TaccolaIl Sunnistan, la soluzione impossibile per risistemare Iraq e Siria

La proposta di John Bolton, ex ambasciatore Usa all’Onu: creare quattro Stati al posto degli attuali Iraq e Siria. Con un Kurdistan indipendente, una piccola repubblica Alawita, uno Stato sciita e un Sunnistan. L’idea è suggestiva, ma significherebbe una rottura definitiva con la Turchia

«Non avrei mai pensato di sentire una lezione di storia nel mezzo del deserto, circondato da persone con il kalashnikov». Così commentava l’inviato di Vice nel famoso reportage “Dentro l’Isis” dell’ottobre 2014. La lezione di storia era arrivata quando dei bulldozer dei miliziani del “Califfato” spianavano la frontiera (una lunga striscia di terra di un paio di metri di altezza) tra Siria e Iraq. «Abbiamo abbattuto l’accordo Sykes-Picot», esultavano i militanti.

La distruzione della linea retta con cui l’accordo tra francesi e inglesi (con i russi come osservatori) divise i territori d’influenza tra le due potenze europee, nel 1916, è uno degli obiettivi dell’Isis. Lo ha dichiarato il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi nel suo discorso di insediamento. Lo aveva, d’altra parte, messo nero su bianco “The management of savagery”, nel 2004. È il “manuale”, scritto da un anonimo con lo pseudonimo di Abu Bakr Naji, che teorizzò la creazione di un nuovo califfato (idea di Al Zarqawi, in contrasto con la visione qaedista) e che per questo è stato preso a modello dai seguaci di Al BAghdadi.

Questa linea artificiale, che creò Stati mettendo assieme etnie diverse, di confessioni diverse, è collassata già prima dell’avvento dell’Isis. Come ha evidenziato un’analisi di Joyce Karam, corrispondente da Washington del quotidiano con sede a Londra Al-Hayat, «la rottura degli Stati della Siria e dell’Iraq sta avvenendo sotto i nostri occhi, e l’Isis è solo uno dei sintomi della nuova configurazione post-Sykes-Picot. Mentre la comunità internazionale rimarca ancora pubblicamente l’unità dell’Iraq e della Siria, in realtà ciascuno si sta rapidamente adeguando al nuovo ordine. Armare i gruppi curdi, investire in milizie sciite, sunnite e druse, sta avvenendo a un ritmo più veloce di ogni soluzione polica. C’è la presa di coscienza, nelle capitali occidentali, che gli Stati nazione a Baghdad e a Damasco si stanno rompendo e che è troppo costoso per Washington e i suoi alleati salvarli».

L’abbattimento dei confini tracciati dall’accordo di Sykes-Picot del 1916 è uno degli obiettivi alla base della creazione dell’Isis. Ma l’accordo era già collassato prima dello Stato Islamico

Il 25 novembre il tema del superamento degli accordi di Sykes-Picot è stato preso di petto sul New York Times dall’ex consigliere di George W. Bush ed è ambasciatore Usa all’Onu, John Bolton. Un ex neoconservatore con molte responsabilità alle spalle, ma che ha posto una questione cruciale: se si interviene in Iraq e in Siria militarmente, «cosa verrà dopo lo Stato islamico?». La strategia, ha spiegato, non può venire dal campo di battaglia; al contrario, la tattica discende in maniera deduttiva una volte che abbiamo stabilito gli obiettivi definitivi.

La risposta alla domanda è stata per certi versi sorprendente: non dobbiamo avere paura di ridisegnare i confini. «Sconfiggere lo Stato Islamico significa restaurare il potere di Assad in Siria e i pupazzi iraniani in Iraq, risultato che non è né praticabile né desiderabile. Piuttosto che lottare per ricreare la mappa del post-Prima Guerrra Mondiale, Washington dovrebbe riconoscere la nuova geopolitica. La migliore alternativ allo Stato Islamico nel nord-est della Siria e nell’Iraq occidentale è un nuovo e indipendente Stato Sunnita».

«La migliore alternativ allo Stato Islamico nel nord-est della Siria e nell’Iraq occidentale è un nuovo e indipendente Stato Sunnita»


John Bolton, ex ambasciatore Usa all’Onu

Oltre a questo “Sunnistan“, Bolton propone un Kurdistan indipendente. Le altre realtà che si verrebbero a creare, non citate esplicitamente da Bolton, sono uno Stato sciita nel centro-sud dell’Iraq (che sarebbe inevitabilmente un satellite dell’Iran) e una striscia in Siria, nei pressi delle basi russe di Latakia, in cui assicurare una sopravvivenza al clan alawita degli Assad.

La proposta di Bolton ha un enorme ostacolo: la Turchia non permetterebbe mai la nascita di uno Stato curdo

Che reali possibilità avrebbe di essere creato un sistema del genere? «Sebbene difficile nel breve termine, nel tempo questo assetto favorirebbe di più l’ordine e la stabilità regionale», sostiene Bolton. Tuttavia gli ostacoli sarebbero enormi. Il primo è che gli sciiti, che stanno vivendo un grande momento geopolitico dopo l’accordo tra Occidente e Iran, non rinuncerebbero facilmente al potere.

Il secondo, ancora più ostico, è che la Turchia non accetterebbe mai la configurazione di uno Stato curdo, per vari motivi: non sarebbe un piccolo Stato, ma un cuscinetto che escluderebbe la Turchia dai confini con l’Iraq e diminuirebbe quindi la sua influenza regionale. Avrebbe un impatto d’immagine forte e creerebbe nuove tensioni con i curdi nel territorio turco. Infine sarebbe una pedina fortissima, corteggiata da americani e russi. Sarebbe, in ultima analisi, una dichiarazione di guerra alla Turchia.

C’è poi un terzo ostacolo al progetto di Bolton: il nuovo Sunnistan sarebbe esente dal rischio salafita? La risposta di Bolton per evitarlo è chiara: «Il nuovo Stato potrebbe non essere una Svizzera. Questa non è un’iniziativa democratica ma fredda politica di potere». Perché, spiega, «questa è una regione in cui sono scarse le alternative a governi secolari militari o semi-autoritari». Come quello di Saddam Hussein, che i neo-con come Bolton fecero crollare nel 2003, dando origine a un’instabilità che paghiamo ancora oggi.

Questioni che è obbligatorio risolvere prima di intervenire. Come ha scritto Tommaso Canetta in una delle analisi su Linkiesta, «qualsiasi azione bellica contro il Califfato dovrebbe essere preceduta da una “Yalta” per il Medio Oriente: una spartizione delle sfere di influenza tra Teheran e Riad, che ovviamente tenga conto delle varie questioni locali (ad esempio, il destino di Assad in Siria e l’eventuale transizione), che risolva i problemi collaterali (la questione curda, i rapporti della Turchia con i suoi vicini, la soluzione al caos in Libia, il ruolo dell’Egitto, la fine della guerra in Yemen etc.) e che abbia il patrocinio – e anche qualcosa di più – degli Stati Uniti, dell’Unione europea e della Russia. Purtroppo al momento un simile accordo complessivo è ritenuto dagli esperti praticamente impossibile».