Speriamo che vada male. È difficile, oggigiorno, trovare esponenti del pessimismo. Anzi: è di moda invece, la “psicologia positiva”, creatura di Martin Seligman, professore americano alla University of Pennsylvania in gran voga e autore di numerosi best-seller (come Imparare l’ottimismo) che vanno a ruba nei negozi e nei supermercati.
La sua visione del mondo parte da una premessa teorica notevole: l’impotenza acquisita – che non ha niente a che vedere con la sfera sessuale. Si verifica quando un soggetto, in situazione di difficoltà, non riesce a trovare una soluzione per uscirne. Si rassegna e si deprime. Questo diventa una forma di bagaglio culturale, una rassegnazione preventiva che si ripresenterà in tutte le situazioni di difficoltà successive. Non si pensa più di poterne uscire perché si è imparato che non è possibile. L’eventualità stessa viene eliminata. E così si cade in stati di depressione e impotenza.
Secondo altri studiosi, però, un pizzico di pessimismo non è un problema. Anzi, è un vantaggio. Lo spiega la professoressa Gabriele Oettingen: “il pessimismo può essere un motivatore migliore rispetto all’ottimismo”, quanto si tratta di ottenere risultati concreti, anche semplici, come ad esempio perdere peso.
Il fatto è, spiegano, che essere ottimisti (ed esserlo molto) può essere un problema: spesso il confine con l’imprudenza è troppo labile, viene superato e cominciano i guai. Secondo gli scienziati si smette di preoccuparsi per il futuro, si prendono meno misure di sicurezza, si rischia di più. Risultato? Si muore prima e/o peggio. “Essere pessimisti”, invece, “aiuta a vivere con più attenzione, prendendo ogni tipo di precauzione. Evitando i pericoli”. È il “pessimismo difensivo”, e funziona così: