L’Italia è piena di dimore storiche: ma cadono a pezzi. Venderle è diventato un’impresa, in un mercato immobiliare morto. Risistemarle e metterle a reddito è un’alternativa costosa, che qualcuno fa in proprio e che altri affidano a specialisti. È in questo scenario che una società relativamente piccola e nata da poco da un’esperienza precedente decennale, Cultural Real Estate (CultuRE), ha deciso di provare a fare le cose in grande. Oggi ha in gestione una ventina di immobili storici, tra Venezia, Milano, Firenze e Roma. Le risistema, vi organizza mostre, cocktail e cene, ne fa sede di seminari e corsi di formazione. Se i piani andranno come da annunci, nel 2018 arriverà a gestirne 80, in tutta Italia e il fatturato dovrebbe passare dai 2 milioni di euro attesi nel 2015 a 8 milioni. In mezzo ci sarà un roadshow, che partirà il 20 gennaio a Londra, presso l’Istituto italiano di cultura. Nei tre mesi successivi seguiranno New York, New Delhi, una città in Svizzera, Milano e Venezia. L’obiettivo, ha spiegato il direttore operativo di CultuRe, Filippo Perissinotto, durante un incontro con la stampa al Spazio Radetzky di Milano, è raccogliere tra uno e 5 milioni di euro. Al termine non è esclusa una quotazione («è una delle ipotesi»), probabilmente sul mercato Aim, quello che Borsa Italiana ha dedicato alle Pmi.
Quali rendimenti offriranno agli investitori non è stato anticipato. «Saranno buoni, anche se l’ottica non è speculativa», da detto Perissinotto. Per questo nel mirino ci sono soprattutto fondazioni, oltre che famiglie abbienti ed enti pubblici. «Non andremo a proporre l’investimento a chi non ha finalità culturali. Questa è principalmente una forte operazione culturale», ha aggiunto Enzo Pellegrino, senior manager di Sinloc, un advisor partecipato da fondazioni bancarie e da Cassa Depositi e Prestiti, che sta affiancando CultuRE nel progetto di espansione. «Poi la finanza serve per rendere possibili cose che altrimenti non lo sarebbero. Stiamo parlando di dare vita a moltissimi palazzi storici che oggi sono dismessi, se non in rovina». Ad affiancare l’operazione, ha aggiunto Bruno Cerasuolo, uno dei partner della società, c’è anche una non ancora svelata banca d’affari milanese.
Cultural Real Estate (CultuRE) ha in gestione una ventina di immobili storici, tra Venezia, Milano, Firenze e Roma. Le risistema, vi organizza mostre, cocktail e cene, ne fa sede di seminari e corsi di formazione. Se i piani andranno come da annunci, nel 2018 arriverà a gestirne 80
Con i soldi del roadshow il gruppo intende cambiare natura: non si limiterà a prendere in gestione immobili in stato decente, risistemarli e organizzare eventi (operazioni che avvengono con tre società distinte). Potrà mettere mano a dimore semidiroccate e fare investimenti anche di diversi milioni di euro. «In questa seconda fase potremo in maniera misurata acquisire le proprietà, attorno al 10% degli asset, anche con formule come il rent-to-buy (affitto con riscatto, ndr)», ha spiegato Pellegrino. Il processo, aggiunge, dovrà essere “industrializzato”.
«Non andremo a proporre l’investimento a chi non ha finalità culturali. Questa è principalmente una forte operazione culturale»
La proprietà dei palazzi gestiti oggi da CultuRE è per circa il 70% privata, per il resto pubblica. Ci sono otto palazzi a Venezia, tra cui Palazzo Flangini, sul Canal Grande e gli spazi dell’Arsenale Docks. L’attività è molto legata all’organizzazione di mostre realizzate in concomitanza con la Biennale di Architettura. Altri “macro-eventi” presidiati sono la mostra del Cinema, il Carnevale. A Milano, dove sono gestiti alcuni immobili soprattutto in zona Brera, sono gli eventi della Salone del Mobile e della Settimana della Moda. A Firenze sono gestiti gli spazi del Palazzo della Società Dantesca, antica sede della Corporazione della lana.
Tra i nuovi immobili nel mirino un filone è costituito da quelli oggetto di passaggi generazionali. Un altro dai conservatori, come quello di Venezia. «Non è un percorso semplice – hanno spiegato i responsabili della società -. Abbiamo iniziato un discorso faticoso con i privati e con il Comune. È un palazzo enorme e il conservatorio usa tutti i soldi ministeriali per scaldare le aule, sono costretti a usarne solo un terzo. La nostra proposta è di prenderne un pezzo per volta e sistemarlo, organizzando mostre».
In questa fase non sono contemplate finalità non culturali, come esercizi commerciali dentro questi immobili, ha aggiunto Pellegrino. In caso di sistemazione di borghi, altro filone che vede tra i primi possibili clienti dei produttori di Barolo in Piemonte, uno degli utilizzi degli immobili risistemati potrebbe essere quello di albergo diffuso.
https://www.youtube.com/embed/DCvvq2TGwlA/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT«Un terzo dei nostri clienti non sono contingenti e stanno diventando investitori»
La società, spiega Perissinotto a Linkiesta, ha rapporti limitati con il ministero dei Beni Culturali. Tuttavia in questo momento «c’è un buon “sentiment” giuridico. L’art bonus (lo sconto per i privati che investono nella cultura, ndr) può dare dei vantaggi, anche se solo su un limitato numero di immobili privati. In generale il quadro giuridico fiscale è avulso dall’approccio dell’investitore, che nel nostro caso è nel 90% dei casi straniero». Tra i clienti principali c’è l’indiana Sitaram Jindal Foundation (Jindal è un’importante produttore di acciaio), che ha un piano di eventi culturali per i prossimi cinque anni. Potrebbe essere uno dei prossimi investitori (una delle tappe del roadshow sarà New Delhi), perché, ha spiegato Perissinotto, «un terzo dei nostri clienti non sono contingenti e stanno diventando investitori».