«Studiavo arte, ma non trovavo il modo di applicare realmente quello che stavo apprendendo. La verità è che volevo realizzare qualcosa di tangibile per dimostrare la funzionalità del design, ma soprattutto per creare innovazione sociale e, attraverso la tecnologia, dare una mano ai più bisognosi». E così Beste Özcan, collaboratrice all’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (Istc-Cnr) di Roma, ha dato vita al progetto +ME, il cuscino interattivo pensato per i bambini autistici.
Sono sempre stata affascinata dalla possibilità di sfruttare in modo etico le tecnologie emergenti: i prodotti interattivi devono per me avere l’obiettivo di migliorare le capacità relazionali tra esseri umani.
Beste ha conseguito due lauree in ambito artistico alla Hacettepe University della sua città natale, Ankara, ha proseguito i suoi studi in design e innovazione tra la Seconda università degli studi di Napoli, l’Universidade técnica di Lisbona e l’Università di Malaga, fino a portare il progetto +ME, realizzato in collaborazione con l’Istc Cnr, alla recente edizione della Maker Faire di Roma. Qui, dove maker di tutto il mondo si sono incontrati per presentare centinaia di invenzioni e attrazioni da 65 Paesi, c’è stato spazio anche per chi, come Beste, ha voluto coniugare creatività artistica, progettazione tecnica e ricerca scientifica:
«Quello che ho studiato è un prodotto che sfrutta la possibilità di creare interazione sociale attraverso la tecnologia di design: si tratta di un cuscino che il bambino può indossare intorno al collo, stringere e abbracciare, e che emette stimoli visivi e sonori che piacciono agli autistici. L’interazione avviene quando un genitore o un terapista, attraverso una connessione bluetooth attiva su un tablet dotato dell’app +ME, può modificare luci e suoni emessi per stimolare il paziente a reagire». Per esempio, appena il bambino tocca il cuscino questo emette uno stimolo “interessante”, ossia si illumina di rosso. Allora, con un semplice segnale bluetooth emesso da tablet, un adulto può modificare luce e colore, spingendo il bambino a comunicare e a relazionarsi con il mondo esterno per riavere la sensazione gradita. Il cuscino diventa un oggetto “familiare”, che il bambino ricerca per tranquillizzarsi in situazioni di stress.
La verità è che volevo realizzare qualcosa di tangibile per dimostrare la funzionalità del design, ma soprattutto per creare innovazione sociale e, attraverso la tecnologia, dare una mano ai più bisognosi.
Il cuscino non è stato ancora testato, ma partirà a breve la sperimentazione su un primo gruppo di bambini al dipartimento Villa Dante dell’Istituto neurotraumatologico italiano: «Si tratta di un risultato – continua Beste Özcan – raggiunto grazie a un team interdisciplinare composto di neuropsicologi, bioingegneri, biomedici e programmatori. Abbiamo fatto ricerche su Internet e analisi di mercato, abbiamo letto articoli su questo tipo di studi e abbiamo lavorato su sperimentazioni precedentemente eseguite dai terapisti con cui collaboriamo».
A lei è toccato il compito di tendere tutte le ricerche verso un metodo di lavoro che lei stessa definisce “H+” (cioè humanity plus, più attenzione per l’uomo): «Sono sempre stata affascinata dalla possibilità di sfruttare in modo etico le tecnologie emergenti: i prodotti interattivi devono per me avere l’obiettivo di migliorare le capacità relazionali tra esseri umani, e non di annientarle. Non a caso ho scelto di lavorare con una patologia così problematica com’è l’autismo: con +ME il gioco attraverso un prodotto digitale è il modo in cui avviene l’interazione del bambino con il mondo esterno. Per loro (e per noi) il miglior modo di essere curati è fare uso di dispositivi esterni senza dimenticare di rimanere umani».
Una volta raggiunta l’Italia le difficoltà non sono mancate: lentezze nell’ottenimento del permesso di soggiorno, scarsità di inglese parlato in università e un lavoro da ricercatrice svolto sempre in forma gratuita.
Un compito non da poco ma che, a detta di Beste, al Cnr portano avanti con estremo entusiasmo: «Qui mi trovo molto bene: quando studiavo in Turchia il mio sogno era quello di venire in Italia per apprendere le vostre conoscenze tecniche e la vostra creatività, tanto che è stata una mia libera scelta quella di intraprendere il dottorato proprio a Napoli».
Eppure, una volta raggiunta l’Italia, le difficoltà non sono mancate: «Sono tanti i problemi con cui mi sono scontrata. Dal permesso di soggiorno, difficilissimo da avere, al fatto che, qui, pochi parlano inglese. Anche in università». E aggiunge: «Sono collaboratrice al Cnr da due anni e, nonostante mi piaccia moltissimo, non siamo ancora riusciti a trovare fondi per questo progetto. Ma come si può rimanere in una città cara come Roma senza percepire un reddito?».