SelezioneMilano, non c’è posto nei centri accoglienza. I rifugiati dormono in strada

Quattro richiedenti asilo pachistani dormono tra la stazione di Milano e quella di Trezzano da più di due mesi. I centri di accoglienza per transitanti sono aperti solo per alcune nazionalità, tra cui siriani e iracheni. Ora hanno trovato un posto tramite il piano antifreddo

Da più di due mesi a Milano quattro ragazzi arrivati dal Pakistan, tra i 25 e i 31 anni, tutti richiedenti asilo, vagano per la città alla ricerca di una struttura che li ospiti. E da più due mesi sono costretti a dormire in strada, tra la stazione Centrale e qualche porticato. La Prefettura ha risposto che non c’è più posto in nessuna delle strutture per richiedenti asilo della città. E il “pacchetto accoglienza” del Comune per i transitanti, cioè coloro che attraversano l’Italia per poi proseguire il viaggio verso altri Paesi europei e chiedere protezione altrove (nonostante il trattato di Dublino), prevede di fornire ospitalità a siriani, eritrei, somali, iracheni, sudanesi e afgani. Per i pachistani non è prevista una soluzione, ripetono tutti. «Possiamo dargli qualcosa da mangiare, ma per loro non c’è posto», dicono dall’hub per l’emergenza profughi, sistemato negli spazi dell’ex dopolavoro ferroviario.

Nell’Europa impaurita, che alza barriere di filo spinato lungo i confini, non solo si fa la selezione all’ingresso tra i rifugiati per nazionalità (in Macedonia e negli altri Paesi lungo la rotta balcanica passano solo siriani, iracheni e afgani), ma anche nella gestione dell’accoglienza e delle domande di asilo.

Ali, Waqar, Khursheed e Dilawar hanno fatto richiesta di asilo in Italia e in Italia vorrebbero restare. Sono partiti dal Pakistan alla fine di maggio 2015. A piccole tappe, tra treni, bus, taxi e trafficanti, hanno raggiunto l’Italia. Sono musulmani sciiti, una minoranza nel Pakistan sunnita. Le loro moschee sono continuamente esposte a violenze e attentati. A gennaio 2015 in un attentato da parte di un commando talebano in una moschea sono rimasti uccisi oltre 60 sciiti. A novembre un gruppo di militanti dell’Isis ha attaccato un bus che trasportava sciiti. «In Pakistan c’è Al Qaeda, e ora anche l’Isis», raccontano i quattro ragazzi. «Possiamo pregare solo in un alcuni giorni per ragioni di sicurezza, ma quando in quei giorni chiediamo al governo di inviarci poliziotti o soldati ci mandano al massimo un agente».

«In Pakistan c’è Al Qaeda, e ora anche l’Isis. Noi sciiti possiamo pregare solo in un alcuni giorni per ragioni di sicurezza, ma quando in quei giorni chiediamo al governo di inviarci poliziotti o soldati ci mandano al massimo un agente»

Due di loro sono parenti, zio e nipote. Uno architetto, l’altro titolare di un’azienda produttrice di riso. In Pakistan hanno lasciato mogli e figli. E sperano prima o poi di chiedere il ricongiungimento. Il primo contatto con la Questura milanese, per avviare la domanda di asilo, c’è stato a fine agosto. Il 26 novembre, quasi tre mesi dopo, si sono presentati al secondo incontro. Gli hanno rilasciato un cedolino con una foto tessera identificativa e la data del prossimo appuntamento per la prima l’audizione con la Commissione territoriale: febbraio 2016. Nel frattempo, che si arrangino da soli. Non c’è posto, hanno ripetuto dalla Prefettura.

In questi mesi si sono rivolti anche al comune di Trezzano sul Naviglio, a pochi chilometri da Milano, dove vive una folta comunità di pachistani sciiti, che a fine ottobre si sono riuniti per celebrare l’Ashura. Anche qui la risposta del sindaco, Fabio Bottero, Pd, è la stessa: «Non abbiamo posto, vediamo cosa possiamo fare», dice. E anche qui sono stati costretti a dormire nel sottopassaggio della piccola stazione del paese (nonostante a pochi passi da lì ci sia una villa confiscata alla mafia dal 2009 e mai riutilizzata, ma questa è un’altra storia), senza un materasso o un sacco a pelo. Ce li avevano, ma mentre dormivano in strada a Milano glieli hanno rubati insieme alle borse e agli zaini con dentro i soldi.

Intanto le temperature si sono via via abbassate e il freddo di fine novembre si è fatto sentire. Ali, Waqar, Khursheed e Dilawar hanno indosso solo qualche felpa. Dopo vari passaggi tra l’hub della stazione di Milano e i referenti del Comune, sono riusciti a ottenere una brandina su cui dormire, ma in uno dei centri di accoglienza all’interno del piano antifreddo di Milano. Quello previsto ogni anno per i senzatetto della città. «Sono “prefettizi”, è la Prefettura che dovrebbe occuparsi di loro, visto che sono richiedenti asilo», dice Diana De Marchi, responsabile immigrazione del Pd lombardo. «Se non ci sono posti in città dovrebbero essere comunque collocati da qualche altra parte». La legge italiana prevede il diritto all’accoglienza per tutti i richiedenti asilo. Se non ci sono posti disponibili nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), si viene indirizzati in un Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) o in un centro di prima accoglienza. Anche in un luogo diverso da quello in cui è stata presentata la domanda di asilo.

La legge italiana prevede il diritto all’accoglienza per tutti i richiedenti asilo. Dopo vari passaggi tra l’hub della stazione di Milano e i referenti del Comune, sono riusciti a ottenere una brandina su cui dormire, ma in uno dei centri di accoglienza all’interno del piano antifreddo di Milano.

Ad aiutare i quattro ragazzi è stato Malik, 28 anni, anche lui pachistano sciita. Dopo un viaggio di 21 giorni senza cibo nel container di una nave partita da Karachi, è arrivato in Sicilia, poi ha raggiunto Milano. Nel container di un’altra nave ha viaggiato anche suo fratello, ma di lui ora ha perso le tracce. Anche Malik, appena arrivato a Milano, ha fatto subito richiesta di asilo, e anche lui ha dormito in strada per un mese. Poi è riuscito a trovare un tetto grazie allo Sprar del Comune di Cesano Boscone, tramite l’associazione Villa Amantea. Dopo più di un anno di audizioni, carte bollate e attese, Malik ha ottenuto l’asilo. Nel frattempo, ha imparato l’italiano ed è diventato un punto di riferimento per i pachistani che arrivano a Milano. «Mi chiamano in tanti», racconta. «Io posso capirli, perché sono stato in strada pure io e scappo dalla stessa situazione da cui scappano loro».

Ma anche i tempi della domanda di asilo per i pachistani sono più lunghi rispetto a quelli delle altre nazionalità. «Se sei siriano, iracheno o afgano c’è una priorità nelle calendarizzazioni delle commissioni», raccontano dall’associazione Villa Amantea. «Per gli altri, si aspetta anche più di un anno». E spesso, si aspetta per strada.