ROTTA BALCANICADopo Parigi, nei Balcani migliaia di profughi bloccati lungo i confini

Solo in Serbia 1.500 persone sono bloccate da una settimana. Dal 19 novembre entrano in Ue solo richiedenti asilo provenienti da Siria, Iraq e Afghanistan. In migliaia accampati al gelo lungo i confini

L’Europa fa la selezione all’ingresso. Dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre, Macedonia, Serbia, Croazia e Slovenia, in questi mesi Paesi di transito per i rifugiati diretti verso il Nord, lasciano passare sui propri territori solo i profughi provenienti da Siria, Afghanistan e Iraq. Gli altri restano fuori, accampati lungo i confini. Mentre arriva l’inverno, le temperature si abbassano e nei prossimi giorni, sui Balcani, è prevista anche la prima neve.

Solo in Serbia, che in realtà ancora nell’Ue non è entrata (da marzo 2014 è candidata per l’adesione), da quasi una settimana ormai sono bloccate 1.500 persone. Non possono andare avanti, proseguendo verso la Croazia, né tornare indietro. Sono migranti provenienti dal Nord Africa, Pakistan, Iran, Bangladesh. Non scappano dall’Isis o dai talebani, ma provengono da Paesi interessati da conflitti minori e attentati continui. Sono etichettati come “migranti economici”, quindi per loro niente lasciapassare.

«Al momento questo 1.500 persone sono alloggiate in due centri collettivi: uno a Nord, vicino al confine croato, e un altro vicino a Belgrado», racconta Anna Sambo, cooperante della ong Oxfam in Serbia. Le conseguenze dell’attacco dell’Isis al cuore dell’Europa si sono fatte sentire anche su di loro. E a un certo punto, la traversata per loro è stata arrestata. «Non hanno ricevuto nessuna informazione dal governo serbo, sono stati semplicemente fermati», racconta la cooperante. «E non sanno ancora quale sarà il loro destino». Quando la notizie si è diffusa, si è scatenato il panico. Qualcuno ha cercato comunque di oltrepassare il confine croato, ma la polizia ha risposto con la violenza.

Appena arrivati in Serbia, i rifugiati ricevono un permesso valido per 72 ore. Scaduto il tempo limite, o escono dal Paese o chiedono asilo. Ma nessuno vuole restare a Belgrado, tutti puntano più a Nord. E anche i controlli sui documenti si sono inaspriti. «La polizia verifica che siano già stati registrati in Grecia», racconta Anna Sambo. Se ti dichiari siriano in Serbia, devi esser stato già registrato come siriano in Grecia.

Altre mille persone, solo nella giornata di giovesì 19 novembre, sono rimaste bloccate invece tra Serbia e Macedonia. Donne, uomini, bambini e anziani lasciati in un limbo lungo il confine tra i due Paesi. Alcuni iraniani hanno iniziato uno sciopero della fame, altri hanno occupato i binari dei treni, altri con un gesto estremo si sono cuciti la bocca con ago e filo.

Intanto, nelle ultime settimane le temperature sono passate da 15 a 2 gradi. Ma i numeri di chi si mette in cammino per chiedere protezione umanitaria all’Europa non si sono ridotti. Secondo i numeri dell’Unhcr, ogni giorno più di 3mila persone attraversano ancora il confine tra Macedonia e Serbia, diretti verso la Croazia. E tra novembre e febbraio in Grecia potrebbero esserci 5mila arrivi al giorno dalla Turchia. Il freddo non ferma chi scappa da violenze e persecuzioni.

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Lungo la rotta balcanica, Oxfam sta costruendo container con docce e bagni chimici nelle principali stazioni ferroviarie, e installando schermi con le informazioni sulla registrazione obbligatoria e le tariffe dei treni in quattro lingue diverse. «Cerchiamo di dare informazioni su come proseguire il viaggio», racconta Anna Sambo. «Molti non sanno come arrivare a Nord, rischiano di cadere nelle mani di tassisti che hanno tariffe altissime, quando invece ci sono i pullman e i treni». E in queste ore si stanno distribuendo anche calze, scarpe, guanti, berretti.

«Pensavamo che con il freddo, il numero delle persone registrate sarebbe calato, invece non è così», racconta la cooperante. «Questa gente non si ferma. E la distinzione che si sta facendo tra rifugiati e migranti economici non regge. Vengono tutti da situazioni più o meno terribili, tentano solo di sopravvivere. E hanno tutti rischiato la vita per fare questo viaggio».

Tanti, dice Anna Sambo, hanno voglia di raccontare quello che si sono lasciati alle spalle. Un signore iracheno non ha concesso in sposa sua figlia a un militante dell’Isis e si è visto sterminare l’intera famiglia. «Sono disposto a cambiare religione, dopo che ho visto cosa fanno in nome dell’Islam», ha detto ai cooperanti. Molti dicono che sono conapevoli di rischiare la vita durante il viaggio, ma non è nulla rispetto a quello che si lasciano alle spalle. E dopo gli attentati di Parigi una ragazza siriana ospitata in un centro di accoglienza serbo ha detto: «Adesso vi rendete conto di quello che viviamo noi ogni giorno?». «Nessuno sta scappando per avere soldi», ribadisce Anna Sambo. «Scappano perché vogliono stare in pace. Non ne possono più di violenze e bombe».


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