Non sono solo gli expat europei di stanza a Londra ad avere le idee confuse. A chiedersi cosa David Cameron voglia fare in merito al Referendum sull’uscita dall’Unione europea sono tutte le testate britanniche e tutti i ministri europei che il premier inglese va incontrando dal maggio scorso per rinegoziare le regole comunitarie.
«Nessuna proposta concreta», hanno confessato i leader di Estonia e Finlandia incontrati questa settimana da Cameron al Northern Future Forum in Islanda. «Abbiamo avuto un’ottima chiacchierata», ha detto invece il premier inglese al temine del summit con i Paesi scandinavi. «Ovviamente abbiamo discusso di Siria e dell’emergenza rifugiati, ha continuato, ma abbiamo anche parlato della rinegoziazione britannica e devo dire che sta andando bene». Questione di punti di vista, forse.
Se uscissimo dall’Unione, ha detto Cameron, subiremmo le regole del mercato comunitario senza deciderle
La posizione di Cameron, saprete, è piuttosto acrobatica. Nonostante abbia indetto il referendum sull’uscita dall’Ue, il premier inglese è a favore della permanenza in Europa, a patto che vengano cambiate alcune regole europee. Ma se più o meno si è capito che il premier conservatore vuole restringere l’accesso ai benefit statali per immigrati comunitari e vuole evitare quella «unione sempre più stretta» indicata dai trattati europei, nessuno ancora conosce i dettagli del piano Cameron. Men che meno l’elettorato inglese, che intanto assiste ai discorsi del ministro degli Interni Theresa May, intenzionata, dice, a bloccare l’arrivo in Uk di migranti comunitari sprovvisti di lavoro.
Aumentano i favorevoli all’uscita
I dati, però quelli sì sono chiari. Mentre Cameron promette di inviare al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk una lettera con gli obiettivi precisi da ottenere nelle negoziazioni europee (lo farà ai primi di novembre), aumentano in Gran Bretagna i favorevoli all’uscita dall’Unione.
L’istituto di ricerca britannico Ipsos Mori ha pubblicato pochi giorni fa l’andamento del sentimento britannico nei confronti di Bruxelles dal 1977 a oggi: da giugno a settembre 2015 i favorevoli a un’uscita dall’Ue sono in forte aumento, sebbene ancora non in maggioranza.
La nuova formula: «no seat at the table»
Minacciato da questi dati, David Cameron ha sfoderato questa settimana una nuova argomentazione: «no seat at the table», nessun posto al tavolo dei negoziati. Se uscissimo dall’Unione, ha spiegato il leader poco prima di partire per il Northern Future Forum, subiremmo le regole del mercato comunitario senza poterle decidere. Come accade alla Norvegia. Proprio la Norvegia è il Paese usato come sostegno alla “Brexit” dall’Ukip, il partito populista anti immigrati di Nigel Farage. La Norvegia, ha sostenuto Farage, prospera al di fuori dell’Ue perché non paga “quote di iscrizione” e non ha la burocrazia di Bruxelles da rispettare.
Da giugno a settembre 2015 i favorevoli a un’uscita dall’Ue sono in impennata, sebbene ancora non in maggioranza secondo Ipsos
Non è così. Ha ribadito Cameron: «Oslo versa a Bruxelles tanti soldi pro capite quanti ne versa l’Inghilterra. Accoglie un numero di migranti pro capite doppio rispetto al nostro e tuttavia non siede al tavolo dei negoziati, non ha facoltà di partecipare alle decisioni». Bisogna essere consapevoli delle conseguenze di un’uscita, ha avvertito il premier.
La Norvegia, insieme a Islanda e Lichtenstein, fa parte dell’area economica europea, ha cioè accesso al mercato dell’Unione, contribuisce economicamente al budget di Bruxelles, fa parte dell’area di libera circolazione di beni e persone, ma non ha voce in capitolo quando si tratta di stabilire i principi in materia di commercio, servizi, persone e migranti.
Quali opzioni nel caso in cui Londra uscisse dall’Unione Europea
Se la Gran Bretagna dovesse uscire dall’Unione Europea dovrebbe stringere nuovi accordi commerciali con Bruxelles. E potrebbe, hanno ipotizzato le testate britanniche questa settimana, ispirarsi al modello norvegese, a quello svizzero o a quello turco. Oppure crearne uno su misura per Londra, come vorrebbe Niegel Farage dell’Ukip.
Nel caso si ispirasse a Oslo, la Gran Bretagna resterebbe parte dell’Area Economica Europea, parteciperebbe al mercato unico (con esclusione di alcuni servizi finanziari) ma otterrebbe maggiori libertà nelle leggi su agricoltura, pesca, giustizia e affari interni. La libertà di circolazione di beni e persone resterebbe intatta. Come la Norvegia, dovrebbe subire le regole del mercato stabilite a Bruxelles senza però poter partecipare ai tavoli dove tali regole si stabiliscono.
Se la libertà di circolazione verrà messa in discussione, ancora non è chiaro
Se seguisse un modello svizzero, concorderebbe accordi commerciali settore per settore. Ma la libertà di circolazione di cittadini comunitari non sarebbe scontata. Andrebbe anch’essa negoziata come ha fatto la Svizzera.
L’Inghilterra potrebbe infine prendere in considerazione un’unione doganale sul modello turco, che prevede il libero mercato dei beni prodotti ma non dei servizi finanziari. Il patto non prevede la libera circolazione di persone. I negoziati per favorire la circolazione di cittadini turchi in Europa sono iniziati nel 2013. Il 16 ottobre 2015 è stata firmata una bozza tra Ankara e Bruxelles che concede la liberalizzazione dei visti per i turchi in cambio di una limitazione dei flussi migratori verso l’Europa.
Se la libertà di circolazione dei cittadini europei sul suolo britannico verrà messa in discussione, dunque, ancora non è chiaro. L’incapacità di Cameron di offrire scenari chiari sulle conseguenze di un’uscita o di una permanenza in Europa non facilita la presa di posizione dei britannici, e rende il panorama imprevedibile.
Gli expat comunitari presenti in Gran Bretagna possono per ora solo stare a guardare.