Finanza e soldi pubbliciSalva-banche, la Cdp è pronta a pagare ma non si deve sapere

Entro dicembre tutte le banche dovranno versare un totale di 2 miliardi di euro per coprire il “salvataggio” di quattro istituti. Il resto dovrà essere restituito a Intesa. E se qualcosa andasse storto? Ci pensa Cpd, cioè i contribuenti. Ma questo il governo e Bankitalia nei comunicati non lo dicono

Con il decreto “salva-banche” il Governo ha chiuso un dossier spinoso: quello di quattro banche (Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara, Popolare di Etruria e Cari Chieti) in forte difficoltà che rischiavano di essere le prime protagoniste del meccanismo di bail-in, introdotto dalla “Bank Recovery and Resolution Directive” della Unione Europea, secondo cui gli azionisti e tutti i creditori, inclusi obbligazionisti senior e correntisti con disponibilità maggiore di centomila euro, devono farsi carico delle perdite che rendessero necessario un eventuale salvataggio. La direttiva europea diviene pienamente effettiva a gennaio 2016. Ecco perché la fretta del nostro Governo che comunque si è dovuto muovere all’interno di paletti molto stretti per non infrangere le clausole che impediscono gli aiuti di Stato.

Sia il Governo che la Banca di Italia hanno sottolineato come questo salvataggio non costi nulla allo Stato, e sia interamente a carico del sistema bancario italiano, oltre che di azionisti e obbligazionisti subordinati delle banche in difficoltà. Ma è proprio così?

Per rispondere a questa domanda è bene comprendere i punti principali del decreto. Nella sostanza, si prevede che da ciascuna delle quattro moribonde banche ne nasca una nuova priva degli asset in sofferenza. Questi ultimi finiscono in un’unica “bad bank”, priva di licenza bancaria, con il solo compito di vendere quanto prima questi asset di dubbio valore a soggetti specializzati.

Il costo di questo salvataggio è di 3,6 miliardi di euro e, per il momento, è coperto da linee di credito da parte di Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi, visto che il Fondo di risoluzione nazionale, appena istituito all’interno della “Bank Recovery and Resolution Directive”, non ha ancora risorse. Di questi 3,6 miliardi, 2 saranno restituiti a dicembre 2015 dal Fondo di risoluzione con i contributi delle banche italiane che dovranno comunque anticipare, in via straordinaria, tre annualità. I restanti 1,6 miliardi hanno la forma di un prestito a 18 mesi da parte di IntesaSanPaolo, Unicredit e Ubi e dovrebbero essere ripagati dalla valorizzazione dei crediti deteriorati dati in dotazione alla “bad bank”.

Il condizionale è in questo caso d’obbligo visto che nei mesi scorsi si era cercato, senza successo, di trovare un acquirente. Non a caso, Intesa Sanpaolo informa il mercato che la Cassa Depositi e Prestiti si è impegnata a coprire eventuali differenze rispetto a quanto dovuto alla scadenza del prestito.

Le banche dovranno tirare fuori 2 miliardi di euro entro dicembre, il resto rimane come prestito di Intesa Sanpaolo. Che ha fatto sapere che Cassa Depositi e Prestiti si è impegnata a coprire eventuali differenze rispetto a quanto dovuto alla scadenza del prestito

Come indicato da Governo e Banca di Italia, il costo per il sistema bancario è ingente. Bloomberg stima in 1,8 miliardi i maggiori costi per le banche italiane nel 2015. Questa certamente non è una buona notizia per banche già alle prese con una montagna di crediti in difficoltà (330 miliardi di euro secondo il Financial Times su dati Fmi) e una riduzione dei margini a causa dei bassi tassi di interesse. D’altronde, è anche vero che di questi tempi la liquidità non manca, visto che le banche italiane hanno accesso al credito quasi illimitato e a costi bassissimi offerto dalla Bce. E, infatti, una della ragioni per la “Bank Recovery and Resolution Directive” è proprio quella di evitare che banche nazionali siano salvate con il sussidio dei contribuenti di altri Paesi membri, anche indiretto attraverso prestiti da parte della Banca Centrale.

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Ma, quanto lascia maggiormente perplessi, è come governo e Banca di Italia non abbiano ritenuto rilevante informare immediatamente della garanzia da parte di Cassa Depositi e Prestiti. Lasciando da parte i formalismi, è naturale pensare che una eventuale garanzia della Cassa sia offerta su indicazione del Governo e a prezzi non di mercato. E, nel malaugurato caso in cui la valorizzazione degli asset conferiti alla “bad bank” non dovesse coprire il prestito, a pagare saranno, quantomeno indirettamente, i contribuenti italiani e non, quindi, esclusivamente il sistema bancario.

È grave che governo e Banca di Italia non abbiano ritenuto rilevante informare immediatamente della garanzia da parte di Cassa Depositi e Prestiti

Il governo e la Banca di Italia hanno fatto il possibile per evitare il bail-in. Evidentemente, temono che punire un numero tutto sommato piccolo di obbligazionisti che hanno improvvidamente prestato risorse a banche mal gestite, possa scatenare un “bank-run” che colpisca un numero maggiore di banche. Visto che la Banca di Italia conosce bene i bilanci delle nostre banche, questa mancanza di fiducia è davvero preoccupante.

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