Tre documentari inquietanti per capire il mondo

La realtà fa paura. Meglio dei film dell’orrore, ci sono film che indagano fatti di sangue e scoperchiano verità che sanno terrorizzare più di qualsiasi thriller

Ci sono realtà che fanno paura. Eppure sono interessanti, perché raccontano il lato oscuro – quello che si preferisce non vedere – delle persone. Sono inquietanti perché dicono la verità. Il brivido non è liberatorio, come nei film dell’orrore, ma rimane. Appesantisce le riflessioni, forse, ma permette di scoprire di più.
In questo senso, è molto istruttivo guardare questi tre documentari. Sono spaventosi, perché indagano nelle pieghe di realtà tenute da parte, impensabili. Ma se si capisce che anche ciò che si racconta è potuto succedere, si capisce che potrà accadere di nuovo. A parte pochi soggetti, l’uomo non è un animale creativo. Studiare la storia, e le storie, significa studiare il mondo.

The Woman Who Wasn’t There
Dove “there” vuol dire nelle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001. Questa donna, che si faceva chiamare Tania ma che in realtà era Alicia Esteve Head, ha lasciato credere per sette anni di essere stata tra i sopravvissuti dell’11 settembre. Era riuscita a fuggire, rimanendo ferita, e a salvarsi, raccontava. Dopodiché era diventata una delle fondatrici del World Trade Center Survivors’ Network. Tutto falso.

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Il documentario ricostruisce la storia della bufala, di come sia nata e di come, alla fine, sia stata scoperta. E si vedono scene in cui la donna, entrando nei detagli, raccontava la sua versione dei fatti, di fronte a persone che, invece, il dramma dell’11 settembre lo avevano vissuto davvero.

Cropsey
È il nome di un mostro leggendario che catturerebbe i bambini che non si comportano bene. La storia, nello stato di New York, la conoscono tutti. I registi Joshua Zeman e Barbara Brancaccio, entrambi nati e cresciuti a New York e, per questo motivo, a conoscenza della leggenda, decidono di fare un giro nelle strade per scoprire le origini di questa favola per bambini. E cosa scoprono? Che non è affatto una leggenda metropolitana. I due registi incontrano l’uomo sospettato di essere dietro la favola, e che forse, in fondo alla finzione, c’è qualche, inquietante, verità.

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The Act of Killing
Tra il 1965 e il 1966 in Indonesia le forze anti-comuniste uccidono circa un milione di persone nel tentativo di reprimere le proteste contro il nuovo regime. Una delle squadre che ha commesso i fatti più efferati era quella guidata da Anwar, a Sumatra, che uccise 1.000 persone. A distanza di decine di anni, i registi Joshua Oppenheimer e Christine Cynn lo raggiungono (ora è una figura militare famosa in tutto il Paese) e gli chiedono di ripercorrere i fatti di sangue di quell’anno.

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Il documentario, però, non si ferma qui. Chiede ad Anwar non solo di ricordare quel periodo, ma anche di inscenarlo di nuovo con alcuni attori al posto delle vittime. È a questo punto che si chiede al protagonista di cambiare ruolo, e di fare la parte della vittima. L’effetto è raggelante.

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