L’antica abitudine del papa di dire ai cattolici come ci si comporta a tavola

I cattolici lo fanno dalla notte dei tempi. Papa Francesco non è diverso. E non si astiene dal dettare altre norme a tavola, denunciando l’uso di telefonini e computer. Segue solo le orme dei suoi predecessori

Qualche giorno fa, dopo gli arresti in Vaticano, le indagini e i libri scandalo, Papa Francesco aveva pensato bene di alleggerire la tensione parlando di regole a tavola. No al computer (ma chi mai lo usa?) no al telefonino. “Non ci si guarda più, non si parla più. Non è una famiglia: è un pensionato”. Lo dice così, chiaro e deciso. E si guadagna gli applausi della gente.

Il Papa semplice, che parla come mangia, fa bene a preoccuparsi delle abitudini a tavola dei cattolici. Anche perché la cosa ha un impatto economico e sociale immenso.

Chi non ci crede, si ravveda. E pensi, ad esempio, all’abitudine di mangiare il pesce al venerdì. Per secoli, chi poteva mangiare carne (e non erano tanti) aveva l’obbligo morale, in quel giorno, di astenersi. Era una penitenza, un sacrificio nel giorno luttuoso in cui era morto Gesù Cristo (il fatto che gli animali del mare fossero considerati accettabili rispetto a quelli della terra è una storia a sé, comunque interessante). Il semplice fatto di obbligare l’astinenza dalla carne ha avuto ricadute incalcolabili sul mercato ittico, mantenendolo vivo per secoli.

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Nel medioevo, del resto, l’obbligo era esteso anche al giovedì e al sabato. In più comprendeva tutta la quaresima, l’avvento, e altri giorni particolari, a seconda della città e della regione in cui viveva. Il pesce serviva, eccome. In questa situazione di grande domanda (grande, beninteso, per standard pre-industriali) nei confronti di un bene distribuito in modo ineguale nel mondo, si sviluppano attività di pesca e di commercio. E, viste le difficoltà di trasporto e conservazione (niente surgelati, niente frigoriferi, niente camion e, spesso, niente strade), il merluzzo sotto sale del nord finì per diventare la scelta privilegiata. Non si sottolineeranno mai abbastanza le conseguenze: i vichinghi, per procurarsi il pesce, affrontarono lunghi viaggi nel mare del nord. E arrivarono in Groenlandia, in Islanda e nella penisola di Terranova. Insomma, seguendo la rotta del merluzzo, si spinsero fino in America. Secoli prima di Colombo.

Ma non è finita. Il pesce ritorna, secoli dopo, come caso politico, quando nel 1534 Enrico VIII rompe con il Vaticano, lascia il cattolicesimo e fonda la Chiesa d’Inghilterra. Per distinguersi dai precetti di Roma, ne prende di mira le abitudini alimentari e mette al bando il pesce: “una carne papale”, cioè da evitare.

Inevitabili, però, sono le conseguenze per i pescatori, che registrano la più grave crisi della storia. Toccherà al figlio, Edoardo VI, risolvere il problema ripristinando per legge i giorni di digiuno. Lo fa “per una politica secolare e civile, per risparmiare carne, per mangiare pesce, per il bene del regno, dove molti fanno i pescatori e vivono di quel commercio”.

La stessa complicazione si ripresenta negli anni ’60 del XX secolo, quando papa Paolo VI, nell’Enciclica “Poenitemini” concede ai vescovi di regolarsi in autonomia sui precetti a tavola. È in quell’occasione che negli Usa viene allentato il bando alla carne, che rimane valido solo per i venerdì della Quaresima. Come mostra questo studio, nei nove mesi successivi al decreto papale, il prezzo del pesce è crollato, insieme alla sua domanda e a diversi posti di lavoro. Pescatori di uomini, diceva il Vangelo, mica di pesci.

Non deve colpire, allora, il discorso di papa Francesco sul bon-ton a tavola. Niente telefonini, niente computer, niente iPad. Certo, sarà difficile che, in seguito a questo monito, Apple registri qualche perdita. Ma è interessante notare che la tentazione di ficcare il naso nella sala da pranzo dei fedeli, oltre che nella camera da letto, è di vecchissima data. Una tentazione forte, perché la carne è debole. E pure il pesce.

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