TaccolaLa Lombardia scopre la fuga dei cervelli in Svizzera: “Da noi troppe tasse”

I frontalieri verso il Ticino sono raddoppiati. E se all’inizio l’esodo è stato visto come un sollievo contro la disoccupazione, ora sta impoverendo le aziende. Gli artigiani lombardi chiedono agevolazioni fiscali al governo

«È come se una squadra di metà classifica rimanesse senza le punte». Gli artigiani dell’alta Lombardia partono dalla più semplice delle metafore, quella calcistica, per descrivere l’impoverimento che sta riguardando le Pmi della zona. «In un’azienda di 20-30 dipendenti ci sono 2-3 persone chiave, che si occupano della funzione commerciale o del sapere ingegneristico. Basta che se ne vadano loro per spostare l’asse della competitività», spiega Stefano Binda, responsabile dell’area politiche del lavoro e relazioni sindacali di Cna Lombardia. Quando si dice “se ne vanno”, da queste parti, la destinazione è quasi scontata: la Svizzera. Non si tratta di emigrazione, ma del semplice trasferimento quotidiano oltre la dogana. La tradizionale marcia dei frontalieri si è però trasformata in un piccolo esodo e per questo gli artigiani chiedono al governo uno sconto fiscale, in modo da fermarlo.

L’esodo oltredogana

I frontalieri verso la Svizzera ci sono sempre stati e la ragione sta in un numero: 4.658 franchi (4.300 euro), lo stipendio medio degli italiani che lavorano in Ticino (il 18% in meno dei residenti in Svizzera). Considerato che la distanza è spesso di pochi minuti d’auto, l’attrattiva è sempre stata fortissima. Ma negli ultimi dieci anni, a causa della crisi, il loro numero è raddoppiato. Secondo i dati disponibili presso l’Ufficio di statistica del Canton Ticino (marzo 2015), nel secondo trimestre 2005 erano 35.347; nello stesso periodo di quest’anno sono saliti a 62.555. Tra questi, 5.389 sono figure intellettuali e scientifiche, 6.134 figure tecniche intermedie, 10.633 “commerciali”, 10.678 artigiani ed operai specializzati. Una vera fuga di cervelli, se si pensa che per le figure addette a professioni ad alto contenuto scientifico e intellettuale si registra un incremento degli esodi verso le imprese ticinesi pari al 195% in dieci anni.

I frontalieri verso la Svizzera ci sono sempre stati e la ragione sta in un numero: 4.658 franchi (4.300 euro), lo stipendio medio degli italiani che lavorano in Ticino

Questa “fuga”, in realtà, per anni ha fatto comodo. A varesini, comaschi e lecchesi, in primo luogo, che potevano ovviare all’aumento della disoccupazione iniziato nel 2008. E ai commercianti di queste zone, che potevano trarre beneficio dai consumi pompati dei frontalieri. «Ora però ci stiamo rendendo conto che le imprese si stanno impoverendo – spiega a Linkiesta Enrico Benati, presidente regionale di Cna Produzione e presidente di Cna Como -. Ci potrebbero essere delle conseguenze sulla tenuta delle imprese». La pressione che si avverte, racconta, è in primo luogo psicologica: «Ci sono allusioni e frecciate continue da parte dei collaboratori. Ci dicono: “Sono andato a cena con i coetanei, dicono che prendono 3.500-4.000 euro al mese per fare quello che noi facciamo qui per la metà”». Poi ci sono i problemi pratici, come il costo di gestire un turn over alto. «Le aziende, se sono accorte, hanno sempre un doppione: una persona in grado di svolgere due mansioni nel caso una se ne andasse. Però il problema si pone in continuazione. Le voci girano».

Anche il referendum che in Svizzera nel 2014 ha decretato che le aziende elvetiche debbano prima cercare lavoratori svizzeri prima di quelli stranieri non ha cambiato la soluzione e, nei fatti, sembra venga aggirato.

«Ci sono allusioni continue da parte dei collaboratori. Ci dicono: “Sono andato a cena con i coetanei, dicono che prendono 3.500-4.000 euro al mese per fare quello che fanno qui»


Enrico Benati, presidente regionale di CNA Produzione

Che cosa fanno le aziende per trattenere i lavoratori? «Tentano di mettere in campo il possibile e anche l’impossibile – risponde Benati -. Ma non basta». A creare il gap competitivo, spiega la Cna, ci sono soprattutto i costi per la componente non salariale degli stipendi. Da recenti rilevazioni (Sole 24 Ore e Corriere del Ticino) le componenti non salariali del costo del lavoro in Italia sono al 28,2% del totale, in Svizzera al 20,9 per cento. Per questo l’unica strada possibile, per gli artigiani lombardi, è quella della leva fiscale.

Meno tasse al confine

Al governo si chiede un intervento specifico: agire sulla detassazione dei premi di produttività. In parte queste misure sono già presenti, a livello nazionale. In genere sono previste dalle varie leggi di Stabilità e poi vengono confermate da un successivo decreto del presidente del Consiglio. Fino al 2014 le agevolazioni erano fruibili, nel 2015 non sono state rifinanziate, mentre la legge di Stabilità del 2016 è tornata a prevederle. Per una soglia fino a 2.500 di premio di produttività, per redditi fino a 40mila euro, l’aliquota Irpef applicabile è agevolata, al 10 per cento.

«È una misura troppo contenuta rispetto alla possibilità vera di fare la differenza – commenta Binda -, anche perché la legge di Stabilità prevede la detassazione ma non la decontribuzione». La soluzione «sarebbe quella di aumentare le agevolazioni nei territorio di confine», e cioè in tutte le province di Como, Lecco e Varese. Già oggi una ventina di paesi della fascia di confine hanno un trattamento fiscale di favore, chiamato meccanismo del del ristorno. Si tratta di una quota delle tasse trattenute alla fonte in Svizzera sulle buste paghe dei lavoratori frontalieri che tornano ai comuni di confine. Questo precedente, spiegano da Cna, è un argomento che potrebbe essere utilizzato per convincere il governo.

Oggi, continuano, sono in corso contatti con parlamentari e consiglieri regionali delle province interessate e con un consulente di Palazzo Chigi che sta seguendo la legge di Stabilità.

Al governo gli artigiani lombardi un intervento specifico: agire sulla detassazione e decontribuzione dei premi di produttività nei comuni delle province di Como, Varese e Lecco

Eppure è chiaro a tutti che non sarà facile far passare una misura del genere, perché si porrebbe un problema di violazione della concorrenza nei confronti non tanto degli svizzeri ma delle altre imprese italiane che operano fuori dalle tre province. Per questo, se non si riuscisse a intervenire a livello nazionale, una seconda strada sarebbe quella di provare la via dei finanziamenti regionali. Il precedente c’è e riguarda i benzinai delle zone di confine, dove i residenti possono usufruire di uno sconto sul prezzo alla pompa. «Il governo deve capire che se un lavoratore va via, i contributi si perdono del tutto», spiega Benati.

Per gli artigiani l’altro punto da considerare è che chi varca il confine si è formato nelle scuole superiori e nelle università italiane, e spesso ha usufruito dei vantaggi italiani nei programmi di apprendistato. Discorsi che valgono d’altra per tutti gli expat che negli ultimi anni hanno lasciato l’Italia.

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