di Mondadori e ha ceduto la divisione libri a Segrate, che per 127 milioni e spiccioli si porta a casa Bompiani, Fabbri, BUR, Marsilio, Sonzogno e anche i fumetti di Lizard. Tutti tranne Archinto, che si era ricomprata qualche settimana fa e Adelphi, il cui 58 per cento di proprietà di Rizzoli verrà riacquisita dallo storico direttore, Roberto Calasso, come ampiamente preannunciato.
Nasce così il colosso Mondazzoli, un neologismo nato dalla fusione tra i nomi delle due tra le più grandi imprese editoriali della storia italiana, Mondadori e Rizzoli, un “mostro”, come lo chiamano in molti, che, mettendo insieme il 27 di Mondadori e l’11 di Rcs Libri, arriverà ad avere il controllo di quasi il 40 per cento del mercato editoriale italiano. Eppure l’indicativo non è ancora corretto, meglio usare ancora il condizionale visto che ora la palla passa all’Antitrust, che aprirà un fascicolo per valutare se l’operazione di acquisto da parte di Mondadori rispetta o meno i limiti imposti dalla legge alle concentrazioni.
I tempi di valutazione dell’Antitrust dovrebbero essere nell’ordine dei due o tre mesi, ma, seppur il pericolo di un monopolio sia stato invocato da moltissimi, non è affatto detto che la decisione dell’autorità garante andrà nella direzione di un impedimento dell’operazione. Secondo il giornalista di Milano Finanza Andrea Montanari, intervistato da RadioTre a poche ore dall’annuncio, probabilmente l’Antitrust imporrà a Mondadori di fare a meno di alcuni marchi, ma l’operazione non verrà compromessa.
Rcs ha accettato l’offerta di Mondadori e ha ceduto la divisione libri a Segrate, che per 127 milioni e spiccioli si porta a casa Bompiani, Fabbri, BUR, Marsilio, Sonzogno e anche i fumetti di Lizard
Tendenzialmente d’accordo con questa lettura anche Marco Gambaro, professore di economia della comunicazione all’Università degli Studi di Milano, il quale, raggiunto al telefono da Linkiesta, non si è sbilanciato e ha dichiarato che l’unica strada è attendere dall’Antitrust un’analisi approfondita dell’operazione, perché il contesto è tanto complicato e i due marchi tanto importanti del mondo editoriale italiano, che non è semplice stabilire a priori se la concentrazione sia o meno problematica per il resto del mercato e per i consumatori: «quello che potrebbe accadere», dice il professor Gambaro, «è che l’Antitrust decida di imporre a Mondadori la cessione di qualche marchio collaterale, per fare in modo di limitare la percentuale di mercato della cosiddetta “Mondazzoli” sotto il 35 per cento».
Quel che al momento sembra decisamente poco probabile, insomma, è che l’Antitrust decida di impedire l’acquisizione e impedire la concentrazione dei marchi nelle mani di Mondadori. Anche perché, in un mercato frammentato come quello editoriale italiano, caratterizzato fino ad oggi dalla presenza di 5 grandi gruppi, la concentrazione è una dinamica prevedibile e forse anche necessaria. Tornano alla memoria ora le parole, più realiste che profetiche, dell’editore Antonio Monaco, che durante un compassato incontro al Salone del Libro 2014, di fianco a una sorridente Laura Donnini di Rcs disse che nel giro di qualche anno, delle 5 major italiane ne sarebbero rimaste due, massimo tre. Aggiungendo un dettaglio che non è da poco: ovvero che le fusioni che prvedeva non sarebbero state dettate dalla volontà per scelta, ma dalla necessità.
Necessità, dunque. E infatti la prima ad averne bisogno come l’ossigeno era proprio Rcs, che ha messo sul mercato Rcs Libri un po’ come un nobile decaduto va al monte di pietà a vendere i propri gioielli di famiglia, per continuare a sopravvivere. Meno bisognosa di questa operazione sembra essere Mondadori, che sembra più che altro aver preso al balzo l’occasione e sfruttato la necessità di Rizzoli di far cassa. Ma l’esigenza di allargarsi non è affatto aliena al mondo editoriale e Mondadori non è certo il primo grande gruppo a prendere la strada dell’allargamento — la fusione tra Penguin e Random House è l’esempio più importante da questo punto di vista — una strada che sembra essere l’unica strategia in grado di tenere a galla aziende-transatlantico di queste dimensioni nelle acque sempre più scure e minacciose del mercato del libro.
Ora che cosa succederà al mercato italiano? Il nuovo “mostro” mangerà tutto il resto? Metterà a repentaglio la bibliodiversità della produzione italiana?
Oggi la domanda che tutti si pongono è una, ed è bella grossa: ora che cosa succederà al mercato italiano? Il nuovo “mostro” mangerà tutto il resto? Metterà a repentaglio la bibliodiversità della produzione italiana? È una domanda a cui in questo momento non è semplice rispondere. Ma anche ammettendo che l’Antitrust non cambi le carte in tavola e che quindi si possa parlare della fusione in atto con, al posto del condizionale, l’indicativo, l’impressione è che sia tutto sommato infondato il timore degli “apocalittici”, coloro i quali in queste ore stanno piangendo la morte dell’editoria italiana.
Lo scrisse molto bene circa nove mesi fa, nei giorni dell’annuncio della possibile acquisizione, Federico Novaro, che si inventò una metafora perfetta per spiegare come il grande sbaglio, in questa diatriba, sia la definizione di mercato. Perché, scriveva Novaro, la paura davanti a una operazione di concentrazione di take portata è che, nella gabbietta dell’editoria si ritrovino contemporaneamente un gatto gigante e un passero, con l’esito che tutti ci immaginiamo bene:
Il punto è la gabbia.
Siamo tutti, quei pochissimi noi che s’interessano alle cose di editoria, legati all’idea molto novecentesca che la piccolissima casa editrice che pubblica sei titoli l’anno raffinatissimi e in cento copie e la gigantesca casa editrice che pubblica libri-gadget in centinaia di migliaia di copie facciano, in fondo, lo stesso mestiere.
Così siamo legati all’idea che la libreria indipendente, di quartiere o di paese, con un forte legame col suo bacino d’utenza, che tesse rapporti quotidianamente con i propri clienti e che quotidianamente cura il mercato al quale si rivolge, faccia lo stesso mestiere di un mega-store nel centro città tutto orientato a intercettare i flussi del passeggio facendo il più possibile inciampare un pubblico distratto nella pletora di merce varia che raccoglie entro i suoi muri.
Forse bisogna iniziare a pensare che gatto e passero fanno due mestieri differenti e che nella stessa gabbia non ci possono stare. Il passero, per continuare questa simpatica metafora, però ha un vantaggio: se si stira si schiaccia si stringe forse dalla gabbia esce, il gatto no, può solo ingrassare sino a riempirla tutta, ma uscirne non riesce.